Non c’è più tempo. Mai come quest’anno è stato ripetuto questo mantra, sottolineando la necessità di intervenire in maniera urgente per ridurre l’impatto ambientale dell’attività umana e contrastare il cambiamento climatico. Tra i vari responsabili, senz’altro la produzione alimentare mondiale occupa le prime posizioni, e in particolare il settore ittico è uno dei più accusati. È quindi lecito domandarsi, come avviene da qualche anno, se la pesca può essere sostenibile.
L’argomento è molto dibattuto, e sono in molti a ritenere di no, come sostenuto anche dal controverso documentario Netflix Seaspiracy. La sostenibilità è infatti un concetto molto ampio, che deve tenere conto di diversi aspetti, ma una filiera ittica diversa e innovativa, che rispetti ambiente e persone, non è solo un miraggio. Per questo, a fine novembre di quest’anno si è tenuto a Ferrara Sealogy, il Salone Internazionale della Blue Economy. Tra i numerosi incontri, si è svolto anche “Emilia-Romagna, acqua e sale. Viaggio alla scoperta dei prodotti e tradizioni del nostro mare”, organizzato dal padiglione della Regione Emilia-Romagna. Durante il corso dell’evento, è stato presentato l’Atlante delle Buone Pratiche – Filieri Sostenibili della Pesca e dell’Acquacoltura, realizzato anche con la collaborazione del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Da una parte, l’obiettivo è quello di informare sulle realtà che si stanno già impegnando sul fronte della transizione ecologica, dall’altra c’è la speranza che il loro esempio sia uno stimolo per alimentare iniziative analoghe anche in altri contesti.
Noi del Giornale del Cibo abbiamo partecipato alla giornata, occasione importante di confronto e dibattito: vi raccontiamo meglio cos’è emerso rispetto alla filiera ittica sostenibile, com’è strutturato l’Atlante e uno degli esempi virtuosi.
A Sealogy il dibattito su sostenibilità ambientale, sociale ed economica nel settore ittico
“Non abbiamo alternative se non essere sostenibili”: così inizia il suo intervento durante l’evento organizzato dal padiglione della Regione Emilia-Romagna Simona Caselli, responsabile delle politiche europee di Legacoop Agroalimentare ed ex assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, che ha presentato l’Atlante delle Buone Pratiche. Ha ricordato fin da subito, infatti, che il goal della salute del mare e degli oceani dell’Agenda 2030 è forse quello più problematico. Soprattutto in quelle zone “rosse” ad alta intensità peschiva, come l’area dell’Indocina e del Sud-Est asiatico, quella cileno-argentina e, ovviamente, quella del Mediterraneo perché, più delle altre, è un sistema chiuso e fragile, che va necessariamente protetto.
Emerge quindi la necessità di cambiare rotta e di portare avanti un’idea di pesca sostenibile: “ma cos’è sostenibile?”, domanda Caselli. Il problema, come ribadisce, è che il concetto di sostenibilità è piuttosto complesso e non deve tenere conto soltanto dell’aspetto ambientale, ma anche di quello sociale ed economico. “Nella prima versione della strategia Farm to Fork mancava quasi del tutto la pesca, mentre invece adesso si sta cercando di recuperarla”. Infatti, il grosso problema è che “mancano delle direttive chiare da parte dell’Unione Europea” che traccino una linea che valga per tutti i Paesi e che stabiliscano quindi degli interventi organici e coordinati, e che non siano limitate alle singole iniziative dei pescatori e acquacoltori. Come spiegano Caselli e Roberto Casali, referente del progetto Ecopesce di cui parleremo tra poco e presente alla presentazione dell’Atlante, un’iniziativa come quella della riduzione della pesca non è sostenibile dal punto di vista economico sul lungo termine, quindi bisogna necessariamente trovare nuove strategie.
