L’eccellenza nell’eccedenza: storia di un’imprenditrice ecologica
Realizza materiali per l’edilizia senza utilizzare neanche una goccia di petrolio: pitture, rivestimenti, pannelli isolanti di altissima qualità provenienti dagli scarti del settore agroalimentare, prodotti ad alta prestazione che non temono la concorrenza in un mercato ancora in gran parte dominato dal petrolchimico. Daniela Ducato, ambasciatrice delle Regione Sardegna ad Expo, ha ricevuto recentemente l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica italiana dal Presidente Mattarella per i suoi meriti nel campo della green economy. Ci ha raccontato della sua azienda, ma anche delle responsabilità del settore delle costruzioni sull’impatto ambientale, di cosa significa veramente “riciclare” e di quello che in tema di scarti di solito i media non dicono.
Che cos’è la Materioteca EDIZERO da lei fondata?
Daniela Ducato: “È la prima libreria al mondo di materiali per l’edilizia e l’interior design costituita esclusivamente da prodotti rinnovabili, non coltivati ma provenienti dalle eccedenze. Tutti i nostri materiali hanno la certificazione ANAB-ICEA, un’attestazione etica e ambientale per l’agricoltura biologica (ICEA) vista anche attraverso il controllo dell’associazione nazionale di architettura bioecologica (ANAB). Questo significa una completa tracciabilità dei materiali a partire dalla provenienza degli ingredienti fino alla fine della vita del prodotto, che nel nostro caso tornerà a nutrire il pianeta senza dover essere riciclato…”
Scusi, ma il “riciclo”, lo sanno tutti, è una cosa buona per l’ambiente. O forse no?
D.D.: “Riciclo” è una parola che spesso ci mette la coscienza a posto, ma dobbiamo ricordare che va bene per alcuni materiali, come l’alluminio, ma non per altri. Per riciclare la plastica ad esempio dobbiamo aggiungere sempre una quantità di plastica vergine, andando a consumare altra energia e altra petrolchimica. Ecco perché la nostra scelta riguarda sia l’inizio vita sia il fine vita del prodotto. Il nostro lavoro viene svolto in sinergia con le filiere agricole di cui utilizziamo le eccedenze delle lavorazioni.
Questo significa ad esempio che per produrre le nostre pitture utilizziamo dei pigmenti vegetali provenienti dagli scarti della filiera vitivinicola, e per scarti intendo tutta quella parte della pianta che non rientra nel ciclo alimentare, ma che verrebbe comunque eliminata tramite processi di smaltimento. Non solo la pittura risulterà quindi naturale e completamente ecologica, ma non sarà stato necessario nemmeno togliere del suolo all’agricoltura per coltivare i pigmenti.
La priorità rimane infatti la produzione del cibo e la salvaguardia dei terreni agricoli, e non mi riferisco solo a quelli di casa nostra. Non troverà ad esempio mai fra i nostri prodotti materiali a base di kenaf. La coltivazione di questa fibra naturale, prodotta per il 90% in Africa, oltre a sfruttare il lavoro delle donne toglie spazio ad altre produzioni alimentari, al cibo, per produrre materiali che servono alla nostra ‘bio-edilizia’, che a questo punto non può più essere definita bio.
Cosa intende esattamente con “eccedenze”?
D.D.: “Le eccedenze sono prima di tutto gli scarti della lavorazione, un materiale che abbiamo in abbondanza. Quando i media parlano di spreco di cibo, si riferiscono solitamente solo al cibo invenduto, scaduto o lasciato nel piatto. Ciò che invece incide maggiormente in termini di spreco di cibo sono le sottolavorazioni. Prima di arrivare nel nostro piatto, quel filo d’olio ha lasciato dietro di sé un’incredibile quantità di scarti (acque di vegetazione, fecce, diverse tipologie di sanse). Solo il 6% di un grappolo d’uva diventa il vino buonissimo che portiamo in tavola, il resto è rifiuto. Perciò chi produce vino produce rifiuti, chi produce i pelati di pomodoro produce anche le bucce, che sono rifiuto. Certo, anche il cibo che rimane nel piatto o che lasciamo scadere nel frigo è uno spreco. Ma lo spreco principale in un paese come l’Italia, che ha questa bellissima, straordinaria agricoltura, sono i prodotti della sottolavorazione dell’agricoltura stessa, le materie ultime. Il mio lavoro è trasformare le materie ultime delle filiere del cibo in materie prime per le filiere dell’edilizia, senza andare ad affaticare la terra con coltivazioni specifiche”.
Qual è l’impatto del settore dell’edilizia sull’ambiente?
