Oggi si può cancellare la parola dieta dal vocabolario, perché il 6 maggio è il No Diet Day, la giornata internazionale contro l’ossessione del peso. Questa festa proveniente dall’Inghilterra, sarebbe un’occasione non solo per diffondere la cultura di uno stile di vita sano che è lontano dalle diete improvvisate, ma soprattutto per riflettere sui disturbi del comportamento alimentare, in costante aumento. Dall’anoressia nervosa all’obesità, i disturbi alimentari si stanno diffondendo in ordine di una visione cibo-centrica nel nuovo millennio, e le difficoltà psicologiche di chi si trova ad affrontarli sono notevoli.
Per capire meglio da cosa nascono questi disturbi alimentari, quali sono e se ci sono eventuali trattamenti e percorsi per uscirne, abbiamo chiesto il parere tecnico della dott.ssa Laura Pinzarrone, Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in “Psicoterapia Cognititvo-Comportamentale” presso il Centro di Psicologia Applicata di Albano Laziale e lo Studio di Psicoterapia e Mediazione Familiare di Roma.
Disturbi Alimentari: quali sono le cause e come si può intervenire
Cosa s’intende per Disturbi Alimentari?
Per problemi del comportamento alimentare s’intendono quei disturbi o comportamenti ossessivi nel tenere sotto controllo il peso corporeo. «Danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicologico –dice la dottoressa- e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica rilevata. Un disturbo alimentare è un rapporto alterato e non equilibrato con il cibo. Tutti possono avere questa problematica, ciò che cambia è la gravità del problema».
Un disturbo particolarmente preoccupante oggi è l’ortoressia, diverso dall’anoressia poiché mentre nel primo caso si preferisce morire di fame piuttosto che mangiare cibi considerati contaminati, nel secondo l’alimentazione è ridotta al minimo, accompagnata da sforzo fisico, lassativi e vomito.
Tante le cause, lo scenario più complesso è quello familiare
Tutti possono essere a rischio, e particolarmente fragili sono le adolescenti che in questa fase delicata vivono momenti di crisi di accettazione. Le cause di questi disturbi possono essere genetiche, psicologiche, familiari, culturali e di disagio personale.
«Il periodo storico, l’ambiente domestico e le relazioni sociali – precisa la dottoressa- sono in grado di influenzare profondamente l’eziologia delle patologie alimentari. Fattori di rischio generali, quali le caratteristiche demografiche e l’appartenenza etnica e, dall’altro, fattori di rischio specifici-individuali, che a loro volta si differenziano a seconda della storia familiare (depressione, alcolismo, obesità, ecc.), delle esperienze premorbose (dispute familiari, diete in famiglia, abusi, punizioni o commenti rispetto al cibo, esposizione ad immagini di persone magre dai media, ecc.) e delle esperienze morbose (disturbi d’ansia, obesità, perfezionismo, scarsa autostima, ecc.). Derivano dalla sovrastima dell’importanza attribuita all’aspetto fisico e al peso. In particolare l’anoressia nervosa è considerata una conseguenza dello stile di vita e della manipolazione mediatica della figura femminile».
Come si può intervenire?
Per trattare e arginare i disturbi alimentari, il primo passo da fare è avvalersi di un supporto psicologico familiare, dal momento che i soggetti in causa sono spesso restii ad ammettere il problema. «La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del peso e l’abbandono delle condotte di restrizione dell’assunzione del cibo, delle abbuffate e delle condotte di eliminazione».
Il secondo passo è lavorare sull’autostima, eliminare forme di perfezionismo e migliorare la qualità delle relazioni. «Nel caso di adolescenti è fondamentale aiutare i familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti siano controproducenti e da evitare. Nei casi più gravi è necessario il supporto ospedaliero e farmacologico, anche in day hospital».
Piacersi e piacere di mangiare: un equilibrio possibile
Trovare il giusto equilibrio tra cibo e salute è l’unico modo per guarire le ferite psicologiche che si riversano a tavola. «Mangiare sano, concedersi qualche vizio nel fine settimana e fare tanta attività fisica, in questo modo il cibo non può farci del male.
Se non abbiamo un controllo sul nostro corpo non lo abbiamo nemmeno sulla nostra mente e viceversa e se questo controllo è del tutto assente, è il caso di chiedere un supporto psicologico. Sta a noi adulti educare i nostri giovani ad un giusto equilibrio tra piacere di mangiare e forma fisica sana».
Secondo la dottoressa Pinzarrone, per trovare questo equilibrio basterebbe non utilizzare con connotazione negativa il concetto di dieta, «ma pensarla come uno stile alimentare, un’educazione alimentare in cui accanto ad un’alimentazione equilibrata ci sono i cosiddetti “sgarri” che vanno vissuti con serenità».
E voi siete d’accordo a festeggiare il No Diet Day o preferite non demonizzare il concetto di disturbi alimentari?