Tremila tonnellate di rifiuti all’anno finiscono nelle reti dei pescatori italiani. Questa è la cifra record, secondo le stime di Federagripesca, a proposito di quanto i mari italiani siano tristemente popolati di pneumatici, elettrodomestici, imballaggi alimentari, buste di plastica, ecc. Si tratta di oggetti e rifiuti pericolosi per la fauna marina, ma il problema non si limita all’inquinamento e all’impatto ambientale, coinvolge anche le attività dei pescatori, sempre di più veri e propri guardiani del mare. A questo proposito infatti, grazie alla Legge Salvamare, approvata nel 2022, i pescatori posso portare con sé i rifiuti che pescano, contribuendo alla pulizia del Mediterraneo. Ma qual è la situazione sul campo? Ne abbiamo parlato insieme alla dottoressa Francesca Biondo, direttore di Federpesca.
Rifiuti in mare: il punto di Federpesca
Presidente Biondo, grazie per la disponibilità. Federagripesca riporta che ogni anno, nelle reti dei pescatori, finiscono tremila tonnellate di rifiuti. Quali sono i dati a vostra disposizione sull’inquinamento e il ritrovamento di rifiuti nei mari italiani? Che tipo di scarti vengono raccolti? Se è un’informazione accessibile, si tratta di eccedenze che dipendono dalle filiere produttive o anche dai comportamenti dei singoli cittadini?
F.B. “Non solo tanta plastica monouso, in particolare bottiglie, piatti, bicchieri e lattine, ma anche pneumatici, elettrodomestici casalinghi, dalle dimensioni più piccole quali stufette a quelle più rilevanti, come lavatrici e friggitrici… questi i rifiuti che abbiamo visto recuperare da parte degli associati di Federpesca. Ciò a dimostrazione che molti dei rifiuti accidentalmente pescati derivano proprio dal comportamento sbagliato se non illegale dei singoli cittadini, che spesso lasciano i propri scarti sulle spiagge o che pensando al mare come una grande discarica, gettano vecchi oggetti senza dover fare quella che viene considerata una “fatica” nel conferire correttamente i rifiuti speciali (ovvero quelli prodotti dalle realtà produttive e potenzialmente più inquinanti, ndr) presso le isole ecologiche ormai presenti in molte località italiane.
Dall’altra parte anche le aziende hanno grande responsabilità nel gestire rifiuti e scarti, che a volte vengono invece gettati abusivamente in fiumi vicini, ma che per vie naturali finiscono proprio in mare. Per non parlare di quei residui che possono arrivare da lontano, ma che a causa delle correnti marine giungono sui fondali a noi vicini.
E qui entra in gioco il pescatore, che ritirando sulla sua imbarcazione le reti, si ritrova a pescare accidentalmente proprio quei rifiuti. I nostri associati ci raccontano che in ogni operazione di pesca trovano almeno qualche rifiuto, che accuratamente separano dal pescato e conferiscono in appositi sacchi presenti sul peschereccio, portandoli poi al rientro presso i porti e dove esistono, presso le isole ecologiche realizzate nelle marinerie.
Ad esempio, in un ultimo progetto portato avanti da Federpesca, nelle marinerie di Molfetta (BA) e Sciacca (AG), nel solo periodo tra agosto e dicembre 2023 sono stati raccolti oltre 8.000 kg di rifiuti che sono stati conferiti alle isole ecologiche realizzate attraverso una convenzione tra Federpesca e le aziende comunali. È stata inoltre eseguita un’attività di controllo quali-quantitativo dei rifiuti, ai fini del successivo rilascio all’impresa di pesca di un’attestazione di avvenuto conferimento. Di questi, quasi il 50% era rappresentato da materie plastiche e il 27% da legno lavorato. Il resto era composto da metalli, cartone, carta e altro materiale”.
Paolo Tiozzo, vicepresidente Confcooperative-Fedagripesca ha dichiarato: “Se la flotta da pesca ad ogni uscita potesse portare a terra tutto quello che rimane impigliato nelle reti oltre al pesce, in 10 anni libererebbe il mare da oltre 30 mila tonnellate di rifiuti”. La presenza di rifiuti è dunque un danno anche per i pescatori. Può spiegarci come si definisce questo danno, quali sono le conseguenze sulla filiera e cosa accade quando il pescatore raccoglie i rifiuti?
