Si può parlare di “falso integrale” quando, a dispetto dei nomi commerciali, i cibi sono in realtà realizzati con farine bianche, addizionate con crusca o cruschello. Come è possibile verificare leggendo le etichette, specialmente quelle dei prodotti da forno, si tratta di una pratica molto diffusa, conseguenza della domanda crescente di alimenti realizzati con farine non raffinate, che ha spinto l’industria alimentare a entrare massicciamente in questo mercato. A gradire l’integrale sono i consumatori più attenti alla salute, ma anche chi ama il gusto autentico dei cereali. Le proprietà delle farine non raffinate, infatti, si distinguono sia dal punto di vista nutrizionale che sul piano sensoriale, a maggior ragione se ricavate da grani antichi o tradizionali. Ma cosa si perde quando si mangia falso integrale e quali informazione ci permettono di identificarlo? Per saperne di più abbiamo interpellato nuovamente il professor Enzo Spisni, fisiologo della nutrizione dell’Università di Bologna.
Falso integrale: come viene prodotto?
Negli ultimi anni l’espansione del mercato dei cibi integrali è uno dei nuovi trend salutistici più costanti, che in parallelo ha visto crescere i dubbi sull’effettiva natura dei prodotti comunemente in vendita nei supermercati. Nei nomi commerciali, questa definizione viene attribuita o fatta intendere ben al di là delle reali caratteristiche delle merci disponibili sugli scaffali. Infatti, per buona parte dei prodotti da forno che sfruttano questa dicitura – tra i quali crackers, grissini, fette biscottate, biscotti e brioche – le farine bianche raffinate sono l’ingrediente principale.
Il professor Spisni spiega questa evidenza, sottolineando il fattore economico che guida i processi industriali, a loro volta determinanti per la commercializzazione. “In grandissima parte, la filiera del grano tenero viene destinata alla molitura a cilindri, un sistema estremamente veloce e in grado di macinare enormi quantità in modo efficiente e abbattendo i costi, con una produttività estremamente più elevata rispetto a quella dei mulini a pietra. Con questo sistema, però, si possono ottenere solo farine 0 e 00. I produttori parlano anche di farine integrali molite a cilindri, che però esistono più sulla carta che nella realtà. In teoria sarebbe possibile ottenerle dai mulini a cilindri, ma quasi sempre la scelta è quella di eliminare comunque il germe di grano, perché influisce negativamente sulla conservabilità del prodotto finale”.
Per imitare le caratteristiche di quelle integrali, partendo da farine raffinate e più economiche, “vengono aggiunti crusca o cruschello, ovvero le bucce esterne dei chicchi, residui di macinazione di basso pregio. In questo modo si ottiene un falso integrale, che però manca della parte più pregiata”.
La molitura a cilindri, infatti, divide il grano in tre prodotti:
- farina bianca (0 o 00);
- crusca e cruschello;
- germe di grano, il più prezioso per la salute e che, però, viene sempre scartato.
Farine integrali: perché l’industria fatica a utilizzarle?
La resistenza dell’industria alimentare rispetto all’uso delle farine integrali è determinata anche dalle esigenze di conservazione, fondamentali per una commercializzazione di lungo periodo. “Essendo ricco di grassi insaturi, il germe di grano irrancidisce rapidamente. Mentre le farine raffinate possono durare molto, anche anni, quelle integrali macinate a pietra durano solo pochi mesi. Pertanto, è chiaro che per l’industria è assai più facile lavorare con le farine 0 e 00, e quindi con prodotti durevoli e non soggetti a deterioramento. L’aggiunta di crusca o cruschello permettono di avvicinare anche una clientela in cerca di integrale: in questo caso, però, si tratterà solo di un’imitazione, priva delle proprietà nutrizionali desiderate”.
Come afferma il professore, “ai fini della nutrizione è assurdo che il prezioso germe di grano venga scartato, per diventare un sottoprodotto della molitura svenduto e destinato soprattutto alla mangimistica animale.”
[elementor-template id='142071']Come riconoscere il falso integrale?
Come si accennava, a livello commerciale molti prodotti sfruttano un quadro normativo che lascia spazio a nomi fuorvianti, del tipo “con farina Integrale”, “100% frumento”, “multicereale” o “sette cereali”.
