Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo nel mondo della ristorazione e si sta registrando un cambio di sensibilità. Si sente sempre più parlare di “inclusività” e fioccano i progetti che uniscono cibo e sociale, dando lavoro a ragazzi e ragazze svantaggiati e con forme di fragilità: vi abbiamo raccontato di PizzAut, della Locanda a Centimetro Zero o del micro-biscottificio sociale Frolla, giusto per fare qualche esempio.
A Torino, però, c’è una realtà che questo lavoro lo fa da più di trent’anni e che in questo è stata una sorta di precursore. Sono le Fonderie Ozanam, una cooperativa sociale senza scopo di lucro che opera nel mondo della ristorazione dal 1988, nata con l’idea di aiutare i ragazzi che provengono da situazioni difficili a formarsi e ad avviarsi al mondo del lavoro e che poggia le sue fondamenta proprio nelle persone che ha accolto nel corso degli anni. “Per noi la parola ‘inclusività’ è importante solo se è reale e concreta” spiega Loris Passarella, presidente della cooperativa. “A noi piace definirci una grande famiglia: se qualcuno dovesse passare dal nostro ristorante verso le 11.30, quando noi del personale pranziamo, si troverebbe davanti a una situazione curiosa: persone bianche, nere, con diverse forme di disabilità e fragilità, e provenienti da ogni parte del mondo. Siamo lì che mangiamo, ridiamo, ci prendiamo in giro e poi lavoriamo tutti insieme”. Un’attenzione particolare alle persone e all’inclusività, ma anche alla qualità ovviamente: “volevamo creare un posto che fosse accogliente, dove si mangia bene: le persone vengono qui proprio per questo”.
Di questo luogo, del lungo percorso che ha portato Loris e il resto del team a dove sono oggi e di tutte le numerose attività portate avanti dalle Fonderie Ozanam, abbiamo parlato proprio con il presidente della cooperativa.
Corsi professionali di cucina e sala per aiutare i ragazzi in difficoltà: la storia delle Fonderie Ozanam
Una storia lunga più di trent’anni, abbiamo detto, che ha una precisa data di inizio: siamo nel 1988, nel capoluogo piemontese. Fin da subito l’obiettivo della cooperativa sociale chiamata Meeting Service – oggi conosciuta come Fonderie Ozanam – è chiaro: “nasce dall’idea di alcuni insegnanti delle scuole secondarie di primo grado che, avendo quotidianamente a che fare con i ragazzi, avevano visto moltissimi di questi abbandonare il percorso scolastico. All’epoca, questi ragazzi erano considerati minori a rischio di devianza” inizia a raccontare Loris Passarella. Molti di questi giovani provenivano dalle Vallette, un quartiere di Torino che per lungo tempo ha significato luogo di segregazione e degrado sociale. Gli insegnanti si sono posti una domanda precisa: cosa fare per aiutarli?
È così che nascono i primi corsi professionali di cucina e sala, guidati da insegnanti esterni delle scuole alberghiere, il tutto in un ambiente informale ma allo stesso tempo professionale. Il progetto prende il via e funziona e passa un anno: siamo nel 1989, i partecipanti sono tanti e c’è bisogno di avere più spazio da dedicare alla formazione. I fondatori della cooperativa decidono di spostarsi dalla prima sede in un piccolo negozio in via Santa Chiara, nel cuore della città. Ed è a questo punto della storia che entra in scena proprio Passarella: “mi ero appena diplomato all’Istituto Alberghiero ed ero obiettore di coscienza: sono stata la prima persona assunta ufficialmente. Possiamo dire che da lì è iniziato il lavoro della cooperativa vera e propria: tenevamo dei corsi per il Comune rivolti a ragazzi fragili e minori a rischio”.
Ma non solo, perché la cooperativa si espande e a questo aggiunge un altro aspetto. “Ho pensato subito che la scuola – la formazione in generale – è troppo distante dal mondo del lavoro. E quindi siamo stati tra i primi, a Torino, a pensare alla modalità training on the job, ossia formare le persone direttamente sul campo, con la pratica. Per questo, all’attività dei corsi abbiamo aggiunto quella di catering che aveva una duplice funzione: da una parte, di far sopravvivere la cooperativa e non dipendere solo dal pubblico, dall’altra, di far vedere ai ragazzi cosa significhi realmente lavorare sul campo”.
Come racconta, da quel momento in avanti fondatori e volontari della cooperativa si sono inventati di tutto per dare concretezza alla progettualità, non solo formando i ragazzi, ma dando loro un lavoro. “Ad esempio, abbiamo iniziato a preparare panini da portare nelle scuole del circondario, oppure allo Stadio delle Alpi, lavorando di notte e producendo qualcosa come seimila panini. Abbiamo gestito case alpine in montagna, sempre con ragazzi giovanissimi” continua a raccontare il presidente.
