La Basilicata è una regione tutta da scoprire. La sua collocazione geografica ne fa territorio caratterizzato da una varietà paesaggistica invidiabile. Dai colli dell’Appennino lucano, dove spiccano il Monte Vulture, antico vulcano ormai spento, e i laghi di Monticchio, a località balneari come Maratea e Metaponto, fino a borghi storici come Venosa, Lavello e Pescopagano. Come non citare poi Matera, la città dei sassi, scelta come set per diverse produzioni cinematografiche internazionali (La Passione di Cristo di Mel Gibson ne è forse l’esempio più noto) e nobilitata dal titolo di capitale della cultura 2019? Tanto da vedere, ma non solo. Pecorino di Filiano DOP, Aglianico del Vulture DOC e Peperone di Senise IGP sono alcuni dei prodotti tipici di un territorio da scoprire anche attraverso il gusto: oggi vogliamo condurvi in un viaggio per scoprire cosa mangiare in Basilicata.
Cosa mangiare in basilicata: sapori e prodotti lucani da scoprire
Nel popolo lucano è radicato un forte legame con la sua terra. Legame che trova espressione anche nella cucina. I piatti più rappresentativi della Basilicata, non a caso, nascono da ricette povere, figlie soprattutto della cultura contadina. Zuppe di cereali o ortaggi di stagione, paste fresche di semola, spesso accompagnate da legumi, sono immancabili. C’è poi una forte tradizione legata al maiale. Ogni famiglia contadina ne aveva un piccolo allevamento e il momento dell’uccisione ne ha rappresentato un momento significativo. Era la risorsa da cui si ricavava la carne destinata a soddisfare il fabbisogno domestico per i mesi a venire. Del maiale, com’è noto, non si butta via niente: dalle carni fresche, da utilizzare per la preparazione di condimenti o negli stufati, agli insaccati, fino alle parti grasse, da cui si ricavava la famosa focaccia coi ciccioli o il sanguinaccio, tradizionale dolce a base di pasta frolla e cioccolato fondente, che un tempo veniva aromatizzato con il sangue suino.
La Basilicata è anche terra con una forte tradizione casearia, direttamente connessa alla diffusa pratica della pastorizia. Ecco perché, ancora oggi, sono tanti i caseifici attivi, dove si producono sia latticini a pasta filata, sia formaggi più stagionati, di latte vaccino, e di pecora. Infine, il grano: altro elemento essenziale, protagonista della tradizione lucana. Ogni città e ogni paese sono pervasi dal profumo inconfondibile emanato dai forni. Pizza, focaccia e taralli qui sono di casa e, nonostante non ci sia una particolare tradizione dolciaria, scopriremo come in un piccolo insospettabile borgo lucano si produca uno dei panettoni artigianali più apprezzati d’Italia.
Verdure e legumi: una cucina di stampo contadino
La Basilicata è tradizionalmente una regione di forte impronta contadina. Il legame con la campagna scandiva le giornate, dettando abitudini e ritmi di vita quotidiana. E influenzando, in questo senso, anche i piatti tipici. Come la ciambotta, specialità dell’Italia meridionale, che nella versione lucana è costituita da verdure stufate (generalmente peperoni, pomodori e patate) su una base di soffritto d’aglio e cipolle, cui spesso si aggiungevano salsiccia di maiale e uova.
Tipiche anche minestre e zuppe, a base soprattutto di legumi. La zuppa fave e cicorie ne è uno degli esempi più classici, con l’amaro della cicoria a creare un invitante contrasto con la dolcezza della fava. Un piatto spesso completato dalla spinta piccante del peperoncino e da una fetta di pane casereccio. Altro piatto che ben rappresenta la tradizione contadina lucana è lagane e ceci. La lagana è una pasta a base di semola di grano duro, tagliata in strisce larghe e irregolari, tipica del sud. Il piatto è spesso servito con una parte brodosa e, come variante, può essere preparato anche con le cicerchie al posto dei ceci. Dopo anni di oblio, questo legume sta vivendo ora una stagione di riscoperta, così come il Fagiolo di Sarconi, che prende il nome dall’omonimo comune di poco più di mille anime e che vanta la denominazione IGP. Un piatto che ben sintetizza la Basilicata e il suo territorio è rappresentato dalla minestra di fagioli e castagne. Col Fagiolo di Sarconi IGP a rappresentare la tradizione contadina e la castagna varola del Vulture melfese (cui viene dedicata ogni anno una sagra, giunta alla 60° edizione) a simboleggiare la ricchezza del bosco. Il tutto idealmente completato da un filo d’olio extravergine di oliva Majatica, varietà tipica delle calanche lucane.
