Giornale del cibo

Food Act: può un protocollo salvare il Made in Italy?

Un patto tra le Istituzioni e il mondo della cucina italiana di qualità. Un’azione di squadra, di sistema per lavorare meglio sulla valorizzazione del Made in Italy agroalimentare”. Con queste parole lo scorso 28 luglio Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, battezzava il Food Act, il piano di azioni per la valorizzazione della cucina italiana.

Presentato nel corso del secondo forum della cucina italiana (un momento di incontro tra gli esponenti dell’alta cucina italiana e le principali istituzioni che operano in ambiti di pertinenza) ha tra i propri obiettivi la promozione sui mercati esteri della nostra cucina, la valorizzazione delle eccellenze e della dieta mediterranea, ma anche la formazione, l’importanza degli stage, il rafforzamento della distribuzione del “vero” Made in Italy.

Spaghetti Pomodoro

Un piano che è stato recentemente implementato con il Protocollo di intesa per la Valorizzazione all’Estero della Cucina Italiana di Alta Qualità, sottoscritto dal Ministero degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, dal Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, e dal Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini lo scorso 15 marzo. Un protocollo che si concretizzerà nel corso nel biennio 2016-2017 con una serie di iniziative concentrate in sei Paesi (Stati Uniti, Giappone, Cina, Russia, Emirati Arabi Uniti e Brasile) scelti perché potenzialmente tra i più redditizi in termini economici e di immagine per la nostra produzione alimentare.

Food Act: cosa prevede?

Ma cosa prevede questo Protocollo? Una serie di iniziative, da attuare nei Paesi prescelti, finalizzate a diffondere la cultura della buona cucina italiana, attraverso eventi, corsi di formazione, masterclass e borse di studio. “Il mondo ha fame d’Italia e noi rispondiamo con prodotti e cucina di qualità – le parole del ministro Maurizio Martina in questa seconda occasione – a garanzia di una eccellenza che riguarda tutta la filiera e che coinvolge sempre più giovani (…) è anche questo il senso del Food Act, che per la prima volta vede coinvolti Istituzioni e chef in un percorso sinergico. È questa la potenza del nostro saper fare”.

Arginare il Falso Made in Italy: può bastare un protocollo?

Chi vi scrive riconosce nel Food Act e nel forum della cucina italiana un enorme potenziale, due differenti elementi che potrebbero finalmente riuscire a contribuire alla tutela del nostro straordinario patrimonio fatto di prodotti artigianali di valore assoluto, che vengono valorizzati da chef tra i più talentuosi ed apprezzati.

Ma con cadenza ormai quotidiana leggiamo del vino bianco che in Cina chiamano Barolo, o della mortadella realizzata utilizzando carne di tacchino, e ancora del pecorino fatto con latte di mucca, per non parlare dello stravolgimento di ricette e tecniche che appartengono alla nostra tradizione. Secondo Coldiretti il 75% dei prodotti alimentari di tipo italiano sul mercato mondiale è falso, per un giro d’affari di circa 50 miliardi di euro.

E quindi mi chiedo: documenti, intese, piani operativi e protocolli di vario tipo, che pongono grande attenzione sulla formazione e sulla diffusione della nostra cultura culinaria, possono sicuramente essere strumenti utili per conseguire determinati risultati, ma in che modo potrebbero arginare il mercato del falso Made in Italy e dell’Italian Sounding?

Parlare di cultura è importante ma consente di ottenere risultati nel medio-lungo periodo, mentre a mio avviso azioni di questo tipo non dovrebbero essere affiancate da altre, con effetto immediato, che consentano di ottenere benefici economici ma soprattutto di ridurre quella drammatica percentuale di prodotti falsi. Perché il rischio, altrimenti, è quello di insegnare tecnica e cultura, ma di ritrovarsi a cena in un qualunque posto del mondo, e di vedersi servita una perfetta carbonara preparata con pecorino cinese.

 

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