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False credenze sulle allergie e sulle intolleranze: intervista al dottor Corradi

 

 

È boom per i prodotti “senza”: dagli alimenti senza glutine a quelli senza olio di palma, passando per quelli senza grassi, senza zuccheri e senza lattosio. E ciò non accade soltanto nei casi in cui esista una forma di allergia diagnosticata o il riconoscimento della celiachia. Si è diffusa, infatti, la convinzione che i cibi “free from” facciano bene, una naturale reazione all’enfasi posta a livello di packaging e comunicazione, a proposito dell’ingrediente mancante presentato come negativo.

Gli italiani sono oggi molto preoccupati di quello che mangiano, cercano una dieta salutare, osservano le reazioni dell’organismo, soprattutto quando si tratta di vari tipi di disturbi gastrointestinali, e tendono a eliminare o aggiungere ingredienti alla dieta in piena autonomia o quasi. È vero che esistono casi di allergie e intolleranze che possono richiedere delle variazioni dell’alimentazione, ma sono molte le situazioni in cui cibi svaniscono dalla dieta senza il confronto con uno specialista. Per fare chiarezza a proposito di allergie e intolleranze abbiamo intervistato il dottor Ettore Corradi, direttore del reparto di Nutrizione Clinica dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano.

False allergie e intolleranze: come nasce il dubbio

latticini e uova
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“È molto complesso parlare di allergie e intolleranze alimentari distinguendo tra quelle vere e quelle false, perché ci sono tanti fattori concomitanti che rendono complessa una generalizzazione”, introduce l’argomento il dottor Corradi, che suggerisce di partire da una chiara definizione di cos’è un’allergia e cosa un’intolleranza alimentare.

Nel primo caso, infatti, si tratta di una condizione nella quale l’organismo ha una reazione avversa di tipo immunologico alle proteine (N.B. è vero che la maggior parte delle allergie alimentari è provocata da proteine ma è più corretto generalizzare e parlare di “sostanza esterna” o in caso di alimenti di “nutriente”. Quindi credo sia più corretto sostituire “alle proteine” con “a un nutriente”) contenute in alcuni alimenti. Potenzialmente qualsiasi alimento può provocare una reazione allergica, ma quelle più diffuse sono latte, grano, molluschi, frutta secca eccetera. “Sono molti gli adulti convinti di essere allergici a un alimento – aggiunge l’intervistato – ma non sempre è vero”. I dati dell’Associazione Allergologi ed Immunologi Italiani Territoriali ed Ospedalieri (AAIITO), infatti, stimano che circa il 3-4% degli italiani adulti soffre di un’allergia alimentare, percentuale che sale al 10% tra i bambini. “Diagnosticare un’allergia – precisa il dottor Corradi – non è semplice, tuttavia ci sono casi in cui è evidente che l’alimento scatena una reazione avversa da parte dell’organismo, anche con un contatto molto ridotto”.

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Individuare le intolleranze alimentari

Più complessa è la definizione e individuazione di una forma di intolleranza alimentare. Anche in questo caso, l’organismo scatena una reazione avversa a contatto con un alimento, ma la presenza o meno di essa e l’intensità dipendono dalla dose di cibo a cui è entrata in contatto. “La relazione tra una reazione, come ad esempio un mal di pancia, e l’alimento a cui si suppone ci sia l’intolleranza è spesso poco chiara e si presta a interpretazioni differenti”.

Nel caso dell’intolleranza, però, la reazione non è di tipo immunologico. Secondo le stime più aggiornate circa il 20% della popolazione italiana dichiara di essere intollerante ad almeno un alimento, percentuale che cresce tra coloro i quali soffrono di disturbi gastrointestinali e colon irritabile. Tuttavia sono frequenti i casi in cui, a seguito di una segnalazione, le analisi diagnostiche non individuano alcun problema specifico con i cibi.

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Intolleranza al glutine e al lattosio, un fenomeno anche culturale?

