Si dice che “una rondine non fa primavera”, ma quando arrivano le prime fave fresche dell’anno non ci sono più dubbi. In genere, si inizia a coglierle a marzo e viene quindi automatico collegarle all’avvento della bella stagione. E magari proprio questo senso di liberazione per essersi lasciati alle spalle l’inverno e i suoi rigori ha ispirato la creatività nell’utilizzarle in cucina. Non sappiamo se sia davvero così, ma la certezza su cui possiamo contare è una florida eredità di ricette e specialità regionali a base di fave. Dalla vignarola romana al macco siciliano, passando per fave e cicoria pugliese e la garmugia lucchese, e ancora le fave ‘ngreccia marchigiane, la scafata umbra e le fave alla sassarese: ecco una rassegna di piatti tipici della cucina italiana che hanno il legume principe della primavera per protagonista.
Vignarola, scafata, garmugia & Co.: ecco le più note specialità regionali con le fave

Quando parliamo di fave in ambito culinario ci riferiamo solitamente ai semi contenuti nei baccelli della pianta dal nome scientifico Vicia faba. Dalla forma irregolarmente tondeggiante e dal colore verde tenue, hanno una consistenza soda e croccante e un sentore spiccatamente erbaceo, che si apprezza soprattutto a crudo. Un grande classico in questo senso è l’abbinamento fave e pecorino, che, accompagnato con un pezzo di pane e un bicchiere di vino rosso, costituisce un pasto frugale della tradizione contadina. Ed è proprio al mondo rurale che si deve l’uso ricorrente dei legumi in cucina, come abbiamo visto ad esempio con la crapiata materana. Fagioli, ceci, piselli, cicerchie e, naturalmente, fave hanno rappresentato, del resto, una preziosa fonte di nutrienti, tra cui le proteine, in periodi nei quali alimenti come la carne non erano accessibili a tutti.
La cottura ne modifica in modo sostanziale tanto la consistenza quanto il gusto: diventano morbide e soprattutto accentuano il contrasto tra la leggera croccantezza esterna e l’interno polposo, che tende a sfarinarsi in bocca. L’aroma erbaceo si perde per lasciare spazio a un sentore tendenzialmente dolce e delicato. Caratteristiche che le rendono adatte a varie preparazioni: intere, come ingrediente base di zuppe e stufati di carne, oppure frullate in creme su cui allettare piatti di pesce alla griglia, quali ad esempio polpo e calamari, o – ancora – per sposare e stemperare altri elementi amari, come nel grande classico della tradizione pugliese fave e cicoria.
A questo punto è ormai tutto apparecchiato: non resta allora che andare a conoscere una per una le più note specialità regionali con le fave.
Vignarola
Nel dialetto romano col termine vignarolo si fa riferimento all’ortolano. E l’origine di questo piatto sembra nascere proprio da ciò che rimaneva invenduto sui banchi ortofrutticoli nel periodo primaverile. Perché la vignarola è un trionfo di verde e di primavera: protagonisti di questa delizia sono infatti carciofi, piselli, cipollotti novelli, lattuga e – ça va sans dire – fave fresche. Su una base di soffritto di cipollotto si vanno ad aggiungere man mano gli altri ingredienti, cuocendoli dolcemente fino a renderli teneri ma non sfatti. Si ottiene così una sorta di zuppa, che può essere gustata calda o tiepida, completata dall’aggiunta di qualche foglia di mentuccia e, in qualche caso, anche da una grattugiata di pecorino romano.
Trattandosi di una specialità popolare, al pari di quanto visto coi mondeghili, se ne sono tramandate diverse versioni, molte delle quali prevedono ad esempio la presenza del guanciale. In ogni caso, la vignarola è un classico della cucina capitolina: può essere servita come antipasto, come pietanza o come ricco condimento di un primo piatto ed è protagonista dei menù delle trattorie tipiche di Roma, dell’intera regione Lazio e non solo. I sapori della tradizione laziale stanno infatti vivendo una stagione di rinascita e sono sempre più spesso esportati con successo in altre città. Non sorprende quindi che ci si possa deliziare con un’ottima vignarola anche presso una delle tante osterie d’ispirazione romana a Milano.
