Doggy Bag al ristorante: aumentano gli italiani che la scelgono

 

In principio era il “pacchetto per il cane”, un involucro contenente la carne non consumata durante il pranzo o la cena al ristorante da portare al proprio amico a quattro zampe: una richiesta poco diffusa e comunque avanzata a camerieri e ristoratori con grande discrezione. Chi non lo ha fatto almeno una volta, magari mimando il gesto del sacchetto da portar via? 

Negli ultimi anni questa pratica è andata incontro a una vera e propria evoluzione che l’ha trasformata in uno dei simboli della lotta allo spreco alimentare. Il nome, se vogliamo, era già bello e pronto da tempo: doggy bag, due parole che stanno a indicare la box alimentare sempre più spesso messa a disposizione dal locale per portare a casa il cibo ordinato e non consumato, oggi conosciuta anche come family bag. Un concetto semplice che, oggi più che mai, racchiude tutte le iniziative portate avanti dal mondo della ristorazione e le campagne di sensibilizzazione lanciate da consorzi alimentari e associazioni. Il Giornale del Cibo si è ampiamente occupato del tema, ma oggi, dopo le iniziative per la Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare da poco conclusa, torniamo ad accendere i riflettori sul tema ponendoci alcuni interrogativi: a che punto siamo in Italia su questo fronte? La doggy bag al ristorante è stata davvero sdoganata in nome di un più alto principio antispreco? I dati più recenti diffusi da Coldiretti dimostrano che, rispetto a qualche anno fa, quando ancora questa pratica era guardata con scetticismo, la consapevolezza degli italiani è cambiata: scopriamo in che modo.

Doggy bag, un’abitudine che arriva da lontano

L’abitudine di portar via il pasto non terminato non è particolarmente recente, anzi, sembra che fosse diffusa già negli anni ’40. La prima testimonianza documentata arriva da New York, dove il Dan Sampler’s Steak Joint offriva alla propria clientela un sacchetto ad hoc. Sull’involucro era impressa l’immagine di un cane che invitava il proprio padrone a portare a lui quel che rimaneva del suo pranzo. Era il 1949: nasceva così l’idea della doggy bag, un’intuizione che in qualche modo servì a rendere socialmente accettabile l’idea di uscire dal ristorante con un sacchetto di avanzi. 

Benjamin Clapp/shutterstock.com

Proprio il timore di apparire inopportuni o addirittura “maleducati” ha rappresentato per diverso tempo un limite alla diffusione di una pratica che oggi, invece, viene considerata sostenibile, soprattutto di fronte all’inflazione che negli ultimi mesi ha ridimensionato in modo significativo il potere d’acquisto degli italiani, oltre che un gesto etico e necessario davanti alla diffusione della povertà alimentare. Non dimentichiamo, poi, che lo spreco alimentare incide per diverse migliaia di euro sul bilancio delle famiglie italiane, ecco perché il modo migliore per risparmiare è evitare il più possibile di buttar via il cibo non consumato.

Meno sprechi con la doggy bag al ristorante: la scelgono 4 italiani su 10

Di recente la cultura della doggy bag ha fatto passi avanti: la conferma arriva dall’indagine Coldiretti/lxé diffusa lo scorso autunno. Secondo il report a scegliere questa soluzione salva-crisi sono 4 cittadini su 10, il 39% degli italiani, un dato cresciuto del 6% rispetto a quanto rilevato sempre da Coldiretti nel 2019, quando la percentuale si fermava al 33%. Un cambiamento evidentemente figlio anche di uno scenario economico nuovo e complesso: il 2022 ha visto l’inflazione toccare livelli record e il costo dei beni alimentari subire un incremento del 10,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, come rileva il rapporto. 

Se dunque il mantra, a casa come al ristorante, è “vietato sprecare”, la soluzione passa per un approccio sempre più responsabile al cibo e al pasto fuori casa. In generale, prosegue l’indagine, c’è una crescente tendenza a non lasciare avanzi nel piatto: per il 22% degli italiani si tratta già di un’abitudine, ma se proprio non si riesce a finire il cibo ordinato, chiedere al cameriere di impacchettarlo per consumarlo in un secondo momento è diventato più semplice e spontaneo. Spesso, infatti, è proprio il personale di sala a suggerire questa possibilità, mettendo a disposizione appositi contenitori, talvolta brandizzati.