F.B. “La presenza di rifiuti marini accidentalmente pescati rappresenta un grosso danno per i pescatori sotto diversi punti di vista. Quello sicuramente più ingente è il rischio di rottura di parti delle reti da pesca, in particolare quando viene ritirata la rete e sono presenti rifiuti di grandi dimensioni. L’acquisto di una nuova attrezzatura rappresenta infatti un costo notevole per gli armatori, tant’è che spendono molto tempo a ripararla, o meglio “sarcirla”, per cercare di darle nuova vita; ma in molti casi questo non è sufficiente e la rete deve essere sostituita completamente.
Ci tengo però a chiarire che difficilmente la rete da pesca diventa nella sua interezza un rifiuto, in quanto l’operatore cerca di preservarla, sistemandola o provando a riutilizzarla, per quanto possibile, dal momento che anche i costi di smaltimento, trattandosi di un rifiuto speciale, sono molto esosi per le imprese.
Oltre a questo danno economico, i pescatori subiscono anche una perdita a livello di tempo impiegato nel separare correttamente il pesce dai rifiuti marini accidentalmente pescati, porli in appositi sacchi e stoccarli una volta rientrati in porto.
In terzo luogo, i rifiuti marini occupano quel posto nella rete che invece dovrebbe essere destinato agli stock ittici, costituendo così anche un problema a livello di produzione e costringendo l’equipaggio a dover passare più tempo in mare ed eseguire più calate.
Infine, in particolare per i pescherecci che praticano la pesca di profondità, imbattersi in rifiuti pesanti e dalle grandi dimensioni, può rappresentare un grosso rischio per la sicurezza dell’equipaggio stesso”.
In che modo la presenza di rifiuti nei mari influisce sulla qualità del pesce che consumiamo?
F.B. “Il danno peggiore causato dalla presenza dei rifiuti in mare è subito dalle specie ittiche stesse, che spesso confondono i rifiuti come potenziale cibo. Questo “finto nutrimento” illude il pesce di essere effettivamente sazio, arrecando pertanto un danno al benessere generale degli animali. Inoltre, i rifiuti marini diventano spesso anche una vera e propria trappola per alcuni pesci, dalla quale purtroppo difficilmente riescono a liberarsi. È quindi fondamentale il ruolo che il nostro settore svolge quotidianamente per la pulizia dei mari, spesso senza alcun riconoscimento sociale”.
Quali sono le azioni, a vostro avviso, necessarie per affrontare il problema?
F.B.: “Da tempo Federpesca è impegnata nel contrasto ai rifiuti marini e ha promosso molti progetti che prevedono il recupero, lo stoccaggio e la trasformazione di rifiuti marini accidentalmente pescati. Ha innanzitutto fortemente incoraggiato l’adozione della Legge Salvamare e costantemente monitorato i lavori. Grazie all’adozione di questa normativa, dal giugno 2021, il ruolo dei pescatori viene riconosciuto e valorizzato, incoraggiandoli a tenere a bordo i rifiuti marini accidentalmente catturati durante la loro attività in mare. Prima di allora, paradossalmente, il pescatore veniva considerato esso stesso il produttore di quei rifiuti con ciò che ne conseguiva in termini amministrativi e penali. Un approccio che disincentivava questa attività, ma nonostante il quale i pescatori italiani hanno comunque dato il loro contributo alla pulizia dei mari. Siamo tuttavia ancora in attesa dei decreti attuativi della legge, pertanto lavoriamo con le istituzioni di competenza perché questi vengano adottati nel minor tempo possibile e cominciare dunque a vedere gli impatti positivi delle misure.
