La COP28 di Dubai è stata la prima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che ha posto l’impatto dei sistemi alimentari al centro del dibattito. Anche se il summit internazionale si è concluso tra contraddizioni e dubbi sulla concretezza degli impegni presi, in quella sede sono state discusse tematiche di primo piano per ripensare e correggere le filiere, obiettivo già esplicitato dalla strategia europea Farm to fork. Ma quali sono le azioni più importanti da intraprendere sull’agroalimentare per contrastare i cambiamenti climatici? Ecco cosa è emerso durante la conferenza e come le emissioni del settore potrebbero calare in modo significativo se venissero adottati i piani individuati alla COP28.
COP28: ridurre l’impatto dei sistemi alimentari per contrastare la crisi climatica
A Dubai, per la prima volta, una Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha discusso diffusamente sulle filiere agroalimentari e sul ruolo che queste possono avere ai fini dell’equilibrio climatico globale. La giornata del 10 dicembre, in particolare, è stata dedicata a “Cibo, agricoltura e acqua”. Va precisato, però, che già prima del suo inizio sulla COP28 sono piovute critiche per gli evidenti conflitti di interessi, innanzitutto perché l’evento si è svolto nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, un Paese che ha costruito la propria fortuna sul petrolio. In più, come era peraltro prevedibile, i lavori sui temi dell’agroalimentare hanno coinvolto le multinazionali del settore: una presenza criticata per l’eccessiva influenza che le grandi compagnie avrebbero esercitato sulla progettualità e le conclusioni della conferenza. Ad ogni modo, una trasformazione in positivo dei sistemi alimentari è stata al centro della COP28, tematica che non può – o almeno non dovrebbe – prescindere da un riconoscimento dell’urgenza del problema.
Quanto inquina l’agroalimentare?
Prima di analizzare i contenuti del summit di Dubai, però, è bene ricordare, in sintesi, quanto e come incidono le filiere alimentari se si parla di inquinamento climalterante:
- Più di un terzo delle emissioni di gas serra dovute ad attività umane deriva dalla produzione di cibo, un computo che comprende l’utilizzo del suolo, dell’acqua e delle foreste, ma anche gli imballaggi, il ciclo dei rifiuti, il trasporto e lo spreco alimentare.
- Quasi il 60% di queste emissioni è dovuto all’allevamento, al quale si deve il 32% delle emissioni di metano, un gas serra dall’impatto climalterante molto superiore a quello dell’anidride carbonica.
- Sul piano dell’agroalimentare, i principali inquinatori nel mondo sono Cina, Indonesia, Stati Uniti, Brasile, Unione Europea e India.
- A livello globale, il 52% dei terreni agricoli è già degradato e se questa tendenza proseguirà il 90% della superficie terrestre potrebbe essere depauperata entro il 2050. Oltre il 60% dei suoli europei ha subito questo processo e in Italia, come attesta l’Ispra, ogni anno si perdono 77 chilometri quadrati di terreno, dato che comporta anche una riduzione della disponibilità di superfici agricole e costi associati alla perdita di servizi ecosistemici (assorbimento degli inquinanti, resilienza ai fenomeni meteorologici estremi, ecc.) pari a 9 miliardi di euro annui.
Intervenire sui sistemi alimentari: la dichiarazioni di Dubai
Concentrandosi sui documenti condivisi, per l’agroalimentare la COP28 ha prodotto la dichiarazione “Agricoltura sostenibile, sistemi alimentari resilienti e azione per il clima”, firmata da 159 Paesi del mondo, Italia compresa, in cui governi si sono impegnati a “riorientare le politiche, le pratiche e le priorità di investimento per fornire migliori risultati dei sistemi alimentari per le persone, la natura e il clima”. L’obiettivo è offrire indicazioni per la trasformazione dei sistemi alimentari, e quindi ridurre le emissioni, contrastare i cambiamenti climatici in atto e combattere la fame. Ecco i principi cardine della dichiarazione:
- Adattamento e resilienza, per attenuare la fragilità di agricoltori, pescatori e altri produttori alimentari rispetto ai danni dovuti ai cambiamenti climatici, anche grazie a un supporto finanziario e tecnico.