Nirat.pix/shutterstock.com

Tra legge e galateo: la family bag nel resto del mondo

In passato, come abbiamo visto, a rallentare la diffusione della box alimentare per le pietanze non consumate è stato il senso di imbarazzo che, in genere, accompagna la richiesta di impacchettare gli avanzi. In base a quanto rilevato dall’indagine Coldiretti/lxé, nel 2022 la fetta di italiani che ha ammesso di non riuscire a superare questo impaccio poiché teme di apparire maleducato ha toccato quota 17%, segnale evidente che, per quanto l’approccio generale sia cambiato, c’è ancora da lavorare sul fronte della sensibilizzazione. Per farlo è importante partire dalle nuove generazioni, avvicinando i più giovani alla cultura della doggy bag, come ad esempio avviene già in alcune mense scolastiche.

Ma è davvero ancora una questione di maleducazione? Di sicuro non è così in Cina dove l’abitudine del dabao (letteralmente “mi faccia un pacchetto”) è accettata in tutti i contesti sociali e, anzi, ha conquistato il suo posto nel galateo. 

A legittimare l’asporto del cibo rimasto nel piatto, poi, è scesa in campo anche la legge. Si tratta di una tendenza che si sta diffondendo già in diverse nazioni europee e che punta a inserire questa consuetudine in una solida cornice normativa. La Francia è stata tra i primi Paesi a dotarsi di questo tipo di regolamento, già nel 2016. Più recente la risoluzione della Spagna: qui la legge entra in vigore quest’anno e obbliga i ristoratori a offrire ai propri clienti confezioni riutilizzabili, compostabili o comunque a basso impatto ambientale per limitare la produzione di rifiuti. 

In Italia, sebbene la Legge “Gadda” (166/16) abbia di fatto riorganizzato il sistema che regolamenta le donazioni di alimenti invenduti, incoraggiando attività di contrasto allo spreco alimentare, non esiste ancora una legge espressamente dedicata alla doggy bag.

Non solo cibo: arriva la wine bag del Vino di Montepulciano

Le iniziative nate per incentivare la cultura della box alimentare, dunque, sono sempre più numerose. Nel solco di una crescente consapevolezza rispetto all’importanza della lotta agli sprechi, negli ultimi anni sono nate le soluzioni più disparate: la doggy bag è tra queste, ma non è la sola. Ci sono, ad esempio, ristoratori che propongono le mezze porzioni, mentre sono sempre più popolari le applicazioni nate per recuperare i prodotti alimentari invenduti, come Squiseat o la popolarissima Too Good to Go.

Ma la generale coscienza antispreco non riguarda solo il cibo: il concetto della doggy o family bag, infatti, si sta pian piano estendendo anche al mondo del vino. A chi non è mai capitato di rammaricarsi nel dover lasciare a tavola una bottiglia non terminata? È evidentemente uno spreco anche quello, ed è per questo che sta iniziando a farsi strada il trend di includere anche le bevande tra i prodotti che trovano legittimamente posto nella doggy bag, anzi, nella wine bag. Va in questa direzione il progetto #PortamiConTe, un’iniziativa lanciata dal Comune di Montepulciano in collaborazione con il Consorzio del Vino Nobile e con gli esercenti della zona, che hanno messo a punto due contenitori realizzati in materiali riciclati – e a loro volta riciclabili – da distribuire ai tanti visitatori che frequentano bar, ristoranti ed enoteche di Montepulciano. In questo modo non solo si interviene per contrastare lo spreco alimentare, ma si riduce anche l’impatto dei rifiuti sul territorio. Turisti e consumatori, dal canto loro, avranno la possibilità di portare con sé un ricordo sì di qualità ma anche etico e sostenibile.

E voi cosa ne pensate della doggy bag? Siete tra gli italiani che la richiedono al ristorante?

 

Fonti:

coldiretti.it


Immagine in evidenza di: Regina Foster/shutterstock.com

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