Il direttore del reparto Nutrizione dell’Ospedale Niguarda pone l’attenzione su due tipologie di intolleranza che, secondo la sua esperienza, sono quelle più diffuse: quella al glutine e quella al lattosio. “Un discorso a sé stante è quello relativo alla celiachia, che è possibile diagnosticare attraverso esami specialistici molto affidabili, mentre attualmente il termine “intolleranza al glutine” si presta a differenti interpretazioni, almeno nella comune vulgata”, specifica l’intervistato.

Entrambe si sono diffuse negli ultimi decenni, ma non è chiaro a livello scientifico cosa è successo e il perché. “È difficile fare delle sintesi, – commenta l’intervistato – perché  semplifichiamo oppure dobbiamo accettare che ci troviamo di fronte a un fenomeno che a volte non siamo in grado di capire. Quanto è cultura, quanto è emotività, quanto è un cambiamento del prodotto e in che modo questi alimenti condizionano la sintomatologia?”. Si tratta di domande a cui non è ancora possibile rispondere e che, dal lato del consumatore, lascia spazio a confusione, autodiagnosi e scelta di alimenti “senza” seguendo il sentito dire.

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“Pensiamo al caso dei latticini – aggiunge Corradi – salvo in casi di documentata mancanza abbiamo il corredo enzimatico per poter digerire il lattosio, ovvero lo zucchero del latte, eppure è opinione diffusa che consumare latte dopo l’infanzia faccia male”. Una falsa credenza che porta alcune persone a eliminare il lattosio dalla propria alimentazione. Tuttavia, ogni modifica della dieta, ribadisce il medico, dev’essere concordata con uno specialista e ogni dubbio andrebbe verificato con un professionista che può effettuare esami e eventuali diagnosi direttamente.

Esistono rischi per la salute?

La realtà, però, è che molti consumatori scelgono i cibi “free from” anche senza una vera allergia o intolleranza. Ciò ha delle potenziali conseguenze sull’organismo, anche se non di tipo fisiologico: “il sistema gastroenterico è uno dei bersagli più grossi del cervello e delle emozioni, per questo è complesso capire qual è l’effettiva causa precisa di dolori o diarrea, tipici sintomi associati alle intolleranze alimentari”. Dal punto di vista nutrizionale, invece, tendenzialmente spiega l’intervistato troviamo nei cibi “senza” lo stesso equilibrio di macronutrienti di quelli completi.

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Il dottor Corradi pone però l’attenzione sul fatto che, attualmente, non sia possibile misurare con certezza gli effetti sulla salute degli alimenti “senza”. “Si tratta di prodotti nuovi, considerati sicuri per poter essere messi sul mercato, ma in realtà prima di 20/30 anni sarà impossibile capire in che modo vengono recepiti dall’organismo. Faccio sempre l’esempio della margarina presentata sul mercato come panacea contro i mali del burro (ovvero il rischio cardiovascolare), ma di fatto si è visto che in grandi quantità l’uso  abituale poteva provocare problemi proprio sulle malattie che si pensava potesse sconfiggere!”.

Il direttore del reparto di Nutrizione del Niguarda aggiunge che l’impressione è che, in generale, l’approccio all’alimentazione degli italiani sia profondamente spaventato e in cerca del cibo “magico” capace di guarire qualsiasi patologia. “Questo approccio però – spiega l’intervistato – poteva funzionare all’inizio del secolo scorso, quando le malattie dipendevano direttamente da alcune carenze nutrizionali, come nel caso dello scorbuto. Oggi, invece, è la dieta nel suo complesso, unita all’attività motoria, a fare la differenza in termini di salute”.

 

La mancanza di serenità nell’alimentazione, che può portare anche all’auto diagnosi di intolleranze o allergie non sostenute dal punto di vista medico, ha potenzialmente serie conseguenze psicologiche e relazionali. “Convincersi di non poter più consumare cibi con glutine o con lattosio – conclude il dottor Corradi – non può che peggiorare la qualità della vita e ciò avviene inconsapevolmente, senza alcuna ragione”. Avete l’abitudine di consumare cibi “senza” e come mai li scegliete? Partecipate al dibattito e lasciate un commento!

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