Birra artigianale: cambiare nome sarebbe un autogol!

definizione birra artigianale

Il mondo e la storia, da sempre, sono pieni di posizioni e opinioni diverse: trotzkisti o leninisti, sciiti o sunniti, calvinisti o luterani, virtus o fortitudo?
E ovviamente non poteva esimersi da questo crogiolo di questioni, spesso religiose, una bevanda che porta i nostri sensi e le nostre menti verso un che, lasciatemi esagerare, di mistico: la birra artigianale.

Quando ho iniziato a scrivere un articolo sulla bevanda cara a Gambrinus, mi si è posto subito un problema che mi ha portato all’inevitabile blocco dello scrittore (inteso come colui che scrive, non esageriamo): come faccio a parlare di qualcosa di cui non si conoscono, o meglio, non sono ancora stati definiti i confini?

qualità birra artigianale

Se ci pensate, la cosa non è di poco conto. Infatti, finché non si deciderà realmente e per iscritto cosa sia la birra artigianale, ci troveremo sempre di più in una torre di babele popolata da mille definizioni diverse, appartenenti a migliaia di guru più o meno competenti; e delle maglie larghe ne potranno approfittare furbi di diverse tipologie, dai produttori che, alla faccia dell’arte brassicola, spacciano la propria bevanda per qualcosa che non è, fino ai grandi gruppi industriali che, ancora peggio, promuovono birre a 3, 8, 134 luppoli senza dire nulla di più dal un punto di vista qualitativo.

Non solo qualità

Qualità: inizialmente la questione potrebbe sembrare ruotare intorno a questa parola. Ma in realtà non c’è solo questo. I birrai, infatti, dovrebbero prima di tutto mettersi d’accordo sui processi produttivi e sulla quantità da produrre.

A volte il karma (con la vecchiaia sto diventando troppo spirituale) ti strizza l’occhiolino e Simone Monetti, direttore di Union Birrai, sulla sua pagina di facebook lancia la richiesta di una norma che definisca i confini di cui sopra. Apriti cielo!

Tra mille idee e spunti, pare che il tema del processo produttivo riesca a mettere più o meno tutti d’accordo: no alla pastorizzazione, no alla filtrazione (o fatta in maniera invasiva come suggerisce qualcuno…definiamola microfiltrazione per intenderci) e birre prive di difetti (ecco che ritorna la qualità di cui sopra).

birra luppolo

Tuttavia, uno dei nodi da sciogliere più difficile rimane il tema della quantità. E così ti trovi di fronte a chi sostiene che la produzione oltre una certa soglia, nonostante si siano rispettati tutti gli altri requisiti, non sia più artigianale. Oppure trovi altri che, al contrario, ritengono che non si debba porre limiti alla produzione.

E i birrifici italiani?

Di sicuro va tenuto conto che i birrifici nostrani, nonostante si stiano ritagliando uno spazio nel mercato interno e ottengano sempre maggiori apprezzamenti e riconoscimenti all’estero, devono confrontarsi con birrifici stranieri, specialmente statunitensi e tedeschi, dove gli impianti produttivi sono semplicemente ciclopici se paragonati ai nostri portabandiera.

A questo punto mi viene da chiedere: ha senso correre ai mondiali con le cavigliere? Ha lo stesso senso di giocare a calcio con i piedi legati.

birra artigianale

Con questo voglio dire che la maggior quantità di birra prodotta verrà automaticamente penalizzata nel momento in cui la qualità sarà peggiorata: i palati delle persone che affollano le fiere, i pub e i birrifici artigianali hanno sempre maggior esperienza e competenze. E questo permette ai consumatori di poter distinguere un prodotto onesto e di qualità, da uno non accettabile e ottenuto attraverso microsofisticazioni.

Come risolvere il problema della quantità?

Non starei a porre dei limiti, piuttosto da un certa soglia in su mi porrei la domanda sulla correttezza del termine artigianale. Tuttavia, considerato il percorso e la fatica per imporre l’attenzione su questo settore, forse cambiare nome sarebbe un autogol.

 

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