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Cosa mangiare a Perugia: la città capoluogo del “cuore verde d’Italia”

 

Perugia è arte, storia… e tradizione culinaria. Quella di una regione, l’Umbria, che conta su una cucina povera ma di sostanza. Sono i sapori decisi a farla da padrona qui: le paste fresche, come gli iconici stringozzi o umbricelli, i salumi, tra cui svettano capocollo e prosciutto crudo, la carne di selvaggina, le torte salate e i dolci tipici, spesso legati a ricorrenze religiose, e soprattutto i prodotti della terra. Una terra fertile e generosa, quella della regione definita il “cuore verde d’Italia” che sa regalare eccellenze quali il tartufo nero di Norcia o le olive da cui si ricava l’Umbria DOP, una tra le più pregevoli varietà di olio extravergine d’oliva italiane. Vi apriamo dunque con piacere le porte di Perugia, guidandovi a scoprire i sapori che la caratterizzano.

Mangiare a Perugia: le specialità e i piatti più tipici di una cucina povera ma di sostanza

Issata su alture collinari, con a valle le sue numerose frazioni, e forte delle antiche mura etrusche, Perugia custodisce sia il cuore della città medievale che fu, raccolta all’interno della suggestiva Rocca Paolina, sia l’effervescente vitalità che anima Corso Vannucci, tra negozi, caffetterie e botteghe storiche. Aperta alla modernità e teatro di eventi di richiamo internazionale come l’Umbria Jazz e l’Eurochocolate, ha al tempo stesso le radici ben salde nelle sue tradizioni. A partire da quelle enogastronomiche, che si fondano su buoni vini, grandi oli, salumi di pregio, specialità riconvertite alla moda dello street food, come la torta al testo, e tanti piatti che parlano soprattutto la lingua schietta e sincera della cultura contadina. In questo articolo proviamo a farvi sentire i profumi e i sapori di questa terra, attraverso una panoramica su cosa mangiare a Perugia

Strangozzi al tartufo

strangozzi al tartufo
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Tipici di Perugia e dell’intera Umbria sono gli strangozzi, detti anche stringozzi o umbricelli. Si tratta di una pasta lunga di sezione rettangolare, più spessa rispetto al tagliolino e meno larga di una tagliatella, fatta con farina, acqua e sale. Preparata tradizionalmente a mano, è ormai talmente diffusa da trovarsi disponibile in formato di pasta secca ed è la base di un piatto identitario della cultura perugina, ovvero gli strangozzi al tartufo. In questo caso il riferimento è al nero della vicina Norcia, una delle città italiane del tartufo. Il condimento base è quello di una classica pasta al burro, su cui il tartufo viene grattugiato fresco a fine cottura, conferendo l’inconfondibile impronta di aroma e gusto. 

Torta al testo

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Un semplice impasto di farina, acqua, sale e un pizzico di bicarbonato sono gli ingredienti base della torta al testo. Specialità povera, nata dalla cultura contadina come alternativa al pane, ricorda molto la piadina romagnola per colore e consistenza, con la superficie bianco avorio irregolarmente alternata ad aree rese scure dalla cottura. Impastata in forme tonde di diametro indicativo tra i 24 e i 30 centimetri e di spessore di 1-3 centimetri, era anticamente cotta su braci ardenti mediante tegole di laterizio, già note ai tempi dei romani col nome latino di textum, da cui quindi il nome. Oggi si opta per i più moderni testi in ghisa, anche se in molte case ormai si ricorre anche alla classica padella antiaderente. 

È proprio nelle case che ha trovato diffusione, tanto che ogni famiglia ha il suo modo di prepararla, che può differire sia nelle dimensioni (soprattutto per quanto riguarda lo spessore) sia negli ingredienti, con versioni in cui si arricchisce l’impasto con l’uovo, per conferire più colore e sostanza, oppure col latte, per renderlo più morbido. Ad ogni modo, la torta al testo è protagonista dello street food a Perugia, dove non è raro imbattersi in locali dedicati, come Testone. Si usa dividere la forma tonda in spicchi, ciascuno dei quali viene tagliato a metà, farcito a piacimento e mangiato – preferibilmente caldo – a mo’ di panino. Tra le farciture più gettonate: prosciutto crudo (tipicamente tagliato al coltello), capocollo, stracchino e rucola o salsiccia ed erbe di campo. In alcune osterie tipiche può essere servita sempre tagliata in spicchi, di dimensione però ridotta, insieme o al posto del pane. 

