Le chiamiamo comunemente cozze, anche se il loro nome scientifico è il ben più ostico Mytilus galloprovincialis e nei vari dialetti regionali sono meglio note con altri appellativi, quali muscoli, moscioli e peoci. Elemento caratterizzante di tanti piatti tipici della tradizione mediterranea, la cozza è uno dei doni del mare maggiormente apprezzati in cucina. Per quanto possano sembrare a prima vista tutte uguali, in Italia ne abbiamo diverse varietà, con delle peculiarità legate alla zona di provenienza. È proprio su questo che ci vogliamo focalizzare nell’articolo: andiamo a conoscere le tipologie di cozze italiane più interessanti e alcuni dei piatti in cui sono protagoniste.
Da quella di Scardovari alla selvaggia di Portonovo: le più note varietà di cozze italiane
[elementor-template id='142071']Le cozze o mitili sono molluschi bivalvi ed equivalvi, cioè protetti da un guscio, di colore nero e forma allungata “a goccia”, che si compone di due parti uguali. La parte polposa si presenta con un colore che varia dal bianco al grigio, fino al giallo e all’arancione, con delle venature nere: è questa la parte edibile della cozza, dov’è racchiusa tutta la carnosità e il retrogusto salino, che ne sono i tratti più caratteristici. Sono tipicamente molluschi d’allevamento, spesso provenienti da latitudini ben lontane dalle nostre. Eppure, i nostri mari abbondano di impianti di mitilicoltura, al punto che in Italia si contano diverse varietà di cozze, alcune delle quali molto pregiate. A partire dalla cozza di Scardovari, l’unica che può vantare il marchio DOP, la cozza pugliese, la selvaggia di Portonovo (presidio Slow Food), senza dimenticare la cozza adriatica. Prima di andare a scoprire le peculiarità di ciascuna, sottolineiamo che anche i mitili hanno una loro stagionalità: i mesi in cui assaporarle al meglio sono, infatti, quelli da maggio ad agosto. L’estate è dunque il momento giusto per intraprendere un viaggio tra le più note e apprezzate varietà di cozze italiane.
Cozza di Scardovari DOP
Iniziamo dalla Cozza di Scardovari, cui nel novembre 2013 è stata riconosciuta la DOP (Denominazione di Origine Protetta). Si tratta di una varietà allevata nell’omonima “sacca” nel delta del fiume Po, dov’è allevata, colta e lavorata da famiglie di pescatori da generazioni. Per “sacca” si intende un’insenatura collegata al mare attraverso una bocca lagunare: in questo modo, si crea un gioco di correnti che incide sia sulle condizioni ambientali, sia, di conseguenza, sulla crescita dei mitili. Il disciplinare di produzione a garanzia del marchio DOP prevede precise regole da seguire riguardo le modalità di allevamento e le successive fasi di lavorazione, che devono avvenire tutte nell’area compresa tra Scardovari, Ca’ Mello e Santa Giulia, tre frazioni del comune di Porto Tolle (provincia di Rovigo). Da regolamento, inoltre, la cozza di Scardovari DOP deve raggiungere la taglia minima di 5 centimetri. Altre caratteristiche di questa varietà sono la consistenza straordinariamente morbida e carnosa e la bassa sapidità, che la rendono delicata e adatta quindi a preparazioni come risotti, zuppe, insalate di mare, oppure coperte da una leggera gratinatura e cotte al forno.
Cozza adriatica
Nel litorale adriatico, con particolare riferimento alla striscia costiera che va da Comacchio fino a Riccione, è tutto un proliferare di mitili, che si riproducono sia in mare aperto, attaccandosi ai sostegni delle numerose piattaforme di estrazione di metano installate al largo della costa, sia nei numerosi allevamenti di cozze presenti. Non a caso, oggi, circa l’80% del mercato italiano del settore è costituito proprio dalla cozza adriatica. Gli esemplari più grandi possono raggiungere dimensioni notevoli, cosa che, insieme alla polpa particolarmente succosa e al gusto sapido, la rende molto versatile in cucina. Una volta pulite e aperte, si possono apprezzare in un sauté, con le cozze fatte saltare in padella a fuoco vivo e poi condite con un intingolo a base di olio, aglio, prezzemolo, pepe e una leggere sfumata di vino bianco, oppure in un generoso piatto di passatelli allo scoglio, per un vero tuffo nella tradizione romagnola.
