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La polenta con i mais autoctoni: dove assaggiarla a Bergamo

Se è vero che siamo quel che mangiamo, allora siamo sicuramente mais, anzi siamo prodotti della lavorazione del mais, come scrisse Michael Pollan ne Il dilemma dell’onnivoro. Ebbene sì, perché il mais con la sua versatilità d’impiego (e assenza di glutine) è l’eroe della nostra storia, che ha conquistato le tavole diffondendosi più di qualsiasi altra specie coltivata.

E chi l’avrebbe mai detto nel maggio del 1493, quando Colombo parlò per la prima volta alla corte di Isabella di questa stranezza botanica che aveva scoperto nel Nuovo Mondo, dove, soprattutto in Messico, è ancora il fondamento dell’alimentazione? Ormai da quasi nove millenni, il 40% delle calorie giornaliere di un messicano viene assunto direttamente dal mais, quasi sempre sotto forma di tortillas (dopo la preparazione tradizionale dell’impasto la “masa”, mediante la cottura dei chicchi in acqua con calce durante il cosiddetto processo di nixtamalizzazione). C’è da dire che anche nel nord Italia non scherziamo, in particolare nella provincia di Bergamo, dove il melgòt lo troviamo, com’è noto, più sotto forma di polenta. Eppure, non è la sola ricetta a base di mais… Vediamo di scoprirne qualcosa di più!

Dove mangiare la polenta bergamasca con i mais locali

mais locali bergamo

Come vi avevamo già accennato in merito alla polenta bergamasca, nella provincia di Bergamo il mais è molto importante, tant’è che ha segnato le sorti del suo piatto tipico per eccellenza, che ha sfamato per secoli numerose famiglie. Sarà perchè questo cereale si adatta a diversi ambienti, a maggior ragione nei particolari terreni della pianura e delle valli che, fertili e ricchi di acque, consentono la produzione di mais in grandi quantità.

Eppure, a partire dagli anni Cinquanta le varietà tradizionali di granoturco sono state progressivamente abbandonate e soppiantate da ibridi di provenienza nordamericana, per maggiori potenzialità produttive e per una generale rottura del rapporto tra uomo e terra. E pensare che nessun altra pianta addomesticata come il granoturco è così strettamente legata all’uomo, dipendente da quel suo pollice opponibile, capace di sfogliare la pannocchia, sgranare i chicchi e piantarli. Ma negli anni l’uomo non l’ha solo abbandonato, ha formato diversi enti e centri di tutela e ricerca sul granoturco locale, antico o tradizionale, come la Banca del Germoplasma di mais del Centro di Ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo, che conserva un patrimonio unico al mondo di biodiversità di circa 600 varietà tradizionali di mais italiane, e oltre 5000 accessioni e varietà di altri paesi.

Fondata a Curno nel 1920, come la prima Regia Stazione Sperimentale di Maiscoltura, “negli ultimi anni – spiega Paolo Valoti, referente esperto della Banca del Germoplasma, che ha dato un importantissimo contributo di valore al nostro lavoro di ricerca – il rinnovato interesse verso la riscoperta delle tipicità e qualità del cibo italiano, e lo sviluppo sempre maggiore della coscienza ecologica e produzione sostenibile, hanno stimolato l’attenzione per le varietà antiche e tradizionali di mais, sia per la produzione di farine per polente tipiche e di prodotti locali, che per la valorizzazione culturale e socio-economica di territori in particolari aree geografiche e di montagna. Diversi sono i progetti avviati e sviluppati per la reintroduzione e coltivazione di varietà autoctone di mais attraverso lavori di filiera con agricoltori, trasformatori e consumatori, e la sinergia di rete tra associazioni, consorzi e enti locali”.

Così, oggi possiamo affermare che è in atto un grande lavoro di recupero di alcune varietà di mais bergamasche, molto diverse tra loro anche a distanza di pochi chilometri, che rendono possibile un’incredibile biodiversità in tavola. Volete saperne di più?

