Il successo e la diffusione del biologico si devono a vantaggi di carattere etico-ambientale legati alla produzione, ma anche a benefici per la salute di chi consuma, analizzati da anni ma finora controversi, o quantomeno poco chiari. Questo settore, come abbiamo visto, è intaccato da diverse fake news, che evidenziano conoscenze limitate e un’informazione scorretta o incompleta. Rinvigorendo il dibattito, due recenti ricerche scientifiche dimostrerebbero una sorta di azione depurativa svolta dalla dieta bio nei confronti dei pesticidi. Ma l’alimentazione può davvero ridurre queste sostanze nell’organismo? Tratteremo il tema in questo approfondimento partendo proprio dagli studi, che confermerebbero un motivo di preferenza determinante per chi fa la spesa.
Dieta bio e pesticidi: le ricerche
La relazione tra metodi produttivi degli alimenti e stato di salute di chi consuma costituisce una leva fondamentale per gli acquisti, favorendo da sempre i cibi che si ritengono più vicini alla natura e più distanti dalle logiche industriali. Insieme ai vantaggi offerti nel senso di un maggiore rispetto dell’ambiente e degli animali, grazie a questo punto è cresciuto il successo del biologico, consolidatosi nel tempo, anche se in ambito di vantaggi salutistici il quadro delle ricerche scientifiche non ha offerto indicazioni precise e inequivocabili. Il filone di analisi al quale ci riferiamo, infatti, di volta in volta ha presentato conclusioni non concordi, soprattutto quando a essere presi in esame erano i contenuti nutrizionali più che l’assenza di sostanze nocive. Il ruolo dell’alimentazione nel complesso dell’esposizione a composti tossici e potenzialmente cancerogeni, ad ogni modo, da tempo è riconosciuto come fattore di primo piano.
Recentemente, però, due studi sembrano tracciare una demarcazione chiara a favore della dieta bio, che sarebbe in grado di eliminare i pesticidi dall’organismo. Seguirla per una settimana, infatti, abbatterebbe la concentrazione di queste sostanze fino quasi ad azzerarle.
Composti nocivi ridotti in 5 giorni grazie alla dieta bio: lo studio americano
Precisamente, lo dimostrerebbe una ricerca condotta da un team dell’Università della California e apparsa nel 2019 su Environmental Research, che ha confermato altri studi analoghi precedenti. Per la realizzazione di questo lavoro sono state selezionate quattro famiglie americane, ciascuna di quattro persone, di diversa composizione etnica e sociale e residenti in aree molto lontane tra loro, alle quali è stato chiesto prima di seguire per cinque giorni un’alimentazione del tutto priva di cibi bio, per poi passare a cinque giorni di solo biologico. All’inizio dell’esperimento, analizzando le urine dei partecipanti sono stati rilevati 16 composti, riconducibili a 40 pesticidi – dato di per sé allarmante – le cui concentrazioni dopo i giorni di dieta bio erano crollatate mediamente del 60,5% in adulti e bambini, in un intervallo compreso tra il 37% e il 95% a seconda della sostanza, fin quasi a sparire in alcuni casi.
- Gli organofosfati – pericolosi neurotossici – nel complesso sono calati del 70%, il decremento maggiore tra quelli registrati. In particolare, il malatione (MDA) e il clorpirifos (TCPy) sono scesi rispettivamente del 95% e 61% (del 76% il metabolita di quest’ultimo).
- L’unico neonicotinoide trovato dei due cercati, la clotianidina, era scesa dell’83%, mentre i piretroidi, interferenti endocrini, si sono dimezzati.
- Si è invece limitata al 37% la riduzione del 2,4 D, un potente erbicida presenta anche nel cosiddetto “agente arancio”, il defoliante usato nella guerra del Vietnam negli anni Sessanta. Tuttora legale e utilizzato, questo componente è sospettato di essere un interferente endocrino cancerogeno e responsabile di patologie neurodegenerative, anche se alcuni studi hanno in parte ridimensionato questa possibilità, come sottolinea una review del 2017 pubblicata su Critical Reviews in Toxicology.
Anche se l’entità esigua del campione non permette di trarre conclusioni perentorie, questo test ha attirato l’attenzione, spingendo ad approfondire il tema con altri studi specifici. Da monitorare attentamente, infatti, sarà l’esposizione alimentare a diverse sostanze, soprattutto ai neonicotinoidi, largamente utilizzati nel mondo ed estremamente nocivi anche per gli insetti utili all’agricoltura.
-70% di glifosato in pochi giorni: la seconda parte dello studio
Proseguendo su questo ambito di approfondimento, un team composto da alcuni dei ricercatori del primo studio ha effettuato un secondo test, al quale ha fatto seguito una nuova pubblicazione su Environmental Research, nell’ottobre di quest’anno. Si tratta in effetti della seconda parte di un unico lavoro strutturato, che aveva l’obiettivo di valutare quantità e rimedi per la presenza di residui di pesticidi nei prodotti alimentari.