Legumi protagonisti a tutto campo, persino nel dolce. I famosi cauzunziedd’ sono dei fagottini di pasta fritta con un ripieno a base di purea di ceci (nella versione più tradizionale) o di castagne (in questo caso con l’aggiunta di cannella). Presentati in forma di mezzelune e completati con una spolverata di zucchero a velo o con del miele, sono un dolce tipico della tradizione natalizia.
La tradizione del grano arso
La terra ha sempre rappresentato una risorsa per le popolazioni contadine. E la terra lucana è legata, in particolare, al grano. Un elemento fondamentale per la sussistenza del popolo lucano, che ne ha sempre fatto tesoro. Qui protagonista è il cosiddetto grano duro. Lo è ancora oggi, anche con varietà rinomate, quali la Senatore Cappelli.
Negli ultimi anni, inoltre, si sta riscoprendo anche il grano arso. Questa varietà deriva da un’antica tradizione. Per non sprecare il grano che restava a terra dopo la fase di mietitura, si usava bruciare le stoppie. Questa operazione permetteva sia di fertilizzare i campi, sia di agevolare il raccolto delle spighe rimaste. I proprietari terrieri consentivano ai braccianti di raccoglierle. I chicchi di grano avevano un caratteristico colore scuro dovuto alla bruciatura e venivano portati ai mulini, dov’erano macinati con un minimo quantitativo di farina bianca. In questo modo si otteneva una sorta di farina integrale, dal gusto spiccatamente amarognolo, che permetteva di centellinare la farina bianca, all’epoca risorsa preziosa e costosa.
Oggi la pratica dei rustucc’, così venivano indicati nel dialetto locale i campi arsi, è vietata per vari motivi, legati sia alla salute pubblica che al rischio di propagazione degli incendi. Il grano arso si ottiene dunque attraverso una tostatura dei semi di grano, che dà origine a una farina dal caratteristico colore scuro e con note di caffè e nocciola.
Focacce, taralli e pasta
Tutta questa tradizione legata al grano si traduce in una vasta produzione di farinacei. Ogni forno di paese è pervaso dal profumo di pizze e focacce. Una delle focacce più tipiche è quella condita con pomodori pelati, cipolla e origano, mentre il pane più diffuso è la ciambella. Un pane casereccio dalla crosta marroncina, basso e morbido, caratterizzato da un foro al centro, che gli conferisce la forma di una ruota. Specialità regionale per eccellenza è, inoltre, il Pane di Matera IGP, generalmente realizzato in forma di spighette o in pezzi filoni più voluminosi, caratterizzato dall’uso di lievito madre autoctono e da una crosta spessa almeno 3 mm. E come non menzionare i taralli? Quelli più tipici sono i classici all’olio e quelli aromatizzati al finocchio. Infine, la pasta: orecchiette, cavatelli e strascinati sono i formati più rappresentativi della tradizione popolare. E trovano espressione in vari piatti, tra cui le orecchiette alle cime di rapa. Un altro grande classico normalmente associato alla cucina pugliese, ma che appartiene in maniera forte anche alla cultura lucana.
La melanzana rossa di Rotonda DOP
Natura selvaggia e campi coltivati si susseguono facendo della Basilicata una regione in cui la nuda terra è ancora protagonista. Non c’è traccia di quell’urbanizzazione feroce, che riversa colate di cemento e intuba fiumi e corsi d’acqua. Una forma di rispetto, che la terra stessa ricambia con preziosi doni. Abbiamo detto di legumi come il famoso Fagiolo di Sarconi IGP, ma va ricordato anche il Fagiolo Bianco di Rotonda DOP. E restando a Rotonda, comune di 3435 abitanti della provincia di Potenza, ecco un’altro prodotto unico nel suo genere. Si tratta della Melanzana Rossa di Rotonda DOP. Importata agli inizi del XX secolo dall’Africa, all’epoca delle colonie fasciste, venne introdotta tra le colture locali. Proprio in questo territorio, parte del Parco Nazionale del Pollino, la melanzana rossa ha trovato le condizioni favorevoli per esprimere al meglio le sue caratteristiche. Tonda e rossa, con striature più scure, sembra a tutti gli effetti un pomodoro. E invece è un’eccellenza tutta nostrana, tutelata da un consorzio e nobilitata dal marchio DOP, che ne limita la produzione a Rotonda e ai vicini comuni di Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore.
