La forza delle idee in cucina: intervista a Cristina Bowerman

cristina bowerman

Una vita intensa, così densa di luoghi, esperienze e scelte da sembrare quasi essere la somma di più vite. La Puglia per le origini, l’America per gli studi, Roma per la consacrazione. Cristina Bowerman è una chef conosciuta e riconoscibile (anche grazie ai suoi capelli sempre colorati), che si è avvicinata alla cucina solo in età adulta, riuscendo però grazie alla determinazione e ad una grande autonomia nel modo d’agire, eredità degli anni statunitensi, a divenire un riferimento nella ristorazione italiana.

Cristina Bowerman: origini e formazione di una chef stellata

gnocchetti ricci di mare cristina bowerman

Cristina è una donna poliedrica: si è laureata in giurisprudenza, ha lavorato molti anni come disegnatrice grafica, ed ora si trova a gestire una serie di locali, dallo stellato Glass a Romeo, passando per i tanti viaggi ed il ruolo di presidentessa degli “Ambasciatori del Gusto”. L’approccio con la cucina nasce grazie ad una famiglia appassionata della materia, ma il passaggio da una vita all’altra avviene in modo molto ragionato perché, come mi spiega, “l’attrazione è un conto, il professionismo un altro: lavoravo come disegnatrice grafica ed avevo già sviluppato la mia parte creativa. Negli Stati Uniti era partito da qualche anno il movimento di valorizzazione del ruolo di chef”. La Bowerman decide quindi di mettere a frutto le esperienze manageriali e di cimentarsi nel mondo del food quando scopre che nella città nella quale viveva aveva aperto una sede della scuola Cordon Bleu. Sceglie però prima di concludere gli studi conseguendo la laurea in giurisprudenza: non le sembrava utile infatti, avendo già 35 anni, seguire il classico percorso fatto di varie esperienze e tanta gavetta sin da giovanissimi e in molte brigate.

Roma, città eterna e della svolta

Per un anno svolge tre lavori per poter guadagnare i soldi che le consentiranno di mantenersi durante il periodo degli studi e contemporaneamente, grazie alla sua vena creativa, riesce ad ideare un concept innovativo da sottoporre a potenziali investitori, “avevo immaginato un locale diviso in 2 aree differenti, Nord e Sud Italia, in base alla tipologia di cucina, con una libreria all’interno”. Prima di provare a realizzarlo, però, decide di tornare in Italia per arricchire il suo curriculum, ricercando e acquisendo competenze che non avevano gli chef americani. Si concede un periodo di 6 mesi, massimo un anno, prima di tornare negli States per avviare il suo progetto. Giunge, quindi, a Roma ed entra a far parte della brigata del Convivio Troiani (ristorante stellato della capitale): sceglie questo ristorante perché attratta da un piatto, il Flan di cervella di coniglio, “che sposava al meglio la mia idea di cucina. Ogni volta che posso ringrazio Angelo (Troiani, ndr), un grandissimo maestro, vero precursore in cucina di tante tendenze che hanno poi caratterizzato la ristorazione nei decenni successivi”.

capocollo di maiale e salsa di pistacchi

Concluso il periodo che aveva deciso di trascorrere in Italia, in procinto di tornare in America, inizia a ricevere molte offerte di lavoro, e quindi la Bowerman pensa possa essere utile fare ulteriore esperienza: “se proprio devo fallire all’inizio, meglio farlo qui che negli Stati Uniti“. Conosce Andrea Golino (chef e volto del Gambero Rosso channel), investono, insieme, in un ristorante e si ritrovano sommersi dal lavoro, banchetti e catering. Poi la svolta che cambierà la sua vita: “una sera un’amica mi portò da Glass, il locale mi piacque, conobbi il proprietario (Fabio Spada, ora suo marito) e gli chiesi di poter utilizzare la sua cucina di mattina per fare le preparazioni per i miei banchetti e catering”.

