Negli ultimi anni la crisi del miele e delle api ha determinato un drastico calo della produzione, oltre a un inevitabile aumento dei prezzi. Le ragioni di questa situazione sono molte, anche se si ritiene che la diffusione dei pesticidi e degli erbicidi in agricoltura sia la causa principale. Dopo aver approfondito i motivi del declino nella produzione dell’olio d’oliva, con alcune previsioni per i prossimi anni, questa volta ci concentreremo sui motivi della crisi del miele – che pare ancor più grave – e sulle frodi che minacciano questo settore. Per vederci più chiaro abbiamo interpellato Andrea Besana di Borgo del Miele, azienda che opera nella provincia di Bologna seguendo i principi dell’apicoltura biologica.
Crisi del miele: la situazione in Italia
La forte flessione nella produzione di miele è ormai un dato acclarato, che ha visto nell’ultimo biennio un momento di particolare difficoltà. Secondo l’ultimo rapporto di Informamiele, il 2017 ha fatto registrare quantitativi molto scarsi, con alcune punte estremamente negative, come nel caso del miele di acacia – il monofloreale più apprezzato – la cui produzione è stata inferiore dell’80% rispetto alla norma. In Piemonte e in Lombardia la crisi del miele è stata particolarmente grave, mentre in altre regioni non si sono verificate le stesse condizioni.
In generale, nello scorso anno la lunga siccità ha influito negativamente sui raccolti estivi e autunnali, anche se, come ci ha raccontato Andrea Besana, la crisi del miele e delle api è dovuta a una sommatoria di fattori.
Sempre meno api: quali sono le cause?
Secondo l’intervistato, la sofferenza e la moria delle api è una tendenza mondiale, che quindi non riguarda solo il nostro Paese. Senza limitarsi alla crisi del miele, bisogna considerare che questi preziosi insetti faticano a sopravvivere, soprattutto nelle aree ad alta vocazione agricola, che un tempo erano luoghi prosperi e sicuri per gli abitanti degli alveari. A causa dell’uso di pesticidi e insetticidi, stanno diventando luoghi inospitali anche i frutteti, che invece secondo logica dovrebbero essere habitat ideali, grazie alle fioriture generose. In generale, dove le piante coltivate sono anche di interesse per le api, il problema si accentua.
Come precisa Besana, quando vediamo un campo di grano completamente privo di erbe estranee all’agricoltura, dobbiamo sapere che l’impatto dei diserbanti è molto forte. Di conseguenza, se l’agricoltura elimina le erbe naturalmente presenti e frequentante dalle api, queste inevitabilmente tenderanno a sparire dalle campagne.
A pesare sulla crisi del miele e delle api sono anche le malattie, la riduzione degli ambienti naturali e le avversità climatiche, quest’ultimo fattore, del resto, è sotto gli occhi di tutti. Le primavere piovose, gli inverni caldi e le lunghe siccità alterano gli equilibri naturali, ai quali le api sono molto sensibili. Tuttavia, su una scala di importanza, al primo posto troviamo sicuramente l’uso di prodotti chimici in agricoltura.
L’impatto della chimica: ieri e oggi
Rispetto agli anni Ottanta e Novanta, si è portati a pensare che oggi l’uso degli agrofarmaci sia inferiore, o comunque non altrettanto nocivo per gli ecosistemi rurali. L’intervistato, però, evidenzia una situazione non meno critica. Nel corso degli anni sono cambiate le molecole e le modalità di utilizzo, grazie alla formulazione di prodotti innovativi, per i quali sono sufficienti dosi molto più basse rispetto al passato. Tuttavia, si tratta di sostanze estremamente potenti, che combinano il loro impatto con la riduzione territoriale degli habitat, come sottolinea Besana, facendo notare anche la differenza fra le campagne dei decenni scorsi e quelle di oggi, diserbate molto più drasticamente.
I neonicotinoidi, ad esempio, per le api sono altamente tossici e, seppure impiegati a dosi bassissime, sono in grado di disorientare gli insetti, causandone la morte e di conseguenza il progressivo svuotamento degli alveari. L’uso in campo aperto di questa classe di molecole, alla quale appartengono l’imidacloprid e il clothianidin, è appena stato bandito dall’Unione europea, anche grazie alla spinta decisiva da parte dell’Italia e della Francia. Il provvedimento è stato approvato il 27 aprile scorso, dopo il parere scientifico dell’Autorità comunitaria per la sicurezza alimentare (EFSA).
Anche il glifosato minaccia le api?
Andrea Besana precisa che gli effetti del glifosato – noto erbicida il cui uso in Europa è stato recentemente prorogato – non vengono testati sulle api. Tuttavia, si sarebbero osservati elevati livelli di questo prodotto negli esemplari morti nel 2016 sul territorio bolognese, un dato che quantomeno alimenta dei sospetti.
Per un’analisi completa, andrebbe valutata l’azione dei fungicidi e di tutti gli erbicidi, che pur non avendo effetti tossici possono comunque alterare gli equilibri naturali, ad esempio influendo sulla flora intestinale delle api. Una molecola chimica ritenuta non tossica, che non uccide immediatamente gli insetti, potrebbe comunque determinare la crisi del miele e delle api, interferendo sull’allevamento delle larve e delle regine.