Applicando un campione e una metodologia analoghi, l’attenzione questa volta si è concentrata sul glifosato, e anche in questo caso il passaggio a una dieta bio in pochi giorni ha consentito di ridurre i livelli nelle urine del principio attivo – alla base del Roundup e di altri prodotti coi quali vengono trattate molte coltivazioni, tra le quali mais, grano, avena, soia, barbabietola da zucchero e colza – di oltre il 70%. Il suo principale metabolita (AMPA) è sceso del 76%.
Secondo i ricercatori che l’hanno curata, questa ricerca prova che il passaggio alla dieta bio è efficace per ridurre il carico corporeo di glifosato, aggiungendosi alla letteratura esistente sul tema, che peraltro scarseggiava di studi basati sulla distinzione tra stili alimentari. Pur considerando le sue ridotte dimensioni, anche questo studio è significativo, in quanto evidenzia la possibilità per le persone di ridurre nettamente la loro esposizione ai pesticidi presenti nei cibi, anche in assenza di norme specifiche a loro tutela. Inoltre, le conclusioni della pubblicazione del 2019 verrebbero confermate e arricchite, come sottolinea un commento tecnico dell’organizzazione Friends of the Earth, dedita alla promozione del bio e dell’agricoltura rigenerativa.
Si tratta di un chiaro sostegno alla diffusione su larga scala di queste forme produttive, tema controverso se considerato dal punto di vista dell’economicità, aspetto che abbiamo trattato nel nostro approfondimento sul biologico come cibo del futuro, con il contributo del professor Enzo De Ambrogio.
I precedenti sul glifosato
Come abbiamo visto nei nostri articoli, ormai da anni l’attenzione sul glifosato è alta riguardo alla sua nocività. Pur essendo meno tossico rispetto ad altri agrofarmaci, la grande diffusione di questo principio attivo in agricoltura lo ha reso un potenziale nemico della salute umana, oltreché dell’ambiente e delle creature che lo popolano, a partire dagli insetti. Intervistando un produttore di miele biologico, abbiamo avuto testimonianza della crisi delle api e della forte preoccupazione di un intero settore per la sopravvivenza di questi alleati così preziosi per la vita e la fertilità della campagna. In un nostro articolo, inoltre, ci siamo occupati della scelta di importanti produttori di pasta, che proprio per difendersi dalla diffusione di questo erbicida – particolarmente utilizzato nel Nord America – hanno preferito ridurre sensibilmente le importazioni o usare solo grani italiani. Evidentemente, si tratta di conversioni dettate dal gradimento e dalle preoccupazioni dei consumatori in tema di salute, che i marchi non potevano certo ignorare.
Nel 2015, alla luce dei dati scientifici, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha definito il glifosato come un “probabile cancerogeno per l’uomo”. A questa importante affermazione hanno fatto seguito azioni legali negli Stati Uniti, prima contro Monsanto e poi verso Bayer, che nel 2018 l’ha acquisita, sostenendo che l’esposizione a Roundup ha causato linfoma non Hodgkin. Per chiudere le 95mila cause in essere, l’azienda ha dovuto versare un risarcimento di 10 miliardi di dollari, fatto che in diversi Paesi ha contribuito all’istituzione di limiti o divieti per gli erbicidi a base di glifosato.
Le ricerche devono progredire, ma il bio può avere un ruolo da non sottovalutare
Alla luce delle informazioni e delle ricerche citate, è evidente che il biologico acquisisce ulteriore valore, a tutto vantaggio di una crescita di mercato già solida e costante nell’ultimo decennio. Dal punto di vista comunicativo e dell’immagine commerciale, però, la la disinformazione e i casi di biologico falso possono costituire un danno rilevante, in grado di minare la fiducia di chi fa la spesa. Pur non essendo particolarmente impattanti dal punto di vista numerico, infatti, gli episodi di contraffazione che in passato abbiamo preso in esame intaccano oltremodo un settore fatto di tante aziende serie, e peraltro sempre più rilevante nel panorama produttivo italiano. In sostanza, ricordarsi solo degli scandali e delle truffe finisce per essere dannoso per tutti, oltreché distorcente rispetto alla realtà.
Focalizzando l’attenzione sull’aspetto salutistico, sono auspicabili nuovi contributi a questo filone di ricerca, ma queste evidenze, seppur limitate, presentano un punto di partenza ben marcato.
Se comprate spesso cibi biologici, lo fate soprattutto per ragioni legate alla salute?
Fonti:
Environmental Research, sciencedirect.com
Friends of the Earth, foe.org
Critical Reviews in Toxicology, pubmed.ncbi.nlm.nih.gov
International Agency for Research on Cancer (IARC), iarc.fr