Cristina, in pochi mesi, riesce a costruire una brigata e a mettere in piedi una rete di fornitori, Spada le chiese, allora, di prendere in gestione la cucina ed in questo modo iniziò a lavorare da Glass. Si concesse 3 mesi di tempo per decidere, poiché gli USA erano un pensiero fisso, durante i quali cercò di introdurre nuovi piatti e notò che con il passare del tempo le proposte creative erano sempre più apprezzate. Si ritrovò a lavorare anche 15-16 ore al giorno occupandosi di tutto, pane compreso. Dopo un anno e mezzo si iniziarono a vedere risultati concreti e dopo 3 anni è giunta la stella Michelin, del tutto inaspettata.

Glass, Bir&Fud e Romeo: i locali di Cristina Bowerman

cristina bowerman chef

Glass è oggi un ristorante di fascia alta, ma non nel senso di lussuosa perché la sua idea di cucina ha sempre voluto essere “mai esclusiva”, un trait d’union tra cultura, modi di pensare ed intendere la cucina nel senso più ampio del termine. “Non interpreto le altre cucine, quelle dei paesi esteri, per fare cose creative, ma perché credo che per tramandare la tradizione ai giovani sia necessario tradurla in qualcosa che loro conoscono, quindi piatti anche stranieri apprezzati, dai quali prendere tecniche, preparazioni o prodotti per riproporre la nostra tradizione”.

Poi c’è Bir&Fud, nato per abbinare la pizza gourmet alla birra artigianale, progetto innovativo del 2006, al punto che negli anni successivi tanti hanno seguito questa filosofia. Infine Romeo, nato con la volontà di rivolgersi ad una fascia di clienti che non era interessata a Glass o a Bir&Fud: copre quindi la fascia media, con materie prime ottime, esaltazione dei prodotti prevalentemente nazionali, ma non esclusivamente nostrani “perché non credo nell’autarchia”.

Una cucina in continua evoluzione

“Mi chiedo spesso quando potrà iniziare il mio declino, e mi sono ripromessa di non vivere un’agonia: quando mi accorgerò di non riuscire più a stare al passo, deciderò di ritirarmi”. Parole nette, forti, quelle di Cristina Bowerman, che però è convinta di poter ancora dare tanto, e l’evoluzione delle sue idee è continua, evidenziata ad esempio dalla declinazione di Romeo al Mercato Testaccio. Dare costantemente qualità non è facile, e quindi la Bowerman non si accontenta mai, fa seguire corsi e stage ai suoi ragazzi, compra macchinari all’avanguardia perché ritiene sia utile investire nella formazione.

Ama cambiare spesso i piatti in carta e farsi influenzare da ciò che scopre ed assaggia nel corso dei suoi viaggi: l’ultima folgorazione è stata in Cile, paese in fermento. Può esser colpita da una tecnica, un prodotto, un abbinamento di sapori. Le piace assorbire dagli altri per poi inglobare quanto scoperto nella sua filosofia di cucina facendolo diventare una parte organica: “voglio che i clienti possano mangiare qualcosa di italiano con una veste inedita”.

I piatti icona

mela in quattro versioni

Vuole menzionare il “Panino alla liquirizia con scaloppa di foie gras, chips di patate, ketchup di mango e maionese al passito” perché ha rappresentato il primo tentativo di introdurre un piatto di quel tipo in un ristorante di un certo livello, “c’è voluto coraggio” commenta ripensandoci. Poi un altro, che la rappresenta in maniera completamente opposta: il “Raviolo di parmigiano liquido 60 mesi”. Un piatto che l’aveva stancata e che stava per togliere dal menu, poi però Stefano Bonilli (fondatore del Gambero Rosso) andò a cena da lei, scrisse un articolo su quei ravioli e Cristina decise di tenerlo in carta e poi, dopo la sua morte improvvisa “ho deciso di non toglierli più”. Non sa indicarmi, tra i nuovi piatti, quello che diventerà la prossima icona, ma ha le idee chiare su un’altra novità, infatti vuole spingere la griglia, utilizzata ad oggi come sistema di cottura integrato, ma a cui ora vuole dare un ruolo fondamentale.

Sostenibilità, sfide e difficoltà contro lo spreco

“È davvero difficile eliminare del tutto lo spreco, anche io (come Francesco Apreda, n.d.r) provo ad essiccare tanto per evitare di dover buttare troppe cose”. Cristina mi confessa con amarezza che a suo avviso non c’è il supporto delle istituzioni a Roma: i ristoranti si sentono soli. Addirittura capita di proporre in prima persona idee ed iniziative, chiedendo alla burocrazia solo il permesso, facendosi carico dei costi e delle spese, ma ciò non basta: “non otteniamo mai esito positivo, questo è un contesto nel quale non è possibile cambiare nulla”.

