Diletta Bellotti, in piazza da sola contro il Caporalato

diletta bellotti

 

 

Caporalato significa sfruttamento, condizioni di vita non dignitose, malattie e nessuna garanzia, né di tutele né di futuro. Sono 1.500 negli ultimi sei anni, secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal, le persone che hanno perso la vita in Italia a causa di questo fenomeno che aggrega la ricchezza e il potere in mano di pochi, a prezzo della salute di molti.

Nonostante le molteplici denunce, l’opinione pubblica non è ancora pienamente consapevole di quello che accade nei campi, per questo sono diverse le forme di divulgazione e protesta che in questi anni sono state organizzate proprio per colpire più persone possibili. Tra esse, c’è quella di una ragazza romana che ha portato il tema della lotta contro il caporalato direttamente nelle piazze italiane, con una performance di protesta che non lascia indifferenti. Si chiama Diletta Bellotti ha 24 anni, è laureata in Diritti umani e Migrazione internazionale a Bruxelles ed è un’attivista. Di sé dice: “Combatto per dare visibilità alle lotte dei braccianti, italiani e migranti, che vengono sfruttati nelle nostre campagne”. Per farlo, la scorsa estate, ha vissuto nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, in Puglia e, da questa esperienza, è nata una forma di protesta nelle piazze delle città italiane per porre l’attenzione sugli invisibili dei pomodori che, come sottolinea, sono rosso sangue. Conosciamo, dunque, Diletta Bellotti grazie a questa intervista per Il Giornale del Cibo.

diletta bellotti e la sua performance

Diletta Bellotti, l’intervista su Pomodori rosso sangue

“La mia battaglia – ci racconta Diletta – nasce dalla necessità di capire, dopo gli studi, non solo quale fosse la causa per me più importante, ma anche per la quale potessi essere utile”. Di qui la ricerca e l’approfondimento sul tema del caporalato, uno studio che l’ha riportata in Italia dopo un periodo trascorso all’estero, per comprendere un fenomeno che, come denunciato anche nell’ultimo rapporto di Medici per i Diritti Umani, danneggia gravemente la salute di migliaia di persone nelle campagne del Meridione e non soltanto.

L’esigenza si è fatta più forte di fronte alla consapevolezza che, nonostante i numeri del caporalato siano molto alti, molte persone ancora non sanno cosa si cela dietro al pomodoro, e ad altri prodotti venduti al supermercato. Secondo la giovane attivista, la battaglia contro il caporalato è parte di “una lotta globale contro la schiavitù contemporanea” che valica i confini delle campagne pugliesi. Un primo passo per affermare  “diritti per tutti i lavoratori in Italia, diritto di residenza, diritti umani, ma anche per chiedere sanzioni per chi ricorre ai sistemi mafiosi come il caporalato, e agevolazioni per chi non lo fa”.

l'attivista Diletta Bellotti

Mettersi nei panni dei braccianti

Per poter prendere parte e trovare una sua dimensione dell’attivismo, Diletta si è letteralmente calata in uno dei ghetti, che preferisce chiamare ‘insediamenti informali’, terminologia meno discriminante, il Borgo di Mezzanone in Puglia, dove ha vissuto per un periodo. Dormiva nel retrobottega di un negozio di alimentari e cercava di non dare nell’occhio, storpiando l’italiano e guadagnando qualche soldo girando le sigarette. Non ha potuto andare direttamente nei campi, era troppo pericoloso. “Non ho fatto niente di pratico per aiutare i braccianti – racconta – ma è stato un mese fondamentale per rafforzare il mio percorso: ho incontrato gli attivisti braccianti che organizzavano le manifestazioni, li ho sentiti parlare, ho dormito nelle baracche con loro, mi sono svegliata alle tre per preparare il caffè prima che andassero a fare la raccolta, li ho visti sfruttati, speranzosi, arrabbiati. E mi hanno trasmesso una forza che adesso non si estinguerà mai, grazie alla quale un giorno qualcosa cambierà”.

Un’esperienza forte, che ha lasciato anche un segno anche sulle definizioni dei ruoli. L’impressione è che, da vicino, non sia tutto bianco o nero: “Ho smesso di avere paura e ho confermato quello che sapevo già, ovvero che i caporali non vanno criminalizzati perché sono parte di processo di violenza strutturale, piuttosto vanno criminalizzati i capi d’azienda che assumono i caporali per sfruttare i braccianti”. Molto più chiaro è, ora, anche il ruolo della Grande Distribuzione Organizzata che strozza gli agricoltori mettendo ancor più in difficoltà i braccianti, come sottolineato anche da Yvan Sagnet in occasione della presentazione della prima filiera etica in agricoltura in Italia.

Pomodori rosso sangue: una performance per sensibilizzare

L’esperienza dell’attivista a contatto con i braccianti ha portato Diletta a elaborare una sua forma di protesta politica, che potesse trasmettere anche lontano dalle baraccopoli l’importanza e l’urgenza di parlare di caporalato e dare voce ai braccianti. È partita così una performance che ha già toccato alcune delle principali città italiane (Venezia, Milano, Napoli, Roma, Bologna, Torino, Firenze) e con un’immagine forte porta l’argomento all’attenzione dei braccianti.

performance pomodoro rosso sangue

Diletta ha scelto di utilizzare il suo corpo ed essere da sola, facendo leva sul senso di disgusto, non sull’odio nè sulla rabbia. Si presenta, dunque, in una piazza, avvolta in una bandiera italiana e inizia ad addentare dei pomodori, da cui fuoriesce succo e sangue finto che le macchia il volto. “Ho cercato di trovare dei concetti molto semplici attraverso i quali il messaggio arrivasse immediatamente a chiunque: sangue, cibo e bandiera italiana. Puoi non sapere cosa sia il caporalato ma, guardandomi durante la performance, non può non venirti il dubbio che l’intoccabile cultura del cibo italiano possa nascondere qualcosa di sbagliato. Vieni attratto dai simboli che riconosci, ma anche dal sangue, e a quel punto trovi me che ti racconto quello che ho visto e perché il caporalato riguarda tutti”.

Pomodori rosso sangue è il titolo della sua performance, e anche l’hashtag che utilizza per veicolare i messaggi e le informazioni anche su Instagram, dove è seguita da oltre 7.000 persone. “Il senso della performance e dell’attivismo – ci spiega – è proprio nella capacità di informare quante più persone possibili. Anche se non ho molti follower, so che informare 7.000 persone su una lotta così importante è già tantissimo, quindi sono contenta e continuo piano piano. Il mondo è cambiato e le lotte socio-politiche devo adattarsi, che ne siano contente o no”.

Proprio l’informazione è la chiave, secondo Diletta. “Stiamo producendo un documentario su quanto accade nell’insediamento informale, sto scrivendo due libri, collaboro con Libera e Slow Food per promuovere insieme delle campagne #caporalatofree. Questa lotta la fa ognuno di noi: scrivendone, parlandone, comprando con etica e facendo di tutto per dare voce agli invisibili”.

 

Conoscevate già Diletta Bellotti e avete già avuto modo di assistere a una delle performance di protesta?

 

Credits immagini: Fabrizio Fanelli

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