Questa non è solo una storia italiana, né tanto meno una vicenda mediterranea. Almeno non solo. Se in una mensa su tre del Parlamento e della Commissione europea viene servito pesce taroccato, un’abitudine diffusa per altro un po’ in tutta Bruxelles, significa che il vizio è esteso e redditizio. Lo scandalo rivelato dalla ricerca della ong Oceana ha, infatti, fatto il giro del continente: nel dossier “Too cheap to be true” (‘Troppo economico per essere autentico), sono stati analizzati 280 campioni di pesce servito in vari locali della capitale del Belgio e quello che è emerso è che in un caso su tre la specie cucinata non corrisponde a quella indicata sul menu. In parole povere: il sistema di etichettatura dei prodotti ittici non funziona. È un colabrodo, se persino nei ristoranti del cuore e cervello dell’Europa la frode ittica, sfacciata e impunita, penetra così facilmente, sfacciata e impunita.
La sostituzione: la truffa più diffusa
La sostituzione di una specie con un’altra più economica e meno pregiata è oggi pratica non troppo difficile: l’alto numero di intermediari tra la cattura e la vendita, la sempre più diffusa lavorazione del prodotto, una tracciabilità evidentemente non impeccabile e l’altissimo numero di specie oggi immesse sul mercato (in Italia sono oltre 900, il doppio negli Stati Uniti) hanno reso semplice il tranello. E così diventa facile sostituire un merluzzo, un salmone o un dentice, le specie pregiate più colpite, con i loro cugini poveri. O ancora spacciare un pesce proveniente dalla Patagonia per un branzino cileno e, prassi diffusa in Italia, il pesce ghiaccio esportato a tonnellate dalla Cina per bianchetto o rossetto.
L’uno viene venduto per poco più di un euro al chilo, l’altro si aggira sui 30: la tentazione è forte. E così, un sarago diventa per magia un’orata, il pangasio un halibut. Difficile, d’altronde, una verifica immediata da parte dell’utente, visto che questi pesci davvero assomigliano ai parenti nobili, e gli strumenti scientifici per smascherarli, l’analisi del dna in primis, non sono alla portata di tutti. Nel 2011 una ricerca dell’Università Bicocca di Milano utilizzò proprio la tecnica del dna barcoding per scoprire che nell’85% degli esercizi commerciali milanesi, il palombo, spacciato per tale, era in realtà ben altro, scovando 15 specie differenti.
Gli additivi chimici
Secondo l’analisi presentata lo scorso maggio da Coldiretti Impresapesca, un’altra attività molto diffusa è quella dell’alterazione del prodotto con additivi chimici illegali. È il caso dell’utilizzo di conservanti vietati in Italia, come il Cafodos, usato soprattutto per acciughe e sgombri, e dell’acqua ossigenata, che rende più brillanti e bianche le carni di molluschi come totani, seppie e calamari. E ancora, secondo l’associazione è massiccio l’uso del monossido di carbonio, utilizzato per pesce proveniente dall’est, e dell’acido borico, grazie al quale a bordo dei pescherecci i gamberoni si mantengono rossi. Un’altra attività molto praticata, registrata anche da Coldiretti, è la presentazione di molluschi e crostacei come freschi, mentre sono in realtà decongelati.
I numeri degli illeciti in Italia
Il rapporto Ecomafia 2015 lo ha definito “impressionante”. È il numero di reati alla voce lavorazione e commercializzazione dei prodotti ittici in Italia. Tra pesci, crostacei, novellame, molluschi e datteri, i casi illeciti sono stati nel 2014 ben 5.934, il 74% dei 7985 totali. Quasi venti truffe scoperte al giorno. I reati hanno portato a 353 denunce penali e al sequestro di prodotti per un ammontare di 31 milioni 640mila euro. Un vero business, che emerge anche dall’analisi di Coldiretti Impresapesca e basata sull’attività dei carabinieri: nel 2014 le inchieste in tutta Italia del Nas hanno portato a 77 denunce penali e 426 amministrative. Secondo il rapporto frodi di Fare ambiente, che prende le mosse dai numeri della capitaneria, nel 2014 le sanzioni elevate hanno superato i 7 milioni di euro, con sequestri di 257.238 chili di pesce per frodi commerciali e 251.682 per mancanza di tracciabilità.
Dal frodo alla frode
Una sola lettera di differenza, un rapporto strettissimo che li lega. Dall’illegalità della pesca, e dunque dal frodo, arriva un altro segmento notevole delle frodi ittiche, perché i prodotti, ovviamente privi di tracciabilità, arrivano poi sui banchi delle pescherie. Secondo il rapporto Maremonstrum 2014 di Legambiente, sono ancora una volta le regioni del sud Italia a guidare la classifica: la Sicilia si conferma al primo posto, con addirittura un aumento delle infrazioni accertate, cresciute dalle 1.045 del 2012 alle 1.190 del 2013. Ma l’aumento riguarda un po’ tutte le regioni italiane: la Campania è passata da 668 a 865, il Veneto da 188 a 399, l’Abruzzo da 85 a 184. Il totale è di 6.086. Nel 2013, si legge ancora nel rapporto, oltre 130 tonnellate di tonno rosso sono state pescate illecitamente da pescherecci italiani e sequestrati dalla Guardia costiera. Ben poco, in realtà, rispetto al volume totale di tonno rosso illegale che entra nel mercato dell’Unione europea. Del resto ogni anno la pesca illegale, secondo dati Fao del 2011, provoca perdite per circa 20 miliardi di dollari.
Come difendersi
La strada è quella intrapresa tempo fa dall’Istituto zooprofilattico del Piemonte col decalogo “Ok! Il pesce è giusto”: si tratta di un vademecum per il cittadino che parte dalla questione dell’ etichettatura dei prodotti ittici, dalla lettura della quale scaturisce la prima norma per difendersi dalle truffe, e dispensa consigli ai consumatori. Sull’etichetta, secondo norme europee, sono obbligatori la denominazione commerciale della specie, accompagnata dal nome scientifico, la zona di cattura, la modalità di pesca o la zona di allevamento, lo stato fisico del prodotto, oltre alla presenza di eventuali additivi, quelli consentiti dalla legge. Lo stesso istituto piemontese ha dato vita anche ad una app per smartphone e tablet, in grado di riconoscere un prodotto tracciato.