Fave e cicorie
Un grande classico della cucina pugliese è l’abbinamento fave e cicorie. La base di partenza di solito è costituita dalle fave secche, che vanno opportunamente ammollate, a meno di non optare per quelle decorticate. Dopo averle sottoposte a una lunga cottura – uno o due ore in acqua bollente salata – si schiacciano riducendole a purea. Quest’ultima operazione può essere facilitata e velocizzata dall’utilizzo di un frullatore a immersione fino a ottenere una consistenza più o meno densa e vellutata, a seconda dei gusti. Il piatto si completa poi con la cicoria. Dopo averla sbollentata, in genere la si fa saltare in padella con aglio, olio e peperoncino e la si serve sul letto di crema di fave, completando con un giro di olio EVO a crudo e con del pane bruschettato. In questo modo si gioca sul contrasto tra la dolcezza delle fave e il piccante-amaro delle cicorie.
Specialità legata alla tradizione contadina dell’intera Puglia, di cui è PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) per il MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali), può essere preparata anche con le puntarelle di cicoria selvatica. Molte osterie e ristoranti di cucina tipica la propongono sia come antipasto, sia come piatto unico vegetariano. A differenza della vignarola, fave e cicoria non è un piatto strettamente stagionale. L’utilizzo del legume secco permette infatti di prepararlo tutto l’anno.
Macco di fave
Altra ricetta dal forte legame identitario con la sua terra d’origine, sancito anche in questo caso dall’inclusione nel registro PAT, è il macco di fave. Un piatto povero d’estrazione rurale che coinvolge l’intera Sicilia, con particolare riferimento a Raffadali, comune dell’agrigentino noto come ‘u paisi du maccu. Qui ogni anno, il primo fine settimana di ottobre, in occasione della Festa della Madonna del Rosario, si tiene la “Sagra del Macco”. Mentre a Ramacca, in provincia di Catania, il 19 marzo, durante le celebrazioni popolari della sentita ricorrenza di San Giuseppe, si serve “a pasta co maccu”.
Ma di cosa si tratta? Il macco di fave è nient’altro che una sorta di purea di fave, simile a quella che si prepara in Puglia. Anche in questo caso la base di partenza può essere costituita da fave fresche oppure secche, previo ammollo. La differenza è che si cucinano a partire da un soffritto d’olio e cipolla, aggiungendo poi acqua calda e prolungando la cottura finché si sfaldano e si riducono in una crema densa. Il piatto, sovente completato da pepe e finocchietto selvatico, si consuma, caldo o tiepido, così com’è. Non di rado però vi si aggiungono delle verdure di stagione, come bietole, borragine o tenerumi (foglie e germogli di una varietà di zucchina lunga molto diffusa in Sicilia), oppure lo si usa a condimento di un primo piatto di pasta. Un fulgido esempio in questo senso è rappresentato dai lolli che’ favi ragusani: cilindretti sottili e appuntiti (la cui forma ricorda quella di un fagiolino) di semola di grano duro con l’aggiunta di un po’ di lievito per farli gonfiare, mantecati con macco di fave e talvolta la ricotta a suggellare un connubio delicato e avvolgente.
Garmugia lucchese
Tra tanti piatti nati “poveri”, eccone uno che vanta, invece, nobili origini. La garmugia, tipica soprattutto di Lucca e provincia, è una specialità seicentesca, che nel secolo scorso ha trovato nuova linfa grazie alla Marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa. Nel suo scritto “Pranzi e conviti” del 1965 ha citato infatti la garmugia lucchese come piatto ricostituente, particolarmente indicato per le persone convalescenti.
Più nebulosa, invece, la genesi del nome: tra le varie teorie, ce n’è una che sostiene sia la derivazione di germiglio, che nel dialetto locale sta per “germoglio”. E il riferimento è alle primizie primaverili che lo compongono: piselli, carciofi, cipollotti, asparagi e, appunto, fave. Tutti ortaggi freschi, sottoposti a una cottura non eccessiva per renderli teneri ma abbastanza sodi da apprezzarne la consistenza, sostenuti dalla sapidità della pancetta e corroborati dalla sostanza del macinato di vitello.
Il risultato è un piatto unico, che può essere più o meno denso a seconda della quantità di brodo usata in cottura. A proposito di quest’ultimo, l’accorgimento di prepararlo utilizzando gli scarti degli ortaggi – come i gambi e le parti esterne del carciofo, i ciuffi verdi del cipollotto e i baccelli dei legumi – ne fa un ottimo esempio di ricetta antispreco.
