Le relazioni tra dieta e genetica rappresentano la frontiera di studio più avanzata della scienza dell’alimentazione, che potrebbe dare il via a una vera e propria rivoluzione nella nutrizione umana come nella medicina. Con i progressi della biologia molecolare, infatti, si stanno già sviluppando due nuove discipline, la nutrigenetica e la nutrigenomica, entrambe finalizzate a migliorare la salute grazie a una personalizzazione mirata della nutrizione, in base alle caratteristiche uniche di ogni singolo individuo e alla capacità del cibo di influire sull’espressione del DNA. Ma cosa le distingue e quali benefici potremmo trarre da queste ricerche? Dopo aver trattato i legami fra obesità e predisposizione genetica, con questo approfondimento cercheremo di saperne di più.
Qual è il legame tra dieta e genetica?
Pur avendo una storia recente – partita a metà degli anni Duemila – e trattandosi di un tema poco conosciuto al grande pubblico, lo studio dei rapporti tra dieta e genetica è candidato ad avere un ruolo sempre più rilevante nei prossimi anni. In seguito alla determinazione della sequenza del genoma umano (patrimonio genetico della nostra specia) completata nel 2003, lo studio di queste interazioni ha aperto un nuovo fronte, con l’obiettivo di comprendere il legame biunivoco tra alimentazione e DNA, trattato anche nel tredicesimo congresso dell’International Society of Nutrigenetics and Nutrigenomics, svoltosi a Cambridge nel 2019. La letteratura scientifica in materia ha ormai raggiunto un certo volume, come testimonia tra le altre una recente pubblicazione statunitense, apparsa su Current Nutrition Reports nel 2020. Da sempre, l’alimentazione è profondamente correlata a diversi aspetti della vita e del benessere, coinvolgendo anche la sfera socio-culturale e psicologica e le preferenze individuali, come abbiamo visto occupandoci dell’impronta che il DNA determinerebbe sul gusto.
Oltre a tutto questo, però, la biologia molecolare avrebbe notato che gli alimenti sono in grado di influire sul DNA e sull’espressione di alcuni geni, passaggio sul quale è opportuno soffermarsi.
Il nostro patrimonio genetico, chiamato anche genoma, è costituito da oltre 30.000 geni, ognuno dei quali rappresenta un segmento del DNA, che fornisce istruzione all’organismo e che per grandissima parte è identico in tutti gli esseri umani. La minima quota che ci differenzia, pari indicativamente allo 0,1%, è però decisiva per rendere unico ogni individuo. Nel panorama di questa variabilità individuale, si determina anche quella che regola la metabolizzazione e l’accumulo dei nutrienti, con una risposta soggettiva agli stimoli, in parte anticipata dal concetto dei biotipi o somatotipi. L’interazione individuale tra genoma e alimentazione, quindi, porta alla variazione dell’espressione dei geni coinvolti nel metabolismo specifico di ogni organismo.
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Anche se la genetica individuale non è modificabile, l’ambiente in cui si vive ha un ruolo fondamentale, influenzando in modo significativo la cosiddetta “espressione genica”. In altri termini, le circostanze e lo stile di vita – dieta, attività fisica, inquinamento, farmaci, ecc. – interagiscono con i geni, rapporto dal quale dipendono vari aspetti della vita e della salute. Pertanto, determinati comportamenti possono attivarli o spegnerli, ad esempio accelerando l’invecchiamento o la comparsa di certe malattie: in sostanza il DNA non deve essere considerato come un’impronta che non offre possibilità di azione.
Sull’interazione tra genotipo e ambiente si inserisce infatti la medicina personalizzata, che per il futuro è considerata la strada più promettente per le cure profilate sulle caratteristiche soggettive. In questo schema, infatti, il cibo è il fattore ambientale più semplice e immediato per modificare lo stato di salute.
Nutrizione molecolare: cos’è e come funziona
Da questo filone, a suo modo rivoluzionario, è nata quella che viene chiamata nutrizione molecolare, basata sulla nutrigenetica e sulla nutrigenomica, distinte ma interconnesse e complementari. Vediamo nel dettaglio in cosa consistono.
Nutrigenetica
La scienza che studia i rapporti tra il patrimonio genetico e la risposta individuale ai cibi è chiamata nutrigenetica, o genetica nutrizionale, un termine introdotto da Richard Brennan nel 1975. In sostanza, si indaga quanto e come i “suggerimenti” dettati dal genoma di un individuo possono influire sulla dieta. Nella pratica, l’obiettivo è formulare un’alimentazione su misura, le cui potenzialità primarie riguardano la prevenzione e il contributo alla cura di alcune patologie croniche e degenerative, con interventi basati appunto sulle conoscenze della base genetica, oltre che dei fabbisogni nutrizionali individuali e dello stato di forma. Il DNA, quindi, può fornire informazioni sulla terapia dietetica, allo scopo di prevenire o ritardare l’insorgenza di malattie correlate all’alimentazione, in modo diretto o indiretto, come quelle cardiovascolari legate all’ipercolesterolemia e l’obesità, aspetto approfondito da uno studio spagnolo del 2017 e pubblicato su Critical Reviews in Food Science and Nutrition. Si possono citare anche le disfunzioni enzimatiche che causano intolleranze alimentari o malattie metaboliche, come la celiachia.