L’oro rosso di Senise: il peperone
Tra i preziosi doni della terra lucana, come non citare il Peperone di Senise IGP? Ottenuto da varietà di peperoni a corno o a uncino, dalla polpa sottile e la bassa concentrazione d’acqua, che, una volta maturi al punto giusto, vengono colti, legati con spago e filo a costituire le tipiche collane dette serte e lasciati infine essiccare. L’azione del sole, del vento e delle particolari condizioni climatiche che caratterizzano questo paese nel Parco Nazionale del Pollino fanno il resto. Non a caso, il marchio IGP lega questo prodotto al territorio di Senise. I peperoni vengono lasciati essiccare finché non “suonano”, ovvero producono quell’inconfondibile schiocco nel toccarsi l’uno con l’altro. A quel punto si possono usare in varie preparazioni in cucina. Un classico abbinamento è quello col baccalà, dove il Peperone di Senise apporta sia una variante di croccantezza, sia il suo aroma dolce a contrastare la sapidità tipica del baccalà. Un piatto povero della tradizione contadina vede, invece, il peperone secco fatto saltare in padella insieme a uova strapazzate con un filo d’olio. Ma il Peperone di Senise IGP si presta anche ad essere leggermente fritto e salato. Una volta lasciato opportunamente asciugare diventa una sfiziosità nota come peperone crusco, ottimo da assaporare anche in purezza. In alternativa, il peperone secco viene macinato sino a ridurlo in polvere. Diventa così un eccellente insaporitore di pietanze, quali zuppe, minestre o insalate, oltre a trovare impiego nella preparazione di salumi e insaccati, cui conferisce una spinta di gusto e una nota di colore. Il Peperone di Senise IGP è tutelato da un consorzio, al quale aderiscono otto aziende, che rispettano dunque tempi e modalità di coltivazione e produzione stabiliti dal disciplinare.
Caciocavallo, canestrato, pecorino: l’arte della caseificazione
L’allevamento è un’altra delle attività che ha da sempre caratterizzato la cultura lucana. Proprio all’allevamento di razze bovine, quali la podolica, e alla pastorizia, con greggi di capre e soprattutto di pecore, che trovano qui abbondanti spazi per il pascolo libero, è legata una forte impronta casearia. Nell’entroterra lucano la maggior parte dei paesi, anche quelli più piccoli, vanta almeno un caseificio, dove ogni giorno si lavora il latte fresco producendo formaggi a pasta filata, come la mozzarella, oltre a provola e scamorza, ricotta e altri formaggi freschi. Ma la Basilicata di distingue soprattutto per la produzione di alcuni formaggi stagionati di eccellenza assoluta. A partire dal Caciocavallo Podolico della Basilicata, che rientra tra i prodotti Presidio Slow Food e sul quale è forte l’impegno di Anfosc, associazione cui fanno capo i produttori di formaggio con latte derivante da animali al pascolo. Altra varietà di caciocavallo nota è il Caciocavallo Silano, una DOP interregionale, che comprende 52 comuni lucani e che coinvolge anche la vicina Calabria.
C’è poi il Canestrato di Moliterno IGP, un formaggio stagionato a pasta dura, ottenuto da un misto di latte ovino e caprino. Caratterizzato dalla stagionatura in apposite cantine dette fondaci, che garantiscono un ambiente fresco e ben areato, si produce in sessanta comuni, tra cui Moliterno, distribuiti tra le province di Potenza e Matera. Infine, il Pecorino di Filiano DOP. Formaggio stagionato a pasta dura, di solo latte ovino, lega il suo nome all’omonimo comune di poco meno di 3000 abitanti della provincia nord di Potenza. Viene fatto stagionare per un minimo di 180 giorni alla temperatura di 12/14 °C, garantita dalle caratteristiche grotte di tufo. Dal ventesimo giorno di maturazione, la sua crosta viene trattata con olio extravergine d’oliva locale, che gli conferisce un colore dal giallo paglierino al marroncino e soprattutto una nota aromatica inconfondibile sin dal taglio della forma. Si produce in un’area che comprende trenta comuni, tutti situati nella fascia collinare a nord-ovest della regione, a ridosso del Vulture. Ogni anno, intorno alla prima domenica di settembre, nel paese di Filiano si tiene una sagra, la Sagra del Pecorino di Filiano DOP appunto, giunta nel 2019 alla sua 47° edizione, che fa da richiamo per appassionati e turisti da ogni parte d’Italia.