[elementor-template id='142071']Verso una filiera ittica sostenibile: L’Atlante delle Buone Pratiche per diffondere esempi virtuosi
Un passo in avanti, in questo senso, per cercare di evidenziare e diffondere esempi virtuosi e efficaci è proprio quello dell’Atlante delle Buone Pratiche. Nato dall’idea dell’Associazione Chimica Verde Bionet, condivisa con il Consorzio Mediterraneo e Legacoop Agroalimentare, e con la collaborazione del CREA, e presentato la prima volta durante l’evento Caprai Smart Island, è il primo lavoro pubblicato che raccoglie le best practice inerenti alla pesca e all’acquacoltura sostenibili. Si tratta di esempi che riguardano soluzioni innovative, servizi, prodotti e processi migliorativi delle filiere in termini di efficacia, efficienza e impatto ambientale. Quindi, che non siano solo più eco-sostenibili, ma anche che mantengano contemporaneamente la sostenibilità economica e sociale delle imprese in gioco.
Il volume è suddiviso in quattro capitoli, Pesca, Acquacoltura, Fornitori di Servizi e Ricerca, e per ciascuno sono presenti:
- una descrizione dell’azienda/consorzio/cooperativa per individuare la tipologia di impresa e contesto in cui si inserisce;
- la descrizione della buona pratica adottata;
- i progetti in cui sono state sviluppate le idee iniziali che hanno condotto le buone pratiche.
Ma vediamo più nel dettaglio una di queste realtà e delle azioni virtuose messe in campo.
Economia del Mare/Ecopesce, per valorizzare il pesce “dimenticato” e abbattere ogni spreco
“Il nostro pianeta sta urlando e noi dobbiamo ascoltarlo”: così spiega Roberto Casali durante il suo intervento. Lui, commerciante, e Maurizio Cialotti, pescatore, se ne sono resi conto ed è per questo che hanno fondato l’azienda Economia del Mare e ideato il progetto Ecopesce – che si avvale anche della collaborazione di Alma Mater Studiorum di Bologna – per recuperare quel pesce cosiddetto “povero”, di poco valore commerciale o che va sprecato in quanto in eccesso, spesso anche per recuperare l’imballaggio stesso e non sprecare energia per la sua conservazione. “Più che povero, preferisco parlare di ‘dimenticato’, perché queste specie di pesce, a livello nutrizionale e gustativo, non hanno niente da invidiare ad altre tipologie più blasonate” spiega. Casali ha deciso di puntare soprattutto su specie locali, rispettando la stagionalità, e valorizzandole.
Come? Grazie a un processo di lavorazione rapido ed efficace basato sul totale rispetto della catena del freddo poco distante da dove approda il pescato fresco. Nel laboratorio di Cesenatico, i pesci dimenticati vengono sfilettati, lavorati e trasformati – in filetti, polpa di pesce o sughi e così via, e senza aggiunta di additivi o conservanti – per poi essere venduti attraverso i diversi canali di distribuzione e arrivare così sulle nostre tavole. Inoltre, sempre nel contesto di economia circolare, tutto il pesce viene recuperato, anche quelli che di solito sono gli scarti, come testa o spine, sia per il pet food sia, ad esempio, per l’alta ristorazione e la creazione di piatti originali (mai pensato di assaggiare il quinto quarto di pesce?).
Come spiegano, bisogna rivalutare il consumo di pesce surgelato, in quanto risulta un prodotto di grande servizio e, soprattutto, di sostenibilità. Il pescato invenduto andrebbe sprecato, mentre invece la surgelazione – con la sua diversificazione di produzione – permette di non sprecare materia prima e di rendere più accessibile un prodotto di qualità, sicuri dal punto di vista alimentare, e sano. L’obiettivo, infatti, è una maggiore equità: “il pesce dovrebbe poter essere un prodotto per tutti e non solo per ricchi”.
Ma le iniziative virtuose sono tantissime: sfogliando questo Atlante, ci si rende conto del lavoro di pescatori, imprenditori, ricercatori che, insieme, stanno cercando di aprire la strada verso la transizione ecologica e di creare una filiera ittica davvero sostenibile, facendo rete e dando il buon esempio.