Nel considerare la nocività dei diversi prodotti, inoltre, si dovrebbe sempre fare riferimento all’alveare nella sua globalità, un sistema molto complesso che funziona grazie ai segnali chimici, peraltro in parte ancora sconosciuto. Del resto, le api sono visitatrici infaticabili, che entrano in contatto con centinaia di prodotti artificiali.
Ci sono coltivazioni e territori più a rischio?
Quando si parla di piante particolarmente apprezzate dalle api, l’impatto negativo degli agrofarmaci aumenta. L’intervistato cita ad esempio la coltura della colza e le aziende sementiere, che replicano e vendono sementi di essenze tipicamente frequentate dalle api, come le cicorie, il cavolo e altre colture non alimentari, quindi soggette a regole meno restrittive nell’impiego di pesticidi. Nel Meridione le zone coltivate ad agrumeto sono più a rischio, mentre le zone boschive mantengono una vivibilità migliore per gli alveari. Oltre alle piante da frutto, questi insetti visitano anche coltivazioni meno sospettabili, come gli ortaggi, la vite e molte altre abbondantemente trattate con insetticidi e pesticidi. Besana sottolinea che, a prescindere dai territori, quando si pratica l’agricoltura industriale non mancano i problemi. Le differenze si palesano anche passando dalla pianura alla collina, dove le api sono più sane e numerose.
[elementor-template id='142071']Produzione e commercializzazione del miele
L’intervistato delinea le peculiarità della produzione biologica, che si distingue soprattutto per la lavorazione apportata dall’apicoltore. In Italia sarebbe difficile pensare che le api possano visitare esclusivamente le coltivazioni in regime biologico, numericamente più rare rispetto a quelle convenzionali. La differenza si determina soprattutto in base ai trattamenti applicati contro le malattie delle api, in quanto l’apicoltura bio prevede l’utilizzo di soli prodotti a base di molecole naturali, derivate dalle piante. Si tratta di farmaci specifici meno potenti rispetto a quelli chimici, che devono essere accompagnati da un surplus di lavoro meccanico da parte dell’apicoltore.
Millefiori o Monoflora?
Andrea Besana precisa che il miele ottenuto a partire da un’unica essenza è una creatura degli apicoltori, mentre le api per natura darebbero sempre miele millefiori, seguendo la stagionalità delle fioriture e unendo le diverse produzioni. L’apicoltura, invece, si è evoluta per differenziare e valorizzare i singoli fiori in base al gusto, aspetto che comporta un aggravio di lavoro per spostare le api nei pressi delle piante selezionate. Ciò determina anche un prezzo più elevato, mentre invece il millefiori si può fare dappertutto, magari distinguendo quello ottenuto in pianura, in collina o in montagna. Questa tipologia di miele comunque non va snobbato, e a volte alcuni millefiori risultano più gustosi e ricchi rispetto ai monofloreali.
Apicoltura: grandi aziende e piccole realtà
Secondo l’intervistato, le dimensioni delle aziende non solo legate alla qualità del miele, ma come sempre è importante sapere come viene prodotto il cibo che mangiamo, e la differenza dipende dalla professionalità di chi lavora. In Italia la maggior parte degli apicoltori sono amatoriali, tuttavia è importante precisare che questo tipo di produzione deve limitarsi al consumo domestico, mentre se il miele viene venduto a terzi si oltrepassa questo confine. In Emilia-Romagna, ad esempio, è stato fissato per legge il limite massimo di dieci alveari per l’apicoltura amatoriale.
Miele: importazione e frodi
Il problema delle frodi si manifesta soprattutto quando il miele scarseggia e la domanda supera l’offerta, situazioni che in questi anni si sono verificate entrambe. Nel nostro Paese, infatti, la richiesta continua a crescere così come i prezzi, a causa delle scarse quantità disponibili e grazie alle proprietà salutistiche del miele, di cui ci siamo occupati insieme al professor Enzo Spisni nel nostro approfondimento sui dolcificanti naturali.
Besana puntualizza che in Italia la domanda è soddisfatta grazie alle importazioni comunitarie, in misura minore, e da quelle extracomunitarie, prevalenti a causa dei prezzi inferiori, che però possono celare delle frodi. Spesso si ha a che fare con sofisticazioni di nuova generazione, che a volte nemmeno le analisi di routine e i controlli alle frontiere riescono a individuare. La crisi del miele e delle api è un dato mondiale, e in questo quadro l’unica nazione che mantiene un’elevata produttività è la Cina, dove peraltro in molte realtà locali le api sono pressoché estinte. Nelle coltivazioni di ciliegi, la mancanza di api costringe gli agricoltori a impollinare a mano i fiori, utilizzando dei piccoli pennelli. Anche in questo caso il problema è dovuto all’uso dei pesticidi, che in Cina è meno controllato rispetto all’Europa.
Avevate già sentito parlare della crisi del miele e delle api? Avete esperienze da raccontare?