Salumi poveri… ma non di gusto
Come detto in precedenza, la cultura contadina lucana è storicamente legata all’allevamento suino. Dal principio per cui del maiale non si butta via nulla deriva una tradizione di salumi e insaccati cosiddetti poveri, oggi tuttavia considerati a pieno titolo delle specialità da tutelare. È il caso del salame pezzente. Mentre le carni più nobili venivano destinate alla produzione di soppressata, pancetta e guanciale, quelle rimanenti venivano raccolte e tritate insieme ad altre, come stomaco, nervetti e parti di muscolo più difficili da trattare. Salate e aromatizzate poi con peperone secco (dolce o piccante) sminuzzato, finocchietto selvatico erano infine insaccate e conservate in vasi di vetro all’interno di olio o della cosiddetta sugna (il grasso ottenuto dalla lavorazione del lardo). Salume dalla forte intensità aromatica, il Pezzente della Montagna Materana è entrato a far parte dei prodotti tutelati dal marchio Slow Food.
Alla Basilicata sembra essere legata anche l’origine di una specialità tipica dell’Italia settentrionale. La famosa luganega, base di diversi piatti tipici, come il risotto alla monzese, sembra che debba il suo nome proprio alla Lucania. Da qui l’antico termine lucanica, con cui ci si riferisce a questo insaccato ottenuto da un macinato di carne e grasso di suino.
Se parliamo di cosa mangiare in Basilicata, tuttavia, i salumi più noti sono altri. A partire dalla soppressata, un prodotto incluso nel registro PAT del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che si ottiene da tagli nobili del maiale. L’aggiunta di sale, pepe e polvere di peperone macinato ne completa l’aromatizzazione. Segue poi l’essiccazione, che deve avvenire in ambienti freschi e al riparo dall’umidità, in modo da lasciar compattare la carne attorno alla parte di grasso centrale. Salumi e insaccati trovano spazio in diversi piatti della tradizione lucana. L’esempio più tipico, in questo senso, è il ragù potentino noto col nome dialettale di ‘ndruppeche. Il termine equivale a inciampo e richiama l’idea di inciampare nei vari tagli di carne alla base di questa preparazione. In un soffritto di aglio e olio, si fanno rosolare parti di carne bovina, tipicamente muscolo, e carne suina, come il salame pezzente, dopodiché si aggiunge la salsa di pomodoro e si lascia sobbollire il tutto per ore. Non di rado, si aggiungono anche altri tipi di carne, come agnello, coniglio o pollo. Si ottiene così un sugo ricco, che si presta a condire primi piatti. Gli strascinati alla ‘ndruppeche ne sono l’esempio più emblematico. Sapori forti, che trovano ideale accompagnamento nel vino principe della regione, l’Aglianico del Vulture. Prodotto a marchio DOC legato all’area del Monte Vulture, è un vino fermo, dal colore rosso rubino carico e, specie nelle versioni più invecchiate, corposo e dal gusto intenso.
Acerenza, feudo del panettone
Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, chi oserebbe mai associare la Basilicata al panettone, il dolce tipico della tradizione milanese? L’azzardo è invece giustificato dalla pasticceria Tiri e dal maestro lievitista Vincenzo Tiri. Si tratta di un marchio storico, nato nel 1957 ad Acerenza, borgo medievale a 800 metri sul livello del mare. Qui, sui colli della provincia potentina, ha aperto i battenti come piccola bottega, su iniziativa del capostipite della famiglia Tiri, nonno Vincenzo. Oggi il nipote, che porta lo stesso nome, ha saputo farsi conoscere ed apprezzare in tutta Italia e oltre, grazie al suo panettone. Un prodotto rigorosamente artigianale, dalla selezione alla cura nel trattare le materie prime, fino agli impasti, che vengono letteralmente coccolati. Tre fasi di impasto e tre lunghe lievitazioni sono la chiave per sofficità, fragranza e gusto. Un’alchimia perfetta, che non a caso ha saputo conquistare vari riconoscimenti, quale il primo posto assoluto 2017 nella classifica dei migliori panettoni artigianali di Gambero Rosso. Oltre alla storica sede della pasticceria, nel cuore di Acerenza, da poco più di un anno è aperto anche il Tiri Bakery & Caffé, a Potenza, dove si possono ammirare e degustare tutte le golose produzioni della famiglia Tiri.
Quali prodotti tipici della Basilicata avete assaggiato? Quali sono i vostri preferiti?