A partire dagli anni Settanta la cucina francese sentì la necessità di evolversi dalla storica grand cuisine codificata da August Escoffier all’inizio del Novecento. A opera dei giornalisti gastronomici Christian Millau e Henri Gault e di pochi chef capeggiati da Paul Bocuse, nacque la rivoluzionaria nouvelle cuisine che proponeva ricette non più̀ rigorose come codici ma creative, con una scrittura ispirata piuttosto a uno spartito musicale, con i sapori scelti e accostati come note per formare un insieme armonico.
La nuovelle cuisine mette in discussione il criterio della trasformazione degli alimenti in cucina, o almeno la loro trasformazione eccessiva. Non più lunghe procedure che fanno smarrire la singola identità degli ingredienti, né l’uso di salse elaborate che coprono i sapori. Si presta la massima attenzione alla stagionalità e alla freschezza dei prodotti, al loro sapore e colore originale, al loro valore nutrizionale, alle virtù salutistiche.
Viene scoperto il crudo, importato dal Giappone assieme a nuovi ingredienti come la soia e i suoi derivati, lo zenzero e le alghe. Il principio della creatività unito alla riscoperta dei sapori originari, suggerisce accostamenti di carni con pesci, marmellate con formaggi, l’uso della frutta in preparazione salata.
La lezione della nouvelle cuisine viene prontamente assorbita dagli spagnoli che ben presto superano i loro maestri con la gastronomia molecolare (tecniche e conoscenze scientifiche applicate alla cucina), perfezionata nella cucina tecno-emozionale degli chef basco-catalani. In sintesi, è la nueva cocina spagnola, con caposcuola lo chef catalano Ferran Adrià patron del ristorante El Bulli sulla costa Brava e autore di un decalogo in 23 punti che ha fatto discutere mezzo mondo.
E la cucina italiana? Anch’essa ha sentito il bisogno di darsi una spolverata. Prima ha adottato come modello la nouvelle cuisine, che nel nostro Paese ha avuto una popolarità intensa ma di breve durata. Poi si è messa al traino di Ferran Adrià e dei suoi allievi.
Di fatto oggi non esiste una nuova cucina italiana con una specifica identità riconoscibile da tutti. O, se preferite, ne esiste più d’una con più di un caposcuola. Ha cominciato Gualtiero Marchesi con la pubblicazione del libro La mia nuova grande cucina italiana, pubblicato nel 1980 al ritorno dalla Francia dove aveva appreso la nouvelle cuisine presso la dinastia dei Troisgros. Più recentemente è arrivato il Decalogo per la nuova cucina italiana di Enzo Vizzari, curatore delle Guide dell’«Espresso», mentre il giornalista Paolo Marchi ha creato un blog intitolato “La nuova cucina italiana”. Marchi è anche ideatore di “Identità Golose”, il congresso italiano della cucina d’autore dal quale dovrebbe emergere il “Ferran Adrià italiano”, unico o multiplo. Finora si sono visti tanti cuochi con piglio da star, si sono assaggiate a prezzi esorbitanti tante loro preparazioni presentate in bellissimi piatti, ma di una nuova cucina italiana di impatto simile a quello della nouvelle cuisine francese e della nueva cocina spagnola ancora non c’è traccia.
Aspettiamo fiduciosi!
Articolo di Martino Ragusa