Tra le maggiori criticità che ci duole evidenziare, vi è innanzitutto la presenza di un numero ancora esiguo di isole ecologiche nei porti dove poter stoccare i rifiuti marini e quelli speciali. A questo proposito, abbiamo constatato che spesso le isole ecologiche esistenti non sono sufficientemente adeguate alla raccolta di rifiuti speciali. Si è poi talvolta rilevata una difficoltà e un coordinamento insufficiente tra enti locali e autorità portuali, dovute alla poca chiarezza normativa e alla definizione dei ruoli da adempiere per il conferimento e lo stoccaggio dei rifiuti marini e speciali. Inoltre, il ruolo dei pescatori potrebbe essere ulteriormente riconosciuto in vista di eventuali premialità sui bandi e di compensazione tramite la cancellazione di punti alla licenza per infrazioni. A nostro avviso, sarebbe dunque necessario migliorare questi aspetti per poter al meglio gestire la quantità di rifiuti accidentalmente pescati”.
Infine, quali sono le iniziative realizzate o che vorreste realizzare come Federpesca su questo argomento?
F.B. “Nel 2023, Federpesca, in qualità di capofila, ha realizzato “Mare bene comune”, un progetto ideato per massimizzare l’impatto positivo che il settore della pesca può avere per combattere il problema dei rifiuti marini e contribuire alla protezione dei mari, alla conservazione delle aree marine protette, alla corretta gestione delle risorse biologiche e alla prevenzione dell’inquinamento marino, migliorando così la qualità dei prodotti ittici del Mediterraneo. Il progetto è stato implementato con la collaborazione della Cooperativa pescatori di Sciacca e l’Associazione armatori di Molfetta, che hanno permesso di coinvolgere 66 pescherecci a strascico e reti pelagiche, e 198 operatori, raccogliendo più di 8.000 kg di rifiuti in soli 3 mesi. Una dimostrazione di come le attività di pesca esercitate con il sistema a strascico contribuiscono in modo sostanziale alla riduzione dei rifiuti in mare. Federpesca negli ultimi anni ha sottoscritto un protocollo d’intesa con alcune aziende comunali come ad esempio quella del porto di Molfetta nel quale, negli ultimi 5 anni, sono state conferite 43 mila kg di rifiuti pescati in mare.
Un impegno che Federpesca porta avanti anche ora, cercando di sensibilizzare ulteriormente i propri associati verso le buone pratiche di conferimento dei rifiuti a bordo e in porto. Pratiche che abbiamo constatato siano diventate sempre più quotidiane nelle operazioni di pesca, mostrando così una grande sensibilità degli operatori ittici verso la cura e la salvaguardia dell’ecosistema marino, diventando veri e propri custodi del mare”.
Ultima domanda. Ciò che avviene nei mari fa spesso fatica ad essere raccontato ai consumatori. Cosa si può fare per sensibilizzare il pubblico sull’importanza di proteggere questo patrimonio?
F.B. “Innanzitutto crediamo sia fondamentale trasmettere ai più giovani l’importanza di salvaguardare i nostri mari: questo obiettivo può essere attuato attraverso attività educative che portino studenti e studentesse verso una maggiore attenzione per la raccolta differenziata e i giusti accorgimenti per conferire i rifiuti negli appositi cestini. I giovani hanno poi spesso una grande influenza anche verso i propri genitori, familiari, amici.
In questo senso, Federpesca, sempre nel contesto del progetto Mare Bene Comune, ha realizzato un fumetto dal titolo “Mariuccio, Una chela lava l’altra”, per raccontare ai più piccoli il meraviglioso mondo del mare e della pesca e il contributo che i pescatori stanno dando per la raccolta dei rifiuti marini pescati accidentalmente in mare. Oltre ciò, Federpesca, tramite i propri associati, organizza anche momenti di incontro educativi con le scuole locali per far conoscere il mondo della pesca e sensibilizzare gli studenti sull’importanza di tutelare il mare e delle buone pratiche da seguire per conferire i rifiuti negli appositi contenitori.
Allo stesso tempo, è per noi fondamentale raccontare al pubblico i progetti che vedono coinvolti i pescatori, tramite convegni e roadshow al fine trasmettere anche attraverso le loro parole, come il mare sia davvero un bene comune che dobbiamo rispettare e preservare”.
Immagine in evidenza di: Alexei Novikov/shutterstock