Spesso scritte in caratteri molto piccoli, oppure ricche di asterischi e notazioni, le etichette restano il principale alleato dei consumatori durante la spesa, non soltanto per valutare con attenzione i valori nutrizionali. È qui, infatti, che è possibile trovare informazioni fondamentali su provenienza e qualità di ciò che stiamo acquistando e ricostruire alcuni passaggi della filiera che ha portato proprio quel prodotto fino agli scaffali. Soddisfatti o meno delle etichette, Ismea sul sito del Salvagente ha aperto una “Consultazione pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari” per capire cosa preferiscono gli italiani.
Cosa cambieresti dell’etichetta?
Negli ultimi anni molte le normative, spesso europee, hanno stimolato delle modifiche nelle etichette dei prodotti agroalimentari, proprio con l’obiettivo di fornire più informazioni ai consumatori. È quanto accaduto, per esempio, con l’obbligo di indicazione della provenienza per pomodoro, sughi e salse a tutela del made in Italy, ma anche con le nuove etichette per pasta e riso, che indicano la provenienza dei cereali. Gli italiani si sono dimostrati, ad oggi, molto sensibili a questa tematica, tant’è che una recente consultazione pubblica online del Ministero delle politiche agricole ha fatto emergere come per il 90% degli intervenuti sia fondamentale che l’etichetta dei prodotti caseari e del latte riporti il paese d’origine.
Ciò che leggiamo sulla scatola dei cibi che portiamo in tavola non è importante solo per ricostruire l’origine geografica. Sono molte altre le informazioni che dovrebbero trovarvi posto:
- il nome del prodotto,
- gli ingredienti,
- il produttore,
- gli attori che hanno preso parte anche al percorso di distribuzione,
- la quantità,
- la data di scadenza,
- le modalità di consumo e conservazione.
La consultazione di Ismea
È vero che queste informazioni devono essere presenti sull’etichetta per legge, ma ciò non significa che siano sempre chiare e accessibili, o sufficienti agli occhi del consumatore. Ecco, dunque, l’esigenza che ha portato Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, ad avviare una nuova consultazione online, per capire cosa non piace agli italiani delle etichette agroalimentari.
Secondo quanto riportato dai promotori, l’iniziativa ha quattro obiettivi:
- alimentare la trasparenza delle filiere agroalimentari;
- incentivare l’utilizzo e lo sviluppo di strumenti che aiutino i cittadini a dire la loro e controllare ciò che viene fatto;
- rendere più efficiente l’azione governativa, che può basarsi, di conseguenza, su dati aggiornati a proposito delle effettive esigenze e dei bisogni delle persone;
- stimolare una crescita delle consultazioni pubbliche, in linea con quanto promosso dalle istituzioni europee.
I dati raccolti, infatti, verranno elaborati e presentati al Mipaaf, Ministero delle politiche agricole, affinché possano essere impiegati per elaborare le politiche pubbliche del futuro a proposito delle etichette. Inoltre, verranno pubblicati anche sul sito di Ismea, affinché possa nascere e proseguire un dibattito pubblico su quanto emerso.
L’opinione della nutrizionista
Il tema dell’etichetta è molto caro a tutti coloro i quali si occupano di alimentazione, come la dottoressa Francesca Evangelisti, biologa nutrizionista bolognese con cui Il Giornale del Cibo collabora stabilmente per indagare e approfondire proprietà e caratteristiche degli alimenti.
Argomento ricorrente è, infatti, proprio l’esigenza di leggere con attenzione le etichette dei prodotti acquistati, soprattutto quando si tratta di cibi a lunga conservazione come i legumi in scatola. È necessario verificare che siano presenti tutti gli ingredienti e prestare particolare attenzione a zuccheri, sale e conservanti aggiunti che possono essere dannosi per la salute.
Questi sono, dunque, elementi che dovrebbero essere messi in evidenza sull’etichetta, e non soltanto posizionati in maniera talvolta poco chiara o non facilmente leggibile.
Per un’etichetta trasparente contro lo sfruttamento
Chi, invece, si batte da tempo per un’etichetta trasparente e addirittura narrante sono le molte associazioni, cooperative e organizzazioni attive in alcune delle filiere più contaminate da caporalato e agromafie. Sui barattoli della passata di pomodoro di Sfrutta Zero, per esempio, troviamo i volti di chi ha partecipato alla raccolta, al confezionamento e alla realizzazione del prodotto nelle campagne di Bari e Nardò. Su quella di Funky Tomato c’è un’illustrazione che richiama la pop art di Angela Davis, attivista afroamericana vero e simbolo delle battaglie per i diritti, mentre sul retro vengono definiti, in maniera trasparente, gli elementi che hanno portato alla definizione di un prezzo. Sull’etichetta dei prodotti No Cap si trova, infine, la garanzia di adesione al decalogo etico promosso dall’associazione e, per approfondire, un QR Code che porta direttamente ad un approfondimento sul percorso di quello specifico prodotto.
Come evidenziato dal giornalista Antonello Mangano, curatore del progetto “Filiere”, l’etichetta può diventare anche uno strumento per capire a uno primo sguardo se, per realizzare quel prodotto, sono stati rispettati o meno i diritti dei lavoratori. La proposta, infatti, è di inserire l’indice di congruità, ovvero un dato che consente di capire quante persone sono state assunte e per quanto tempo per poter raccogliere una determinata quantità di pomodori, o altri prodotti agroalimentari. Non si tratta di un’operazione di semplice lettura, ma inserirla in etichetta consentirebbe al consumatore di iniziare ad abituarsi a questo dato, imparando piano piano ad interpretarlo e, dunque, a fare scelte più consapevoli a proposito di ciò che effettivamente sta acquistando.
Quali sono, secondo voi, gli elementi che dovrebbero essere riportati in etichetta o evidenziati meglio? Raccontatecelo nei commenti.