Oltre a questo, è importante poter individuare gli individui ad alto rischio, per consentire interventi rapidi e mirati, da effettuare prima della comparsa dei sintomi. Al momento, l’indagine sulle varianti genetiche può interessare la sensibilità soggettive a sostanze quali alcol, caffeina e solfiti o l’efficacia detossificante e antiossidante.
Nutrigenomica
La nutrigenomica, o genomica nutrizionale, rappresenta l’altra faccia della medaglia, in quanto a essere studiato è il modo in cui si reagisce alle molecole presenti nei cibi, ovvero come l’alimentazione può influenzare la genetica e le funzioni a essa associate. In sostanza, a essere analizzate sono le correlazioni tra alimenti e modifiche del DNA. Pertanto, se da un lato i geni sono importanti nel determinare una funzione, dall’altro la nutrizione può modificare l’espressione dei geni, condizionando la lettura dell’informazione contenuta nel proprio genoma, e di conseguenza il metabolismo e la salute stessa. Quello che mangiamo può determinare il modo in cui digeriamo i cibi stessi, ma anche funzioni non direttamente associate al metabolismo. I carboidrati, ad esempio, influenzerebbero la risposta allo stress cellulare.
Attualmente, la nutrigenomica cerca di capire come i diversi cibi possano predisporre a determinate patologie, quali Alzheimer e cancro, al fine individuare e mettere a punto alimenti funzionali o arricchiti per attivare o bloccare specifiche risposte geniche.
Dieta e genetica: come intervenire?
I progressi della biochimica hanno permesso lo sviluppo di metodi di analisi per valutare lo stato di salute del genoma, per sapere ad esempio se il DNA è ossidato o se protetto dai radicali liberi, o se c’è una predisposizione che rende le difese immunitarie più deboli del normale. Attraverso il test genomico, la medicina può contribuire a ridurre o prevenire lo sviluppo delle malattie, cercando di ottimizzare la forma psico-fisica dell’individuo, consentendo di giocare d’anticipo.
A essere valutate e meglio comprese potranno essere anche altre caratteristiche individuali, come il ruolo del gusto personale, citato precedentemente e dettato dal numero e dal tipo di recettori che ognuno possiede, o quello del microbiota intestinale. In quest’ultimo caso, come abbiamo visto, si ha a che fare con un sistema complesso, e ogni variazione del tipo e della quantità di batteri può causare ripercussioni su tutto l’organismo.
Cosa ci riserverà il futuro riguardo al legame tra dieta e genetica?
Dei progressi fin qui descritti a oggi possiamo vedere i primi barlumi, in base ai quali si possono tracciare alcune considerazioni. Medici e nutrizionisti, innanzitutto, dovranno essere consapevoli della variabilità genetica soggettiva, per sfruttare positivamente le informazioni da essa offerte. Per il momento, alcuni benefici di questo ambito di ricerca stanno emergendo nel mettere a punto diete per pazienti con malattie metaboliche, mentre per le malattie autoimmuni sono indicati specifici alimenti funzionali e arricchiti di vitamine o acidi grassi polinsaturi.
Nel valutare l’efficacia e la percorribilità di questi interventi, però, sarà necessario considerare il rapporto costi-benefici e se le persone saranno disposte a intraprendere diete mirate. Inoltre, dovrà essere approfondita l’effettiva possibilità di definire la migliore alimentazione possibile per il singolo soggetto, al di là delle operazioni commerciali legate al business delle diete. Partendo da un genoma sano, infatti, se l’alimentazione è ben bilanciata al momento non ci sono ragioni inequivocabili per preferire alcuni alimenti rispetto ad altri. In sostanza, sarebbe troppo affrettato confondere le aspettative con i risultati già disponibili, e a oggi solo le ricerche sulle malattie più gravi potrebbero giustificare grandi investimenti sulla nutrizione molecolare. Viceversa, certificare piccole differenze genetiche dall’impatto minimo potrebbe rivelarsi pressoché irrilevante.
Ad ogni modo, la letteratura in questo campo aumenta e probabilmente in futuro i nutrizionisti dovranno rivolgersi sempre più agli studi sulla genetica, per ottimizzare i consigli sulla dieta a seconda del quadro individuale.
Avevate già sentito parlare del rapporto tra dieta e genetica?
Fonti:
National Center for Biotechnology Information, ncbi.nlm.nih.gov
Critical Reviews in Food Science and Nutrition, tandfonline.com
Current Nutrition Reports, link.springer.com
13th Congress of the International Society of Nutrigenetics/Nutrigenomics (ISNN), researchgate.net
Fondazione Veronesi, fondazioneveronesi.it