Pedocio de Trieste
Sempre sul versante adriatico, spostandosi verso nord, oltre la laguna veneta, entriamo nel regno della cozza di Trieste, nota col termine dialettale di pedocio. Qui l’allevamento dei mitili ha una storia lunga e tormentata: dalle origini, che riportano al XVIII secolo, alla battuta d’arresto vissuta nel 1973, a seguito dell’epidemia di colera che colpì la zona, fino alla rinascita. Decisiva, in questo senso, l’adozione di tecniche d’allevamento più moderne, come il passaggio dai vecchi pali a impianti flottanti, con l’innesto dei mitili su apposite reti che ne facilitano il raccolto.
Il pedocio de Trieste è una varietà dalle dimensioni minime di 6 centimetri e caratterizzata da una sapidità contenuta, che ne rende il sapore piuttosto dolce e delicato. Tra le ricette tipiche della tradizione triestina, i pedoci a la scotadeo (cozze alla scottadito), con le cozze ancora chiuse, quindi intere, che vengono fatte aprire in una casseruola a fiamma viva, per poi essere condite semplicemente con spicchi di limone. Infine, i pedoci apanai: dopo aver fatto aprire i gusci con la stessa modalità, il mollusco interno viene passato in farina, uova sbattute e pangrattato e infine fritto in olio bollente.
Cozza tarantina
In Puglia non c’è praticamente provincia dove la cozza non sia presente nella cucina locale. Del resto, la conformazione stretta e allungata della regione fa sì che l’influenza del mare arrivi ovunque. Anzi, dei mari: perché se da un lato abbiamo l’Adriatico, che come stiamo vedendo è habitat favorevole allo sviluppo dei mitili, dall’altro c’è il Mar Jonio. La vicinanza dei due mari e l’apertura verso il Mar Mediterraneo crea un gioco di correnti particolarmente favorevole allo sviluppo delle cozze. Nell’area di Taranto in particolare, con la cozza tarantina che ha vissuto di un passato glorioso, scandito da volumi di produzione senza eguali al mondo. Attualmente la situazione si è ridimensionata, a causa di una serie di fattori, ma non certo dal punto di vista della qualità. La cozza tarantina, infatti, ha un gusto deciso, riccamente sapido, e una forma tendenzialmente tozza, piccola e piuttosto bombata. È protagonista di una ricetta che lega il suo nome proprio alla città di Taranto, ossia le cozze alla tarantina: i gusci vengono dapprima fatti aprire in una pentola a fuoco vivace, insieme a un soffritto d’olio, aglio, prezzemolo e vino bianco, poi sono conditi con un un sugo di pomodoro, con la nota piccante del peperoncino e solitamente accompagnate da crostoni di pane casereccio tostato.
Cozza pelosa di Puglia
Restiamo in Puglia per soffermarci su una varietà singolare, tipica soprattutto dell’area di Bari. Si tratta della “cozza pelosa”, così detta per via dello strato di peluria presente sul guscio, che permette al mitile di restare aggrappato agli scogli in mare aperto, resistendo meglio all’azione delle correnti sottomarine. È, infatti, una specie selvaggia, non riproducibile in allevamento, cosa che la rende particolarmente pregiata. Le sue caratteristiche sono uniche anche per quanto riguarda il mollusco interno, che ha una consistenza più callosa e un sapore non eccessivamente sapido. Da apprezzare soprattutto in ricette della tradizione, come la tiella barese: una sorta di tortino, solitamente presentato all’interno di un tegame, con un cuore di riso e cozze chiuso tra strati di cipolle, patate e pomodori, che viene spolverato in superficie con pecorino e pangrattato, prima del passaggio finale in forno.