Dove mangiare la polenta con lo Spinato di Gandino

Il primo luogo in Lombardia a coltivare mais è stato Gandino, nelle Cinque Terre della Val Gandino, una valle laterale della Val Seriana, che comprende i comuni di Gandino, Leffe, Casnigo Peia e Cazzano S.Andrea. Ve n’è traccia in un documento del 1632 redatto da Filippo Lussana, dove si racconta della semina di questo “Melgotto” nel campo di Clusvene, in un podere di proprietà della nobile famiglia Giovannelli, fra le più attive nella produzione e nel commercio dei pregiati pannilana che hanno reso ricca questa valle. Un particolare che lascia supporre che il Mais Spinato (dall’inconfondibile forma appuntita dei chicchi) sia giunto a Gandino da Venezia e Belluno, aree in cui il conte Miari coltivò il mais nei decenni precedenti.
Se nel tempo, come altri mais, anche questo ha subito un arresto, oggi è di nuovo in vita grazie al progetto di rivalutazione portato avanti dalla Comunità del Mais Spinato di Gandino che a partire dal 2007 ha ricreato una filiera virtuosa e sostenibile dal campo alla tavola, con decine di prodotti che fanno la gioia dei buongustai. Fra quanti hanno aderito al progetto c’è anche l’azienda Agrigal del giovanissimo Adriano Galizzi, che ha iniziato a coltivare il Mais Spinato mentre ancora stava studiando ingegneria gestionale.
Dopo la laurea al Politecnico di Milano, ha avviato una piccola attività agricola, che oggi lo vede primo produttore in Lombardia di gallette di mais a chicco intero. Il semi del Mais Spinato sono oggi conservate presso l’Unità di Ricerca per la Maiscoltura del Ministero, nella Banca del Germoplasma di Pavia e nel Svalbard Global Seed Vault, famoso deposito per la conservazione mondiale dei semi. Inoltre, nel 2015, il Mais Spinato di Gandino è stato inserito dal Ministero delle politiche agricole (primo in Lombardia) nel Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione. Il progetto del Mais Spinato ha ricreato una filiera completa, con un mulino a pietra dell’Agricola Clemente Savoldelli ed una varietà di prodotti che propone non solo polenta, ma anche gallette, birra, gelato, grissini, frollini, ravioli ed altre specialità. In Val Gandino sono numerosi i locali che propongono menu a tema con il Mais di Gandino, come il Ristorante Centrale, l’Agriturismo “Le Rondini” e la Salumeria con cucina Perletti; altri ristoranti che Agrigal rifornisce con la sua farina, dove potete trovare la polenta con il Mais di Gandino sono la Tenuta Serradesca di Scanzo, La Taverna della Taragna di San Pellegrino, Il Caminetto a Branzi, la Locanda dei Cantù a Carona e il noto locale da Mimmo di Bergamo Alta che ha fatto e continua a fare la storia della gastronomia bergamasca.

Dove mangiare la polenta con il Rostrato Rosso di Rovetta

Questa varietà autoctona cresce storicamente sull’altopiano di Rovetta, in val Seriana, ai piedi della Presolana. Se nel tempo la produzione non si è mai interrotta è grazie all’agricoltore storico Giovanni Marinoni, che ha selezionato e mantenuto con cura la semente: “qui a Rovetta abbiamo sempre vissuto con una pertica di granoturco e una di patate”. Il recupero di questo mais, però, è iniziato nel 2004, quando l’agronomo Aureliano Brandolini vide un cesto pieno di queste pannocchie alla sagra della patata rovettese. Insieme a Paolo Valoti, avviarono un prezioso lavoro di valorizzazione con il Comune di Rovetta che portò con l’istituzione del marchio De.C.O. (Denominazione Comunale d’Origine) nel 2011, con deposito dei semi alla Banca del Germoplasma di Bergamo.

Questo mais si distingue per la presenza di un uncino sulla punta del seme, i chicchi rostrati cioè con un “rostro”, da cui il nome, e per il tipico colore rosso scuro che si ritrova poi nella farina integrale macinata a pietra e, ovviamente, nella polenta. Oltre al colore, questa farina ha un aroma molto intenso, che ben si presta alla preparazione della polenta bergamasca, ma anche di altri prodotti quali pasta, biscotti, torte e gallette, tutti dalle qualità organolettiche e dalle caratteristiche nutrizionali uniche, dato l’elevato contenuto di antociani.

Nel 2015 è nata l’associazione “Rosso Mais”, con lo scopo di promuoverne la coltivazione e tutelarne la trasformazione. Infatti, a garanzia del consumatore, la farina integrale e tutti i prodotti lavorati devono riportare in etichetta il marchio De.C.O. e quello dell’Associazione, che garantiscono la provenienza del mais dai territori d’origine. Il Mais Rostrato rosso di Rovetta ha ottenuto nel 2016 l’iscrizione nel registro delle Varietà da Conservazione del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e di Regione Lombardia. Tra le aziende che lo producono vi sono Beccarelli Bruno, Cà di Lene di Davide Covelli, Visinoni Angelo, Cantiere Verde Cooperativa Sociale, mentre alcuni dei ristoranti che lo propongono sono La Cantinetta e la Prosciutteria di Rovetta, La Baitella di Songavazzo, Bacaro di Onore, La Pergola di San Lorenzo, Ai Frati di Vello, Risol di Dorga, Bablì di Vertova, Trattoria La Fricca e Mille Storie e Sapori di Bergamo.

