Lontano dai rumori della metropoli milanese, ma a soli pochi chilometri da Milano, Davide Oldani ha inaugurato il suo nuovo ristorante a San Pietro all’Olmo, Cornaredo, a due passi dal primo in cui ha lavorato per molti anni. Conosciuto per essere autore di libri e comparsa in programmi televisivi, la star-chef ha 51 anni, è stato allievo di Gualtiero Marchesi e oggi vanta una stella michelin sull’insegna del suo ristorante, il D’O.
Davide Oldani e il nuovo D’O
All’alba dell’apertura del nuovo D’O, datata ormai quasi un anno fa, il cuoco lombardo commentava così l’inizio dell’avventura: “desidero che la porta del ristorante sia aperta, in tutti i sensi, che una parte della preparazione del menu avvenga davanti agli ospiti. L’obiettivo è coinvolgerli a trecentosessanta gradi, in un ambiente esteticamente bello ma anche accogliente. L’idea di bellezza del mio amico Piero Lissoni (l’architetto che ha seguito i lavori) si è perfettamente combinata alla mia idea di praticità, realizzando il mio desiderio di un’estetica che non rinunciasse alla comodità.
Ho voluto ingrandirmi in senso fisico, di metrature intendo, anche se non era questo lo scopo principale. L’ho fatto con l’obiettivo di realizzare una cucina più ‘grande’, capace di evolvere, di confrontarsi con altre cucine nel nostro paese e anche fuori; e nello stesso tempo per razionalizzare gli spazi e rendere tutto più funzionale oltre che, naturalmente, confortevole, esteticamente gradevole. Diciamo che ho effettuato un piccolo spostamento fisico, sono andato a pochi metri dal primo D’O, per realizzare una grande evoluzione nella semplificazione, nell’organizzazione e nella funzionalità. Ma non ho cambiato il numero di coperti della sala”.
Il ristorante D’O: cucina e accoglienza in sala
L’accoglienza
Davide Oldani è sempre stato molto vicino al concetto di accoglienza, senza la quale non può esistere la ristorazione all’italiana. Questo il motivo che segnato la strada nel nuovo D’O, ancor di più rispetto alla prima apertura. Oldani e la sua squadra hanno riprodotto l’idea di una casa con la suddivisione su due livelli in zone separate: la cucina, il tinello, il soggiorno, il salotto, la galleria, la veranda, la cantina e lo studio. Mangerete nella sua casa, guardando attraverso le grandi vetrate la piazza della chiesa vecchia di San Pietro. Tavoli e sedie in legno, niente tovaglie, luci calde e accoglienti, una gradevole atmosfera.
Come si mangia
Per scelta non scrivo di inaugurazioni per la stampa e sempre attendo che passi del tempo prima di andare a provare un nuovo ristorante, quando i riflettori diventano più tiepidi e gli occhi puntati sulla novità si spostano altrove. Questo fa sì che ci sia più “normalità” da entrambe le parti, cucina e clientela. Dopo mesi dall’apertura siamo andati a provare i piatti del D’O che si sono piaciuti, non abbiamo sognato ma abbiamo avuto la possibilità almeno di mangiare un bollito misto di pregevolissima fattura.
C’è la possibilità di scegliere più percorsi, con quattro, sei o nove portate (comprensive di dessert), oppure ordinare alla carta. Il grande classico “cipolla caramellata e Grana Padano” apre i giochi soprattutto a chi non ha mai avuto modo di provarlo, è un piatto che ha contraddistinto negli anni lo chef, così come i risotti.
Abbiamo optato per due ingressi, la spugna di ceci, profumo di lime, panelle e seppie (delicata, saporita, contrastante nelle consistenze, molto gustosa) e l’animella dorata, ricci e castagne d’acqua (dall’eccessiva spinta acida e saporita, ma d’altronde Oldani ha voluto impostare un menù proprio osando senza temere accostamento alcuno). Cicerchie, trippetta di pesce, rosmarino e riso, e il raviolo aperto di Gualtiero Marchesi secondo Oldani, rappresentano alcuni dei primi. Al seguito un bollito misto con pearà cremosa da capogiro, squisito in consistenza e profondità di brodo, tra l’altro servito in doppia porzione per un assaggio consistente. Accanto, la cassoeula alla cornaredese e verza al forno, reinterpretazione del piatto tradizionale.
Il servizio che non ti aspetti
Se i piatti hanno mantenuto alto il nome del D’O una critica va al servizio di sala, rigido e serioso per niente in linea con il sorriso e la coccola che ci aspetterebbe (anzi che ci si deve aspettare) in un ristorante come questo. Tracce di allegria assenti sul viso dei due ragazzi che si sono occupati rispettivamente di vino e piatti, questi ultimi serviti con fretta, superficialità e un pizzico di insofferenza. Perché se è vero che la sala è l’altra metà di un ristorante allora la cucina del D’O non ha ancora trovato la sua complicità di coppia. Badate bene, non stiamo parlando di scortesia ma di eccedente serietà e ingessatura nel servizio che va oltre la regole dello stellato (almeno quelle adottate in Italia) e finisce per essere spiacevole.
Se volete fare un’esperienza milanese di altrettanto portento ma di diversa proposta date un’occhiata alla nostra recensione del ristorante Aimo e Nadia.