Fave ‘ngreccia
Tipiche delle Marche, con particolare riferimento alla zona compresa tra Macerata e San Benedetto del Tronto, le fave ‘ngreccia sono un piatto povero che si può preparare sia con le fave fresche, sia con quelle secche. Anzi, proprio quest’ultime hanno storicamente rappresentato una risorsa importante per le famiglie contadine durante la stagione invernale, quando gli ortaggi scarseggiano. Il termine dialettale ‘ngreccia significa “raggrinzita” e si riferisce al modo in cui si presentano le fave a cottura ultimata.
Dopo averle opportunamente ammollate, qualora si utilizzino quelle secche, le fave vanno lessate in acqua, salando una volta raggiunto il bollore, per 10-15 minuti. Dopodiché si condiscono con un battuto di aglio, filetti di acciughe sott’olio, prezzemolo, capperi, olio e aceto. Si aggiusta di sale e pepe e si mescola bene per insaporire tutto.
Ricetta semplice, in cui la sapidità del condimento esalta la dolcezza e la consistenza cedevole delle fave, si serve sia calda che tiepida e può rappresentare un ricco contorno, un antipasto o la base per altre preparazioni: primi piatti di pasta, ma anche pietanze di carne e di pesce. Può essere, ad esempio, uno dei tanti modi di cucinare il baccalà.
Questa specialità è legata anche alle celebrazioni della Madonna di Loreto. Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre, quando secondo leggenda si sarebbe verificata la traslazione della casa di Nazareth, condotta a Loreto (Ancona) da una schiera di angeli, si usa allestire le cosiddette fochere. Nient’altro che falò intorno ai quali le comunità locali si ritrovano in un rituale di preghiera e convivialità, nel corso del quale si preparano e si servono castagne arrostite, frittelle, vin brulè e, per l’appunto, fave ‘ngreccia.
Scafata umbra
Similmente alla vignarola, la scafata umbra è un piatto prettamente stagionale. Si usa infatti prepararlo con le fave fresche, che vengono scottate appena per poi essere unite a un soffritto di cipollotti, finocchietto selvatico e guanciale (in alternativa, pancetta o lardo). Dopo aver rosolato qualche minuto, si copre tutto con acqua e si porta avanti la cottura altri dieci minuti. Si aggiungono quindi le bietole spezzettate e, passati altri quindici minuti circa, tocca ai pomodori. Si prosegue per altri dieci minuti a fiamma bassa, dopodiché si aggiusta di sale e di pepe e si lascia intiepidire prima di servire con un giro d’olio EVO a crudo, del pane bruschettato ed eventualmente qualche foglia di mentuccia fresca. La tradizione vuole che si prepari in una pentola di coccio, che meglio si presta alle cotture dolci e prolungate.
Piatto tipico della cucina perugina, ma più in generale di tutta l’Umbria, con qualche sconfinamento nel vicino Lazio, deve il suo nome al baccello della fava, che ricorda lo scafo di un’imbarcazione.
Fave alla sassarese o fave a ribisàri
Il viaggio tra le specialità regionali con le fave ci fa approdare infine in Sardegna. Non lo abbiamo inserito nella nostra guida su cosa mangiare a Cagliari perché le fave a ribisàri sono più tipiche di un’altra zona dell’isola, ovvero la provincia di Sassari, motivo per il quale sono note anche come fave alla sassarese.
Si presentano come una zuppa piuttosto asciutta, con le fave tenere ma intere, insaporite dall’intingolo d’aglio, olio e peperoncino e aromatizzate con prezzemolo e/o con del finocchietto selvatico. Si accompagna anche in questo caso con del pane tostato o, più coerentemente con la tradizione locale, col pane carasau.
C’è anche una versione chiamata favata sarda, che è un vero e proprio piatto unico. Si tratta infatti di un ricco stufato in cui, oltre alle fave, trovano spazio salsiccia, costine e cotenna di maiale e verza.
Dopo questa rassegna di specialità regionali con le fave, tocca a voi dirci: quale di queste conoscevate già? E quale, invece, sareste più curiosi di provare?
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