Dove mangiare la polenta con il Rostrato dell’Isola

Nella terra bergamasca ci sono diverse varietà di mais “rostrati”, che si distinguono per la presenza sulla corona di una punta conica rivolta verso l’apice della spiga, chiamata appunto “rostro”. Tra quelli che hanno lasciato tracce nella storia, il Rostrato Cajo Duilio S.M., denominato da Zapparoli (1939), deriva dall’incrocio di due varietà locali ben differenziate: la prima dotata di spiga grossa, granella grossa fortemente rostrata di colore giallo aranciato, mentre la seconda con spiga piccola, granella piccola molto trasparente lucida, dorata arancio con rostro fino, interamente vitrea. Questa seconda varietà è quella riscoperta da Giuseppe Perico, appassionato agricoltore che dopo aver ritrovato le sementi nel territorio di Ciserano, ha regalato qualche pannocchia alla famiglia Caccia della Trattoria Visconti di Ambivere: oggi sono loro gli unici a coltivarlo e custodirlo.

Il progetto di recupero e difesa è iniziato nel 2010, non senza difficoltà: questo mais, infatti, cresce in modo molto limitato, con una produzione che non supera i 2 quintali all’anno, da cui se ne ricava di farina circa la metà, non in vendita. Tuttavia, mediante la selezione delle migliori pannocchie da ripiantare, Daniele Caccia è fiducioso sugli esiti futuri nei prossimi anni. Per questo motivo, l’unico modo per provare questa farina dal gusto molto intenso è nei piatti a base di polenta che propongono in trattoria: nei Nosecc, gli involtini tipici bergamaschi di carne in foglie di verze e salsa di pomodoro; con il coniglio, altro abbinamento classico delle domeniche in famiglia a Bergamo; con la pecora gigante bergamasca, le lumache nostrane, il brasato oppure con i funghi che il padre raccoglie nelle alte Valli Orobiche… Insomma, la Trattoria Visconti è un vero tempio della cucina locale, dove nulla è lasciato al caso e tutto è curato nei minimi dettagli: ogni prodotto si trova a metro zero, intorno al ristorante, dai campi di mais nel dehors, all’orto all’ingresso fino a conigli e polletti ruspanti. Eppure, tutta questa familiarità e sensazione di casa, non escludono o sacrificano una certa eleganza, un servizio magistrale e, per gli appassionati di vino, una cantina ricercata e sorprendente, da consumare nei calici Zalto.

Dove mangiare la polenta con il Nostrano dell’Isola

Il Nostrano dell’Isola è una delle più note varietà locali di mais da polenta, selezionata nella provincia di Bergamo, ma diffusa in tutto il nord Italia. Questo mais viene coltivato nell’Isola Bergamasca, ovvero in quel territorio ai margini occidentali della provincia, tra i fiumi Adda, Brembo e le pendici del monte Canto. Non è rosso, ma giallo, vitreo, luminoso e pieno di storia: nato più di cento anni fa grazie ai nobili Guido Finardi e Alessandro Roncalli, che ne introdussero la coltivazione nell’area compresa fra i villaggi di Chignolo, Bottanuco e Medolago. Nel tempo questa varietà si è diffusa molto, tanto che è divenuta oggetto di studio e selezione; da questo mais si ricava sia la farina integrale bramata per la polenta, sia la fioretto che la fumetto, più per dolci, torte, birra e altri prodotti ancora.

Promotore del recupero e della tutela della varietà è l’Associazione Culturale PromoIsola e l’Istituto Engim di Brembate Sopra (Operatori agricoli) per il miglioramento della varietà, con alcuni agricoltori, tra i quali le aziende agricole Tironi di Brembate e Bonzi di Carvico. L’essiccazione e la macinazione avviene presso il Mulino Pennati di Medolago, nel rispetto di un protocollo e di procedure ben definite, che garantiscono la “filiera Isola Bergamasca”. La polenta con questo mais la trovate in moltissimi ristoranti, tra cui La Corte del Noce di Villa d’Adda e l’Agriturismo Sant’Egidio di Sotto il Monte Giovanni XXIII.
Nel frattempo, è oggetto di studio anche il Mais Brembano, ma per ora non ne sappiamo ancora molto. Detto questo, volevamo dare valore a chi si impegna nel recupero e nella valorizzazione dei mais autoctoni, ma senza nulla togliere a chi, nelle case o nella ristorazione, prepara un’ottima polenta anche con una sempre farina di mais vitreo o semivitreo, come l’Osteria Caironi del quartiere storico Borgo Palazzo o Mirella del Miravalle di Parre, la regina degli scarpinocc, ve la ricordate?

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