In base alle indicazione Eufic (European food information council), un prodotto può essere chiamato “integrale” solo quando è preparato esclusivamente con farine che non hanno subito industrialmente una raffinazione. Di conseguenza, i prodotti con farine bianche e crusca o a base di farine raffinate e con una percentuale minoritaria di farina integrale non possono essere definiti come tali. Come precisa il professor Spisni, “se in etichetta leggiamo farina 0 o 00, a prescindere dalle quantità, sappiamo già che non si tratta di vero integrale, può bensì trattarsi di prodotti industrializzati che in parte possono contenere materie prime non raffinate. I nomi commerciali dei prodotti puntano sul fatto che spesso i consumatori non si soffermano a leggere le etichette, ma come sempre si tratta di un’abitudine imprescindibile per acquistare e mangiare con consapevolezza.”
Pertanto, nemmeno il colore più scuro dei cibi deve guidare la scelta e l’unica ma infallibile misura per non farsi confondere è l’attenta lettura degli ingredienti, menzionati in ordine decrescente.
Integrale falso vs autentico: quali sono le differenze nutrizionali?
Dopo aver accennato alle peculiarità originarie del grano, possiamo così riassumere le differenze tra falso e vero integrale descritte dal professor Spisni.
- L’integrale autentico, innanzitutto, può contare sulle proprietà del germe di grano, che contiene grassi insaturi, proteine vegetali, vitamina E, polifenoli e poliammine. Molto importante è il contenuto di fibre, anche solubili, indicate per la salute dell’apparato digerente, per l’abbattimento dell’indice glicemico, e quindi per la prevenzione di malattie non trasmissibili come il diabete o quelle cardiovascolari e anche per aiutarci a mantenere la linea, aumentando la sensazione di sazietà.
- Il profilo nutrizionale del falso integrale è molto simile a quello dei prodotti da farine bianche, così come il valore glicemico, alto e quindi non ottimale per la salute; l’aggiunta di crusca o cruschello apporta fibra insolubile, che diversamente da quella solubile in questo senso ha un effetto molto scarso. Chi ha problemi di glicemia, perciò, dovrebbe necessariamente orientarsi verso il vero integrale.
Di conseguenza, acquistare prodotti che nella realtà non hanno le proprietà di quelli integrali comporta una spesa superiore non motivata.
Integrale sì, ma biologico
Al di là dei problemi di gestione e conservabilità, i cereali integrali scontano un punto debole che deve far propendere le nostre preferenze verso il bio. A questo proposito, Spisni precisa che “nel germe di grano, essendo lipofilo (che si scioglie facilmente negli oli e nei grassi, ndr), finiscono tutti i pesticidi con questa caratteristica usati durante la coltivazione. Recentemente, ho svolto alcune analisi su questa parte della cariosside (materie prime italiane, europee e nordamericane, destinate alla miscelazione), rinvenendo sei agrofarmaci diversi, di cui due a livelli piuttosto alti. Quindi, è fondamentale mangiare integrale biologico, perché altrimenti sommando le sostanze contenute nel germe e nella crusca – che invece è soggetta ai trattamenti chimici di superficie – si rischia di ingerire un cocktail di pesticidi notevole”. Molte delle farine integrali vendute, ad ogni modo, sono biologiche.
Parlando dei casi di biologico falso, l’intervistato sottolinea che “in questo settore le contraffazioni dal punto di vista statistico difficilmente superano il 3% del totale analizzato. Il biologico, peraltro, subisce molti più controlli rispetto al convenzionale. Ad ogni modo, si tratta di una percentuale di truffa sicuramente non superiore rispetto a quella che grava su altri ambiti economici e produttivi, e comunque anche nei casi individuati i valori di pesticidi sono risultati inferiori se confrontati ai corrispettivi da agricoltura convenzionale. Il biologico serio e ben fatto esiste, eccome”. In un nostro approfondimento abbiamo avuto modo di confermare questa riflessione, smentendo i timori eccessivi che pesano su una forma di produzione importante, sia ai fini della salute che per l’economia e la salvaguardia dell’ambiente.
L’aumentata richiesta di cibi integrali può portare a riconvertire la produzione?
L’aumento della domanda di cibi integrali, parte integrante della vera dieta mediterranea, potrebbe far prevedere effetti significativi sulla produzione, un impatto che però il professor Spisni considera limitato. “Si sta verificando una certa tendenza a favore di questi prodotti, ma si tratta comunque di una nicchia, perché l’industria alimentare dei grandi numeri predilige sempre le farine raffinate. In termini quantitativi, le due produzioni non sono nemmeno paragonabili, tuttavia è bene che questa fascia di mercato cresca, soprattutto dal punto di vista di chi ha a cuore l’alimentazione sana. Molti prodotti derivati dal grano, compresa la pasta, offrono un’ampia gamma integrale o semi-integrale”.
Vi capita spesso di mangiare prodotti da farine integrali?
Altre fonti:
European food information council (Eufic), eufic.org