Cozza del Golfo di Napoli e del Litorale Flegreo
Ci spostiamo ora sul versante tirrenico della nostra penisola. Risalendo fino alla Campania, entriamo nel regno della cozza del Golfo di Napoli e del Litorale Flegreo. Qui la mitilicoltura è un’attività millenaria, con tracce storiche che riportano all’epoca della colonizzazione degli Osci, popolo che ha abitato queste terre prima dell’avvento dei Greci. Ad ogni modo, l’area interessata è tutta quella che va dal golfo di Pozzuoli, abbracciando il Golfo di Napoli, e che prosegue infine lungo il litorale di Ercolano, fino a Castellammare di Stabia. Allevata su pali di sostegno detti “stralli”, su cui vengono applicate le “reste”, apposite reti di plastica che facilitano la raccolta, le cozze che se ne ricavano sono caratterizzate da un colore dal bianco/beige degli esemplari maschi al giallo intenso delle femmine. Si distinguono soprattutto per la complessità di sapori, con un’elevata salinità, cui fa però da contraltare una prevalente nota dolce e un finale tendente invece all’amaro. La tradizione partenopea sa esaltarle in tante ricette tipiche, come l’impepata di cozze o la cosiddetta “zuppa del Giovedì Santo”, in cui le cozze sono accompagnate da altri doni del mare, come gamberi, polpo e seppie, e condite da un generoso sugo di pomodoro con base di aglio, olio, pepe e prezzemolo.
Cozza di Olbia
Vale la pena spingersi al largo del Tirreno, nella parte nord della Sardegna, nei pressi di Olbia. L’omonima cozza è una tipicità che deve tutto a Raffaele Bigi, colui che, negli anni ‘20 del secolo scorso, dopo un’esperienza nel triestino, ha deciso di avviare un’attività di mitilicoltura. Ancora oggi la sua famiglia è protagonista del settore, coi nipoti ad averne raccolto l’eredità anche in termini di passione e dedizione. La cozza di Olbia è una varietà del tutto biologica, alimentata cioè solo col plancton del mare gallurese e colta quando raggiunge la taglia minima di 5 centimetri. Caratterizzata da polpa turgida e gusto sapido e intenso, si possono apprezzare alla marinara o in un classico della cucina sarda, come le cozze ripiene di carne. I gusci dei mitili, una volta aperti, vengono farciti con un ripieno di carne macinata (tipicamente manzo e maiale), pecorino e pangrattato; dopo averli richiusi con uno spago, si cuociono in padella con un sughetto di pomodori pelati, olio, aglio, prezzemolo e peperoncino.
Mosciolo selvatico di Portonovo
Tappa conclusiva di questo tour tra le varietà di cozze italiane è la riviera del Conero, nelle Marche. Il prezioso tesoro che si nasconde sotto la superficie del mare è il Mosciolo selvatico di Portonovo (frazione di Ancona). Come il nome stesso suggerisce, si tratta di una varietà non d’allevamento: cresce attaccata agli scogli sommersi del Trave, una parete rocciosa a strapiombo sul mare, che si estende per un chilometro fungendo da molo naturale. Agli inizi del secolo scorso erano i contadini dell’entroterra a occuparsi della raccolta, per integrare i loro guadagni, avventurandosi in mare a bordo di imbarcazioni a remi dette “batane”. Le cozze venivano letteralmente grattate via dagli scogli con la “moscioliniera”, una sorta di forcone dalla dentatura metallica. Se da un lato questo sistema non faceva distinzioni tra esemplari maturi e quelli ancora in via di sviluppo, l’accortezza di ributtare in mare quelli non ancora pronti ne ha evitato l’estinzione. I mitili più piccoli, una volta rimmessi in mare, riuscivano infatti a trovare nuovi spazi da colonizzare, favorendo quindi uno sviluppo più esteso di questa specie. Il fatto di non essere d’allevamento e di crescere spontaneamente sugli scogli, rende questa cozza particolarmente ricca di gusto, e non a caso è anche un presidio SlowFood. Assaporarla semplicemente aperta e arrostita su una piastra, senza condimento, sembra davvero portarti dentro tutto il sapore del mare. In alternativa, potete provarla in una delle specialità proposte dai locali di Portonovo.
Cozze, mitili, muscoli, moscioli, peoci… chiamatele come vi pare, ma non cambia il piacere di assaporare questa specialità dal gusto tutto estivo. Qual è, se ce l’avete, la vostra varietà di cozza preferita?