Davvero la zona di produzione di un alimento, il suo microclima, la particolare composizione dell’aria e delle materie prime provenienti proprio da quel territorio e un certo savoir-faire della gente del posto concorrono in modo determinante a dare vita a un prodotto dalle caratteristiche uniche, irreplicabili altrove? Dalle parti della Bassa parmense, dove la pianura emiliana scende verso la riva destra del fiume Po, dicono proprio di sì. E lo dicono anche i tanti estimatori di un esempio illustre che avvalora questa teoria: il Culatello di Zibello.
Il Culatello e “l’aroma della nebbia”
Si tratta di un salume di suino dalle particolari caratteristiche di sapore, ottenuto con una lavorazione completamente artigianale, che sta mietendo successi ovunque, in patria e all’estero. Dicono, dalle parti di Parma, che il motivo della sua popolarità si debba ricercare nella nebbia, che avvolge tradizionalmente nei mesi invernali i territori di produzione: starebbe nella densa coltre sotto la quale riposano quelle terre generose dopo le tipiche estati torride e umide il segreto di quel “non so che” distintivo del Culatello di Zibello rispetto agli altri insaccati, che lo rende così ricercato. Lo chiamano, addirittura, “aroma della nebbia”.
Comunque sia, parte del suo successo è sicuramente dovuto alla sua preziosità: ogni anno sono circa 60.000 i pezzi prodotti e immessi sul mercato, il che, unito a una lavorazione artigianale e fatta senza ausili tecnologici, porta il prezzo di questo prodotto ai vertici della sua categoria. Infatti, raramente al dettaglio si scende sotto i 70 euro al chilo. Insomma, mettere le mani su un vero Culatello di Zibello DOP è un piccolo status symbol gastronomico!
Culatello di Zibello: perché è definito “il Re dei Salumi”?
Partiamo dall’inizio, cioè dalla materia prima: il Culatello di Zibello si ottiene dalla lavorazione della carne di suino adulto esclusivamente delle razze Large White Landrance e Duroc. Il disciplinare di produzione prevede che gli animali siano cresciuti in Emilia-Romagna e Lombardia, che al momento della macellazione abbiano almeno nove mesi d’età e che pesino attorno ai 160 chili.
Il Culatello di Zibello si ottiene da una porzione molto pregiata dell’animale, vale a dire la parte muscolare della coscia. Se nella produzione del Prosciutto di Parma la coscia viene utilizzata per intero con la sola rifilatura delle parti grasse e della cotenna, in quella del Culatello si asportano cotenna, grasso, ossa e fiocchetto, contravvenendo in parte al famoso detto per cui “del maiale non si butta via niente”.
Questa selettività permette di ottenere un prodotto finale che presenta una caratteristica forma “a pera”, dal peso oscillante fra i 3 e i 5 chili. Il salume ha un colore uniforme rossastro, con parti di grasso bianco; all’assaggio, il Culatello di Zibello è dolce, molto delicato e lievemente affumicato. Il suo aroma inconfondibile è dato dalla stagionatura e dalle particolari muffe naturali che solo sulle rive del Po riescono a formarsi e dall’impiego del vino bianco secco nella fase di stagionatura. Una miscela di sapori semplici, che in questo orgoglio del territorio parmense trovano un equilibrio davvero unico, in grado di mettere d’accordo anche i palati più difficili.
Storia e territorio di produzione
Zibello è una piccola frazione del comune diffuso di Polesine Zibello e, come suggerisce il nome “prestato” al prodotto, è il cuore della zona di produzione del Culatello, che comprende una manciata di località tra la città di Parma e il Po: Busseto, Polesine Parmense, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa e Colorno.
Come per tutti i prodotti nati in seno alla tradizione contadina, è davvero difficile, se non impossibile, dare coordinate storiche precise per la nascita di una particolare specialità. Attestazioni della sua esistenza risalirebbero al periodo medievale, e già allora qualcuno doveva essere perfettamente consapevole della sua bontà e del suo status di prodotto di pregio, se, come narrano storie molto diffuse, ma purtroppo prive di testimonianze scritte, il Culatello di Zibello veniva servito già nel XIV secolo nei fastosi banchetti di nozze della nobiltà locale e portato come dono dai diplomatici dei territori parmensi presso potenti signori come gli Sforza. Le prime citazioni scritte risalgono a documenti ufficiali del ‘700, mentre nel secolo successivo appare anche in alcune citazioni letterarie.
Date le sue caratteristiche e il suo costo elevato, il Culatello è da sempre un cibo prodotto nel cuore della civiltà contadina, ma destinato a tavole socialmente ed economicamente selezionate. La sua ridotta produzione e la tradizione localmente circoscritta non ne hanno permesso per lungo tempo una diffusa conoscenza al di fuori dei confini del territorio di tipicità. Tuttavia, in anni recenti la sua fama è andata crescendo, fino a guadagnarsi un posto d’onore nella hall of fame della salumeria italiana.
Il processo di lavorazione
Come anticipato, tutto inizia dalla sola parte muscolare della coscia di suino. Dopo il taglio, realizzato con precisione e rigorosamente a mano, la massa muscolare viene salata; nel procedimento di salatura si utilizza una miscela di sale, aglio e pepe, con la possibile aggiunta di vino bianco secco e, secondo il disciplinare, di nitrato di sodio e potassio, nel rispetto dei termini di legge. Il successivo periodo di salagione dura da uno a sei giorni, dopo i quali il culatello viene insaccato in vescica di maiale e inizia il suo periodo di riposo nelle cantine, che prevede periodici arieggiamenti del locale. Questa fase di stagionatura non può essere inferiore ai dieci mesi: visto che il periodo tradizionale di preparazione del culatello è l’inverno, ciò significa che il prodotto passa l’estate a invecchiare in cantina per essere pronto al taglio nell’inverno successivo.
Culatello di Zibello: come consumarlo?
I suoi estimatori preferiscono assaggiarlo “in purezza”, ovvero da solo, così com’è, per poterne apprezzare tutte le sfumature di gusto e aroma, al massimo con l’accompagnamento di un bicchiere di vino bianco della zona come il Fortana. Tuttavia, se vogliamo essere golosi, non sarà un delitto gustarlo assieme alla torta fritta, la variante parmense di quello che a Modena si chiama gnocco fritto e a Bologna crescentina, o utilizzarlo per dare un tocco veramente esclusivo a primi e secondi piatti. Lo avete mai sperimentato nel risotto o per fare deliziosi involtini?