- Sicurezza alimentare e lotta alla malnutrizione, sostenendo le persone vulnerabili attraverso sistemi di protezione sociale e reti di sicurezza, programmi di alimentazione scolastica, ricerca mirata e innovazione.
- Supporto ai lavoratori agricoli e ai sistemi produttivi colpiti dalla crisi climatica, per mantenere un lavoro inclusivo e dignitoso.
- Gestione integrata dell’acqua in agricoltura e nei sistemi alimentari, per garantire la sostenibilità e contenere i riflessi negativi sulle comunità.
- Protezione e ripristino dei territori e degli ecosistemi, attraverso un miglioramento delle condizioni dei suoli, della loro fertilità e della biodiversità, con metodi agricoli più sostenibili: una strategia funzionale all’ambiente come alla produzione alimentare.
Pur essendo un passo non trascurabile dal punto di vista teorico, con impegni finanziari significativi, almeno sulla carta, va detto che questa dichiarazione siglata alla COP28 non è vincolante, e non esplicitando nessun obiettivo quantitativo manca di concretezza. Infatti, non sono presenti né riferimenti chiari ai combustibili fossili, né un’indicazione di orientamento verso diete prevalentemente vegetali e nemmeno affermazioni precise sull’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e obiettivi di riduzione dello spreco alimentare.
Per favorire la realizzazione degli impegni, durante la COP28 è stato lanciato il COP28 Agriculture, Food and Climate Action Toolkit, un insieme di strumenti per aiutare i decisori politici nazionali a tradurre i propositi in azioni locali precise, prodotto da una task force di cui hanno fatto parte Global Alliance for the Future of Food e Fao.
COP28 e alimentazione: i temi dibattuti da cui ripartire
Se da un lato sono mancati impegni chiari e vincolanti per correggere i sistemi alimentari e ridurne le emissioni climalteranti, dall’altro, il summit di Dubai ha avuto perlomeno il merito di evidenziare questioni prima non sufficientemente considerate nei bilanci sull’inquinamento. Tra queste, in sintesi, possiamo citarne tre: ne sentiremo ancora parlare perché restano le leve principali per intervenire positivamente sul settore.
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Ridurre le emissioni degli allevamenti
In occasione della COP28 la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha pubblicato un rapporto per una valutazione globale delle emissioni di gas serra, con le possibilità di riduzione da parte dei sistemi agroalimentari, in particolare quelle degli allevamenti “per limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi Celsius”. In base alle diverse realtà del mondo – aree geografiche, situazioni politico-sociali e sistemi di produzione – il documento evidenzia anche come una moderna ed efficiente pratica zootecnica possa contribuire alla cattura di carbonio e allo sviluppo di bio-economie circolari. Il settore, inoltre, può migliorare e rendere più proficue le sue collaborazioni con altre filiere alimentari.
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Rigenerare i suoli e diffondere le pratiche agricole sostenibili
Di agricoltura rigenerativa si parla sempre di più, e l’interesse da parte di alcuni dei principali colossi dell’industria alimentare richiama l’attenzione sui possibili sviluppi. Multinazionali di prima grandezza, infatti, hanno supportato il lancio di un nuovo quadro per ottenere finanziamenti a sostegno delle pratiche agricole rigenerative, per renderle più sostenibili sul piano economico e aumentarne quindi la diffusione, con progetti negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Secondo la task force organizzata alla COP28, l’agricoltura rigenerativa potrebbe contribuire per un terzo all’azione sul clima richiesta entro il 2030, un obiettivo da raggiungere superando gli ostacoli economici che frenano la sua diffusione tra allevatori e agricoltori, come abbiamo visto nel nostro approfondimento. Infatti, un aumento del 20% del numero di agricoltori che utilizzano queste tecniche ridurrebbe le emissioni del 6%, migliorando al contempo la salute del suolo e i redditi per i soggetti coinvolti. Instaurando un circolo virtuoso, le pratiche rigenerative potranno creare nuovi flussi di reddito per chi opera in agricoltura, compreso il guadagno di crediti di carbonio e attività di formazione a loro volta funzionali a indirizzare gli agricoltori verso la rigenerazione.