Torta al formaggio o torta di Pasqua

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Tipica di tutta l’Umbria, dove viene chiamata con nomi diversi a seconda della zona, a Perugia è nota come torta di Pasqua o torta al formaggio. Già questo ne anticipa tradizione e caratteristiche. Nasce infatti come specialità per celebrare la Pasqua e si preparava in genere il Giovedì Santo in modo da averla pronta il sabato, quando la si faceva benedire dal parroco del paese. La mattina di Pasqua, quindi, la si tagliava a fette e la si consumava a colazione, farcendola con uova sode e capocollo o con altri salumi locali. Elemento caratterizzante è il formaggiopecorino e parmigiano – massicciamente inglobato nell’impasto, sia grattugiato sia a cubetti. Sono presenti anche farina, uova (circa 10 per ogni Kg di farina), olio, strutto e lievito. Lo stampo in cui viene fatta prima lievitare e poi cuocere ne determina la forma, che è simile a quella del panettone: base cilindrica con sviluppo verticale a mo’ di fungo e una superficie a cupola di colore bronzeo. 

Compatta esternamente e con una pasta interna dalla fitta trama gialla, di tanto in tanto punteggiata da occhiature chiare di pezzetti di formaggio fuso, è di consistenza morbida e più o meno umida a seconda della cottura. Una volta cotta, la si lascia raffreddare bene e la si serve a temperatura ambiente. Sebbene la tradizione legata alla Pasqua sia ancora viva soprattutto nelle frazioni e nei piccoli comuni, nelle gastronomie perugine oggi la si trova facilmente in ogni periodo dell’anno. Il gusto intenso e tendenzialmente sapido, che dipende molto dalla quantità e dal tipo di formaggi utilizzati nell’impasto, la rende adatta a farcirla a piacimento, come già detto, ma anche ad assaporarla da sola in qualsiasi altro momento della giornata, dalla colazione all’aperitivo.

Torello alla perugina

La cucina perugina sa regalare tante soddisfazioni agli amanti della carne. Oltre alla selvaggina – con cinghiale, lepre e piccione che sono spesso la base di succulenti stufati o di gustosi ragù per condire primi piatti di pasta – un piatto iconico è il torello alla perugina. Si parte da un taglio di vitello, girello o fesa, rosolato in padella con un fondo di olio, aglio, prosciutto, acciughe, capperi e fegatini di pollo e irrorato con succo di limone. A completare il tutto, il tocco aromatico della salvia. 

Baccalà alla perugina

Ormai non dovrebbe sorprendere, in Italia ci sono tanti modi di cucinare il baccalà quante sono le tradizioni locali. E non fanno eccezione i territori in cui il mare non c’è e di conseguenza nemmeno una cucina di pesce. La facilità di conservazione e di trasporto e l’economicità hanno permesso al baccalà di arrivare pressoché ovunque. A farlo entrare nell’uso popolare ci hanno pensato invece la fede cattolica e la volontà di rispettare i cosiddetti giorni di magro. Come la vigilia di Natale, a cui si lega il baccalà alla perugina. Il pesce, solitamente suddiviso in tranci, viene cotto in tegame o in padella con un sughetto rosso di pomodoro e cipolla e completato da pinoli tostati e prugne secche, che creano un contrasto agrodolce. Una variante prevede di infarinare i filetti di baccalà prima di rosolarli.

Strapazzata d’uova al tartufo

Il binomio uova-tartufo è protagonista nella cucina umbra, nella già citata Norcia ovviamente, ma anche a Perugia. E trova espressione soprattutto nella strapazzata, nient’altro che uova sbattute direttamente in una padella unta d’olio precedentemente aromatizzato con scaglie di tartufo, che vengono poi aggiunte negli ultimi istanti di cottura. Non è raro trovare anche la versione frittata, dov’è essenziale curare la cottura affinché risulti morbida, così da veicolare al meglio la ventata aromatica del prezioso tubero, di cui una generosa grattugiata a fresco è degno completamento.

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Parmigiana di gobbi

I “gobbi” sono, di fatto, i cardi, che vengono in parte interrati per proteggerli dalle più rigide temperature invernali. Così facendo assumono una forma ricurva da cui l’appellativo di gobbi. Opportunamente puliti, soprattutto dalle parti esterne più dure e fibrose, sbollentati, infarinati, quindi passati nell’uovo sbattuto e fritti, vengono disposti in una pirofila, alternati a strati di ragù di pomodoro e carne macinata (solitamente di maiale) e parmigiano grattugiato. Quest’ultimo in particolare, spolverato in superficie appena prima della cottura in forno, determina l’appetitoso effetto crosticina croccante.