Con il tempo il progetto cresce e si evolve. Oltre ai minori a rischio, vengono accolte persone con una disoccupazione di lunga durata, disabili, utenti psichiatrici e così via. Tutti, all’interno della cooperativa, imparano un mestiere per poi prendere la loro strada, spesso in altre e rinomate realtà ristorative della città: “con gli anni si è allargata la rete di ristoranti ed esercizi pubblici che collaborano con noi e danno ai ragazzi la possibilità di lavorare. Abbiamo selezionato una serie di realtà che non sfruttano le persone e molto attente all’aspetto umano e formativo”.
La nuova sede nell’ex fonderia, tra ristorante, scuola di cucina, orti e apicoltura urbana
È nel 2006 che si rimescolano di nuovo le carte in tavola e nasce l’esigenza di trovare una nuova sede per un progetto che sta crescendo sempre di più. “Abbiamo ottenuto la concessione del Comune di un’ex fonderia in via Foligno, nel quartiere Borgo Vittoria” spiega Passarella. “Dopo la ristrutturazione, prendono così ufficialmente vita le Fonderie Ozanam, dove si trovano il ristorante e la sede della cooperativa. In questo spazio abbiamo un’ampia sala, un’aula dedicata alla didattica, una sala bar, un ufficio e soprattutto tre cucine dove possiamo insegnare al meglio: qui produciamo il cibo destinato al ristorante, quello per il catering, quello ai prodotti in vasetto, progetto realizzato durante il periodo pandemico”.
Di questo progetto parleremo tra poco, ma rimaniamo per un attimo concentrati sulle Fonderie, perché di cose da dire ce ne sono ancora tante. Come ortoalto, progetto pilota dell’associazione no-profit OrtiAlti, che nasce da una domanda: se il 20% delle superfici urbane è occupato da tetti di catrame, non utilizzati e scarsamente accessibili, perché non renderli più vivibili trasformandoli in orti e giardini pensili? Il tetto del ristorante della cooperativa, quindi, viene “rigenerato” e impiegato per la produzione di vegetali freschi, erbe aromatiche e spezie da impiegare a “cm 0” nella preparazione dei cibi e creare un nuovo spazio di socialità per tutto il quartiere. L’orticoltura è un’attività terapeutica per chi la pratica, ma i benefici non finiscono qui: l’orto pensile permette di ridurre i consumi energetici del ristorante e di migliorare la qualità ambientale dell’intorno, soprattutto considerando l’area metropolitana di Torino è interessata da un fenomeno di grave inquinamento atmosferico.
A questo si affianca anche il progetto di apicoltura urbana, con 3 arnie che ospitano più di 100.000 api che producono nei mesi tra maggio e ottobre più di 100kg di miele. Insomma, il tetto delle Fonderie Ozanam diventa una “nuova piazza” pensata per coinvolgere gli abitanti del quartiere, innescare nuove connessioni e creare un’occasione per fermarsi e condividere storie, aneddoti, racconti, gesti tra persone anche di età differente.
I vasetti etici che abbattono gli sprechi
Una realtà che punta a fare bene non solo alle persone coinvolte ma anche all’ambiente, come abbiamo appena visto. Non a caso, durante la pandemia nasce un progetto che ha fatto della lotta allo spreco alimentare il proprio obiettivo, promuovendo allo stesso tempo prodotti d’eccellenza sia del territorio piemontese che del resto d’Italia (e non solo). “Durante il periodo della pandemia, venivano distribuite frutta e verdura alle famiglie in difficoltà, ma alla fine molti di questi prodotti venivano comunque buttati perché in eccesso. Da lì ci è venuta un’idea: ci siamo accordati con un’associazione che, una volta alla settimana, ci porta la frutta e verdura invenduta dai mercati, che poi noi trasformiamo in composte, conserve, marmellate, antipasti piemontesi, caponata, e così via. Una parte di questi prodotti viene poi regalata alle famiglie in difficoltà del nostro quartiere, mentre l’altra parte viene venduta per finanziare le nostre attività” spiega il presidente della cooperativa. Si tratta, insomma, di economia circolare pura: “non a caso diciamo che le nostre produzioni sono buone tre volte perché sono buone a tutti gli effetti, perché hanno un impatto sociale positivo e perché recuperiamo tutto quello che possiamo, abbattendo gli sprechi”.
