Non sono vegetariani, né vegani. I flexitariani – il cui nome deriva dalle parole inglesi flexible (flessibile) e vegetarian (vegetariano) – sono coloro che seguono per la maggior parte del tempo una dieta “plant based” ma che non rinunciano anche al consumo di proteine animali di tanto in tanto. Questa tendenza sembra avere sempre più successo, anche grazie alla possibilità di non seguire le regole alimentari che il veganesimo e il vegetarianesimo pongono senza possibilità di sgarrare. Molto spesso infatti, e precisamente nell’84% dei casi, chi diventa vegetariano torna sui propri passi ricominciando a mangiare carne.
Se non vi viene in mente nessun amico che si dice flexitariano, pensate che alcuni dei personaggi più affezionati a questo tipo di dieta sono Paul McCartney e Gwyneth Paltrow, considerata ormai la madrina della corrente alimentare. Nel mondo si contano 18 milioni di flexitariani, mentre in Italia il 32% della popolazione è convinta che seguire un simile regime possa migliorare la vita.
Flexitariani: chi sono?
Le scelte dei flexitariani sembrano rispecchiare la tendenza della spesa degli italiani rivolta sempre di più a un acquisto consapevole, sano e dalla provenienza certificata. In questo quadro alimentare si riscontra anche, e soprattutto, una propensione degli italiani a spendere di più per i loro prodotti, pur che siano biologici, di alta qualità e a basso impatto ambientale nella loro produzione.
Infatti, se chiediamo direttamente ai flexitariani quali sono le motivazioni che li spingono a seguire questo tipo di alimentazione, otterremo risposte che puntano soprattutto sulla qualità dell’alimentazione e sull’attenzione verso l’ambiente e la salute. In Italia, secondo una ricerca del Garden Gourmet Flexitarian Hub, l’osservatorio sul mondo dei flexitariani, (condotta su circa 2500 italiani tra uomini e donne con metodologia WOA – Web Opinion Analysis) il 41% punta a variare la propria alimentazione con gusti diversi, il 24% vorrebbe preservare l’ambiente, il 37% non vuole trascurare la salute.
Un altro dato importante è quello che riguarda il genere e l’età media. Secondo i dati, la maggioranza dei flexitariani sono donne, con il 56%, ma anche gli uomini non sono da meno, con un 41% che vuole informarsi sempre di più. L’età media è compresa nella fascia tra i 40 e i 50 anni, ma c’è anche una percentuale di giovani tra i 20 e i 30 anni.
Esistono inoltre diversi livelli per diventare flexitariani, e sono tutti riconducibili a quanti giorni alla settimana è possibile mangiare carne. Si parte dal livello principiante, che vede la rinuncia alla carne per 1-2 giorni alla settimana, passando per il livello intermedio, che prevede la rinuncia per 2-3 giorni alla settimana fino ad arrivare al livello esperto che vede 5 o più giorni di rinuncia.
Per seguire la dieta flexitariana infatti si utilizzano principalmente cinque gruppi di alimenti:
- il primo è composto da tofu, fagioli, lenticchie, piselli, noci e semi e uova
- il secondo da frutta e verdura
- seguono poi tutti i tipi di cereali
- i prodotti lattiero-caseari
- infine zucchero e spezie ( dalle erbe aromatiche all’insalata).
Quali sono le differenze con i reducetariani?
I punti in comune sono così tanti che si rischia di confonderli. Ma i flexitariani e i reducetariani non sono la stessa cosa. Come abbiamo precedentemente sottolineato, i primi sono coloro che scelgono di consumare meno carne, in particolar modo per motivi legati alla propria salute, al bene delle piante e anche per ragioni economiche, dato che la carne (sia rossa che bianca) è molto più costosa degli alimenti a base vegetale.
I reducetariani sono anche loro focalizzati sulla riduzione del consumo di carne, ma sono focalizzati molto di più dei loro “cugini” sull’impatto ambientale e sul maltrattamento degli animali. Quindi potremmo dire che la strada da percorrere è la stessa, ma il motivo per cui la si intraprende è leggermente diverso.
Inoltre i reducetariani sono ormai un’organizzazione riconosciuta, e con Reducetarian, il loro sito ufficiale, diffondono informazioni, attivano campagne di crowdfounding e organizzano summit mondiali per diffondere il loro punto di vista.Potremmo dunque dire che sono molto più focalizzati e organizzati rispetto ai flexiatariani: tra i loro obiettivi principali c’è infatti quello di educare, coinvolgere e fare ricerca riguardo agli effetti positivi della diminuzione del consumo di carne, ricordando che secondo la Food and Agriculture Organization of the United Nations, l’industria della carne da sola rappresenta circa il 20% delle emissioni globali di gas serra.
Un altro aspetto molto importante è quello della comunicazione, i reducetariani sono molto attivi sul web. Nel loro sito infatti tra le cose che “puoi fare” per unirti alla causa c’è il consiglio di seguire tutti i canali social ufficiali, da facebook per essere informati quotidianamente, a instagram per vedere dei piatti gustosi ai quali ispirarsi, alla mailing list per avere degli approfondimenti più corposi.
E voi cosa pensate di queste due ”correnti” alimentari? Vi sentite più flexitariani oppure più reducetariani? Scriveteci!