Scafata

In molte parti dell’Umbria è nota anche come baggiana, ma a Perugia si chiama scafata, dal termine “scafo”, che indica il baccello della fava. Di chiara origine contadina, si tratta di una zuppa tipicamente primaverile, in cui le fave sono ingrediente principe. A completarla altre verdure di stagione come cipollotti e bietole, da stufare lentamente insieme al guanciale, per uno sprint di gusto, e qualche pomodorino. Si aromatizza con menta e finocchietto selvatico e si serve calda o tiepida, con del pane bruschettato e un giro d’olio a crudo.

Torciglione

Dolce tipico delle festività natalizie, il torciglione si presenta a mo’ di serpentello attorcigliato, da cui il nome. Del tutto privo di farina, quindi adatto anche a chi segue un regime alimentare senza glutine, è un impasto secco di mandorle dolci e amare, chiare d’uovo, zucchero e zest di limone. Lavorato in modo da dargli la tipica forma bassa, stretta e leggermente ricurva su se stessa, viene in genere decorato a una delle estremità con due chicchi di caffè e una mandorla intera disposti in modo da richiamare rispettivamente gli occhi e la bocca del serpente. Cotto in forno fino a rendere la superficie dorata, si presenta piuttosto solido e compatto esternamente, più morbido e granuloso all’interno. Dal gusto che ricorda per certi versi la pasta di mandorle, è un dolce che si trova ormai tutto l’anno nelle pasticcerie e nei forni della città.

Pinoccate

Restando nel solco delle specialità del Natale, troviamo le pinoccate. Sono dolcetti a forma romboidale a base di uno sciroppo di acqua e zucchero all’interno del quale vengono inglobati i pinoli. Il passaggio più delicato della preparazione è quello in cui, dopo aver portato a bollore lo sciroppo di acqua e zucchero e aver aggiunto i pinoli e la scorza di limone, si versa il composto su un piano di marmo precedentemente bagnato. Qui si livella il composto con la lama d’un coltello e prima che si raffreddi si procede al taglio in losanghe. Una volta indurite vengono avvolte in carta caramella colorata e si presentano con la superficie di un bianco lucido e dura, simile a quella del torrone, mentre in bocca si rompono in frammenti dolci e friabili. Oltre ai classici bianchi, c’è la versione scura, in cui insieme ai pinoli, al posto della scorza di limone, si aggiunge il cacao.

Ciaramicola

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Legata alla Pasqua come già visto per la torta al formaggio, la ciaramicola è uno dei dolci più tipici di Perugia. Si tratta di una ciambella completamente coperta da una glassatura bianca tempestata di codette di zucchero colorate. Secondo tradizione la glassa dovrebbe andare a formare cinque montagnole, ciascuna delle quali rappresenta uno dei rioni storici della città: Porta Sole, Porta Sant’Angelo, Porta Susanna, Porta Eburnea e Porta S. Pietro. La glassatura è, di fatto, una meringa composta da zucchero e albumi d’uovo, mentre la base è costituita da un impasto morbido caratterizzato sia nel colore, sia nel gusto dalla presenza dell’Alchermes. È il dolce che secondo usanza popolare le giovani donne regalavano ai rispettivi fidanzati in occasione delle festività pasquali.

Torcolo di San Costanzo

Foto Comune di Perugia

Altro dolce diffuso in tutta l’Umbria, ma particolarmente legato alla città di Perugia, è il torcolo di San Costanzo. Preparato per omaggiare quello che – insieme a San Lorenzo e Sant’Ercolano – è uno dei tre patroni della città e che si celebra il 29 gennaio, è una ciambella a base di semplice pasta di pane aromatizzata con semi d’anice e arricchita da uva passa, pinoli e cedro candito. Cotto al forno, si presenta con la classica doratura da crosta di pane e si presta ad essere inzuppato nel latte a colazione o anche nel vino passito a fine pasto. Leggenda vuole che la particolare forma richiami la decapitazione di San Costanzo, col buco centrale che ne rappresenterebbe il collo e la ciambella a simboleggiare invece la corona ricca di ornamenti che si sfilò prima dell’esecuzione. Un’altra teoria molto più pragmatica fa riferimento alla praticità di infilare le ciambelle su lunghi bastoni di legno, rendendo facile portarle a mercati e fiere. 

Schietta e di tradizione, dunque: è così che ci viene da definire la cucina perugina. E voi avete già avuto modo di provarla? Quali di queste specialità vi hanno più colpito?


Immagine in evidenza di: Olga Larionova/shutterstock.com

 

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