La Bowerman si impegna per evitare sprechi strutturando rapporti di fiducia con fornitori selezionati, che le consentono di poter ordinare ciò che preferisce, nelle quantità di cui ha bisogno, spendendo anche qualcosa in più, ma sapendo di prendere solo le cose strettamente necessarie.

Tuttavia talvolta emerge proprio in questo ambito una nota dolente: “ho rapporti con alcuni fornitori, anche piccoli, consolidati nel tempo. Ma sovente mi accade (l’ultima volta questo capodanno) di non ricevere i prodotti richiesti, senza un valido motivo”. Diviene conseguentemente difficile avere costanza nella fornitura, correndo il rischio di non riuscire a preparare ogni sera i piatti presenti in carta.

Che futuro per la ristorazione?

pesce bianco glassato alla soia

I rischi dell’improvvisazione

Le chiedo delle tante aperture che si susseguono nelle grandi città, Roma in primis, ma anche delle tante chiusure. “È un fenomeno prettamente italiano, io li chiamo “accrocchi”: non mi dispiace il fatto che ci siano locali che propongano piatti normali, perché torna a mio vantaggio, ma servirebbero professionalità e capacità imprenditoriali unite alla necessaria conoscenza”. E soprattutto, secondo la chef, ci vorrebbe più voglia di rischiare per innovare, “perché negli ultimi 10 anni l’unica grande novità che abbiamo avuto a Roma è Trapizzino (la tasca di pizza bianca farcita prevalentemente con ricette tradizionali della cucina romana)”.

Creiamo uno stile italiano nel servizio

“Se vai a cena in un ristorante, e pur mangiando nella media vieni però messo a tuo agio dal servizio, tornerai sicuramente. Mentre non si può dire lo stesso nel caso opposto, mangiando benissimo ma provando un senso di disagio a causa del servizio difficilmente il cliente torna in quel locale”. Cristina, anche su questo argomento, ha le idee chiare: a suo avviso nel nostro paese il problema è un altro. Infatti, si porta avanti uno stile alla francese o meglio, una copia, dello stile francese al servizio perché non abbiamo creato delle linee guida per avere uno stile italiano. Anche in questo caso, come avviene per le nuove aperture di cui abbiamo parlato prima, la colpa è da addebitare alla mancanza di voglia di rischiare. C’è da sempre la convinzione di dover esser solenni, “mentre il mio ricordo più sorprendente riguardo la tipologia di servizio di sala è relativa ad una esperienza in un importantissimo ristorante dove fui accolta e servita per tutta la sera da un ragazzo vestito in maniera normale e con una capigliatura incredibile, che mi fece sentire a mio agio grazie ad una grande professionalità e ad un servizio “non impaccato””.

La Guida Michelin

Siamo seduti ad uno dei tavolini di Romeo al Mercato Centrale. Ormai è ora di pranzo ed assaggio dei buonissimi tortelli. Ho ancora qualche istante a disposizione e chiedo a Cristina il suo punto di vista sul mondo della guida Michelin. “Non ci sono regole da seguire per conseguire una stella e conquistarla non ti imbriglia, bisogna continuare ad essere sé stessi.” Lei è riuscita a conseguire il riconoscimento con un ristorante senza tovaglie, perché “quelli della Michelin sono più avanguardisti di quanto si possa pensare”, hanno saputo infatti svecchiarsi nel giro di pochi anni acquisendo ancora più credibilità.

Non si deve lavorare pensando solo ai riconoscimenti, perché si corre il rischio di snaturarsi, la cosa più importante è continuare ad essere sé stessi. Ogni risposta è diretta, netta, senza possibilità di fraintendimenti. È lo stile di Cristina Bowerman, che è possibile ritrovare anche nei suoi piatti. Quelli di Glass, di Romeo, e di una delle prossime novità che sicuramente ha in serbo per gli appassionati della capitale. Ci siete mai stati

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