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Investire nei sistemi alimentari sostenibili
Il principale successo della COP28 in temi agroalimentare è probabilmente l’impegno finanziario per il sostegno al cibo e all’agricoltura, di cui 3,1 miliardi di dollari per rendere sostenibile il sistema alimentare. Queste risorse provengono sia da stanziamenti nazionali, come gli Emirati Arabi Uniti, che hanno ospitato la conferenza, sia da capitali privati, come quello della Bill e Melinda Gates Foundation, alla quale si devono 200 milioni di dollari per la ricerca agricola, al fine di innovare l’agricoltura e sostenere l’assistenza tecnica per una produzione sostenibile in grado di ampliare in modo equo l’accesso al cibo.
A un importante stanziamento complessivo di 890 milioni di dollari al Cgiar (Gruppo consultivo sulla ricerca agricola internazionale) hanno contribuito governi nazionali, Banca Mondiale e Fondazione Gates: fondi che verranno destinati al sostegno dei piccoli agricoltori con la ricerca sulle tecnologie necessarie ai sistemi alimentari resilienti e sostenibili, come le tecniche di gestione del territorio. Secondo una stima della International Food Policy Research Institute illustrata alla COP28, trasformare completamente i sistemi alimentari per rispettare gli obiettivi climatici entro il 2030 richiederà 350 miliardi di dollari all’anno.
Eliminare la fame senza superare l’aumento di 1,5° C entro il 2030: la sfida principale per i sistemi alimentari
Anche alla luce delle tematiche appena citate, per l’agroalimentare resta la sfida di sempre: l’eradicazione della fame, nei limiti imposti dalla crisi climatica. Sappiamo quanto l’antropizzazione del territorio – che comporta depauperamento, inquinamento, consumo di suolo ed eccessivo sfruttamento agricolo – impatti negativamente sul clima, sulla gestione delle risorse idriche e di riflesso sui sistemi alimentari. Questi ultimi, peraltro, vivono una duplice e contraddittoria condizione: sono, da un lato, tra le principali cause dell’inquinamento, gravati da ingenti costi nascosti, e dall’altro tra le realtà più danneggiate dagli effetti negativi generati dall’inquinamento stesso.
I problemi citati amplificano le criticità dovute alla malnutrizione, in una situazione globale di aumento della popolazione proprio nelle aree più colpite del Sud del mondo. A questo proposito, il rapporto congiunto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” delle Agenzie delle Nazione Unite con competenze in materia di alimentazione, salute, agricoltura e infanzia evidenzia dati e aspetti delicati della questione: nel 2022, una persona su 10 nel mondo ha vissuto la malnutrizione a causa della crisi climatica, delle guerre e della pandemia.
L’importanza del rapporto tra suolo e acqua, inoltre, è stata posta al centro dell’edizione 2023 della Giornata mondiale del suolo della Fao, svoltasi in concomitanza con la COP28 di Dubai. In questa occasione, l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha lanciato un percorso globale per eliminare la fame senza superare i limiti di 1,5°C entro il 2030, che per i prossimi tre anni prevede soluzioni in diversi ambiti, tra i quali energia pulita, colture, pesca e acquacoltura, perdite e sprechi alimentari, foreste e zone umide.
La trasformazione dei sistemi alimentari in pochi anni è un traguardo ambizioso quanto necessario: oltre al contenimento delle temperature, infatti, entro il 2030 occorrerà ridurre le emissioni di metano del 25%, raggiungere entro il 2035 la neutralità del carbonio e rendere entro il 2050 i sistemi alimentari strumenti per la cattura di carbonio, ruolo che già svolgono oceani e foreste.