D.D.: “Siamo tutti concentrati sul food, ma l’attività umana più inquinante e impattante al mondo è il settore delle costruzioni. È anche il comparto che consuma più petrolchimica e quindi è anche quello che causa più guerra, in quanto, lo sappiamo, il petrolio è la prima causa di guerra ed è il petrolio che finanzia il terrorismo internazionale. Noi abbiamo una grossa responsabilità come produttori, come imprese che sono coinvolte nel settore delle costruzioni. Una responsabilità che è taciuta perché i media sono invece concentrati sullo spreco di cibo, su quello che lasciamo nel piatto.
Siamo tutti attenti al vino bio poi andiamo ad imbottire le nostre case di materiali petrolchimici. Nei ristoranti dove andiamo a mangiare respiriamo pareti fatte di petrolchimica e facciamo le nostre degustazioni sensoriali dimenticandoci che siamo in un microclima pieno di formaldeide. Bisogna capire che le cose avvengono nei luoghi, quei luoghi si chiamano architetture e le architetture sono fatte di materiali. Quello che cerchiamo di fare noi è produrre materiali di qualità senza l’utilizzo di petrolchimica”.
Ci fa qualche esempio di prodotti provenienti dalle eccedenze agricole?
D.D.: “Ad esempio le pitture per muri. Abbiamo una cartella di 400 colori (di cui 28 erano esposti nel Padiglione Sardegna ad Expo) frutto di ingredienti che provengono dalle fecce, dai raspi, dalle vinacce, da tutta la sottolavorazione del vitivinicolo che viene trasformata in pitture per muri certificate, traspiranti, con una base di calce e quindi battericide. Ai visitatori di Expo abbiamo mostrato un rivestimento per pareti o pavimenti che aveva tra i suoi ingredienti, oltre ai reflui dell’olio d’oliva, le bucce dei pomodori. Un altro aveva come base le scotte della lavorazione del pecorino a cui viene aggiunto un digestato, ovvero una parte di fermentazione di sterco bovino prodotto da animali che pascolano allo stato semiselvatico, nutrendosi di erbe spontanee fresche.
Il loro stomaco diventa così il nostro laboratorio chimico e quello che comunemente chiamiamo sterco in realtà può diventare una base molto interessante per la produzione di ingredienti per rivestimenti. Poi ancora: un rivestimento murale in agriceramica, una superficie idrorepellente e lucida simile alle piastrelle fatta con le eccedenze dei carciofi. I carciofini sott’olio che mangiamo sono solo il 10% della pianta, noi utilizziamo il rimanente 90% che altrimenti diventerebbe rifiuto. Per i panelli isolanti di lana di pecora lavoriamo in sinergia con le filiere casearie. Utilizziamo la parte corta del pelo, quella di minor pregio che comunque verrebbe scartata perché non rientra nella produzione industriale di filato che necessita invece di pelo più lungo e di superficie. In sostanza, ci inseriamo nei principali poli industriali della Regione e lavoriamo in sinergia con loro”.
Materiali naturali e case sane, suona tutto molto bene. Ma questi prodotti riescono a competere sul mercato?
D.D.: “Se i materiali sono solamente ecologici e belli non sono appetibili sul mercato. Quello che serve veramente ad un ingegnere non è un bel racconto ma i numeri, la matematica. Perché per progettare una casa deve innanzitutto capire esattamente quanto materiale deve usare per creare il giusto efficientamento energetico, acustico o igrometrico dell’edificio. Per questo prima di immettere un prodotto sul mercato cerchiamo l’eccellenza tecnologica e prestazionale. Se i numeri funzionano, allora chi deve scegliere il prodotto può anche appassionarsi alla storia che ci sta dietro e tenere conto dell’aspetto etico, ambientale, ecologico”.
Insomma, altissima qualità per un mondo migliore?
D.D.: “Non so se possiamo avere un mondo migliore. Quello che so è che siamo pieni di eccedenze, di rifiuti che sono per me materiali straordinari capaci di raccontare l’agricoltura tanto quanto un buon bicchiere di vino. Quando guardo le variazioni cromatiche provenienti dalle fecce del vino me ne innamoro, perché raccontano la storia di quel vino e di quel territorio.
Gli scarti io li chiamo eccellenze, le materie ultime le chiamo materie prime. L’idea di spreco in natura non esiste, è una cosa di noi umani. Lo scarto di un animale diventa risorsa per un altro animale. Perciò non inventiamo niente, cerchiamo solo di interpretare il mondo come farebbe una formica o un pettirosso; lo facciamo però stando sul mercato e creando prodotti che diventano case, edifici, intonaci, con materiali che, a differenza dei petrolchimici, possono regalarci anche delle vibrazioni positive e trasmettere degli impulsi al nostro cervello simili a quelli che ci trasmette la natura. Cerchiamo di coltivare bellezza ed ecologia, per lasciare qualcosa di buono anche a quelli che verranno dopo di noi”.