Proprio recentemente la cooperativa ha anche ampliato il progetto dei vasetti, creandone una nuova linea chiamata “InVasi”. “Con i ragazzi e le ragazze provenienti da altri Paesi teniamo anche delle lezioni in cui vengono preparati i piatti della loro tradizione, per far sì che sentano il profumo di casa. Facendo questa operazione, ci siamo resi conto che nessuno aveva mai pensato di mettere in vaso alcuni piatti e preparazioni della loro cultura gastronomica, come la babaganoush siriana o il mafè senegalese. Per questo abbiamo creato il progetto ‘invasi’, il cui nome è volutamente ironico: riprende una delle frasi più comuni che si sentono dire sui migranti, ‘siamo invasi’, ma possiamo dire che siamo invasi da questi profumi e questi sapori di altri Paesi che sarebbe bello conoscere e provare. Per noi questa è inclusività, condividere attraverso la cucina le proprie storie, perché ciascuno di noi ha la sua storia da raccontare e ciascuno di noi può imparare dagli altri”.
[elementor-template id='142071']Al centro delle Fonderie Ozanam ci sono le persone, le loro storie e la cucina
A proposito di inclusività, di persone e di storie. Come scrivono sul sito, al centro del loro progetto “esistono persone, che condividono la stessa visione sociale”. È questo il cuore delle Fonderie Ozanam, tutti i ragazzi e le ragazze, le donne e gli uomini che sono passati dai corsi di cucina e di sala, di cui alcuni sono rimasti, altri sono stati assunti altrove. Come racconta Passarella, le storie da raccontare sarebbero tantissime, ma ce ne condivide qualcuna in particolare. “Sabino, ad esempio” inizia a raccontare, “era un paziente psichiatrico con un disturbo depressivo grave. L’abbiamo conosciuto molti anni fa: l’avevano forzato a partecipare a un corso presso di noi, e infatti lo faceva senza nessuna voglia e stando in silenzio. Pian piano, però, si è aperto e abbiamo così scoperto che da giovane era un pasticcere. Quando è arrivato il momento di dover assumere qualcuno, abbiamo pensato a lui: attraverso il lavoro, è cambiato profondamente e ha ritrovato se stesso. All’inaugurazione del nuovo spazio in via Foligno nel 2006, la moglie è venuta a ringraziarci perché aveva ritrovato l’uomo che aveva sposato”.
O ancora, un altro paziente psichiatrico difficile inviato dall’Asl con un avvertimento: fino a quel momento aveva fallito tutti i progetti in cui avevano provato a coinvolgerlo. “Ci abbiamo lavorato sopra e, inviandolo in tirocinio in un self service, abbiamo scoperto che era bravissimo a tagliare le verdure in maniera precisissima. Un lavoro ripetitivo e noioso per la maggior parte delle persone, che nessuno voleva fare, mentre per lui era perfetto. Ha trovato la sua dimensione. Ecco, noi non vogliamo nessun merito perché quello va agli incontri che si sono creati: qui molte persone hanno trovato il posto giusto dove ritrovare se stessi o scoprire i propri talenti. Penso che il nostro compito sia proprio questo: combinare la persona giusta con il luogo giusto, e crediamo che la cucina sia davvero curativa in questo senso”.
Il cibo può davvero essere motore di inclusione e integrazione sociale. Lo dimostra anche l’ultima iniziativa – Youth&Food – che Fonderie Ozanam segue con Slow Food come capofila, e che mette in connessioni le città di Torino e Agrigento. “Seguiamo trenta ragazzi minori stranieri non accompagnati, arrivati qui in Italia da pochissimo: l’obiettivo è formarli professionalmente e prepararli al mondo del lavoro. Un progetto riuscito, considerando che del primo gruppo abbiamo fatto assumere il 70% dei ragazzi che sono passati da qua”.
Dare un’opportunità concreta a queste persone è la ragione di vita della cooperativa. Lo è dall’inizio e continua a esserlo, come racconta Passarella: “stiamo organizzando delle serate dedicate a cucine e piatti provenienti da altri Paesi del mondo, in cui i ragazzi sono protagonisti perché sono proprio loro a raccontare ai commensali cos’hanno creato. In particolare, abbiamo organizzato una serata per farli incontrare con i ristoratori torinesi, per far sì che conoscessero questi ragazzi di persona e che provassero la loro cucina. Se qualcuno di loro cerca personale, sicuramente qui può trovare gente preparata e formata”.
Ovviamente non è semplice e le problematiche per portare avanti un’attività di questa portata sono tantissime: “Stiamo risentendo del post pandemia: ci siamo indebitati per sopravvivere durante quel periodo e adesso la stiamo pagando. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile per sostenere questi progetti e iniziative, perché è una situazione complicata. Ma noi siamo resilienti e faremo di tutto per andare avanti”. Per moltissimi ragazzi e adulti con fragilità le mura dell’ex fonderia rappresentano rinascita, salvezza e riscatto, quindi l’augurio e la speranza è che la loro strada non si interrompa e siano ancora tantissime le storie da raccontare in futuro.
Immagine in evidenza di: © Fonderie Ozanam