Il commercio equo e solidale in Italia: la cooperativa “Pangea-Niente Troppo”

cooperativa pangea

 

Dall’Asia all’America Latina, dall’Africa fino all’Italia: cambiano le prospettive e le relazioni tra le varie parti del mondo e, contemporaneamente, si evolve anche la rete del commercio equo e solidale. Se fino a qualche anno fa era sinonimo di acquisti di prodotti di qualità, rispettosi di ambiente e persone, provenienti da aree lontane del globo, negli ultimi tempi nelle 225 “botteghe del mondo” distribuite nel nostro Paese hanno trovato spazio prodotti locali. Il perché di questa evoluzione, non priva di criticità e dubbi, è presto detto: l’obiettivo di questo canale è anche  valorizzare le tante realtà sul territorio italiano che, soprattutto nei luoghi dove lo sfruttamento e il caporalato sono tuttora molto diffusi, si impegnano per coltivare e confezionare prodotti di qualità a filiera “pulita”. Per comprendere meglio come si è evoluto il commercio equo e solidale in Italia e cosa possiamo trovare nelle botteghe abbiamo intervistato Gaga Pignatelli, responsabile advocacy e lobbying per Equo Garantito e parte della cooperativa Pangea-Niente Troppo di Roma.

La Cooperativa Pangea-Niente Troppo porta il commercio equo a Roma

Tra le opzioni per fare la spesa sostenibile a Roma, troviamo le tre botteghe gestite dalla cooperativa Pangea-Niente Troppo, nata dall’unione di due realtà storiche della capitale. Pangea, infatti, è nata già nel 1993 e si è configurata come cooperativa sociale dal 2006: “la fusione con Niente Troppo è stata naturale, siamo due realtà che si occupano di commercio equo e solidale a Roma. L’unione, come spesso accade, può fare la differenza.”

Questa realtà è inserita nella rete nazionale e internazionale del commercio equo e solidale, un network che coinvolge cooperative legate dalla condivisione di alcuni valori fondamentali. “Si tratta di enti che da più di 50 anni cercano di mettere in atto, concretamente, un’economia diversa, basata sulla giustizia, sull’equità e sulla solidarietà. Proviamo a dimostrare che si possono acquistare prodotti realizzati senza sfruttare né l’ambiente né le persone.”

abbigliamento equo e solidale
Facebook.com/pangeanientetroppo

Dal produttore al consumatore

Obiettivo del commercio equo è, inoltre, facilitare una comunicazione diretta tra il produttore e il consumatore, ovunque essi si trovino. Nella stessa rete, convergono di fatto coloro i quali, in vari paesi, sono occupati nel settore dell’alimentazione e dell’artigianato, le organizzazioni che gestiscono e coordinano i viaggi delle merci e le importazioni, e le botteghe, ovvero i luoghi concreti dove il consumatore può recarsi e avere prova che si possa fare una spesa quotidiana alternativa fondata su valori differenti.

Non tutti lo sanno, ma all’interno del circuito equo e solidale è possibile acquistare tutto ciò di cui c’è bisogno, dagli alimenti fino ai vestiti e ai detersivi. “Ci siamo resi conto – spiega Gaga Pignatelli – che le persone ormai sanno cos’è il commercio equo e solidale, vi è una certa sensibilità e conoscenza. Il problema è che non sempre si trasforma automaticamente in una scelta d’acquisto e, ancor più raramente, in una scelta di acquisto abituale.”

Alla luce della sua esperienza, infatti, la responsabile di Pangea spiega come anche clienti molto sensibili e interessati alle storie dei prodotti che si trovano in bottega fatichino a trasformare l’acquisto equo e solidale in una prassi quotidiana. “Dal mio punto di vista – aggiunge l’intervistata – esiste una forte responsabilità anche delle organizzazioni del settore che, nei momenti di crisi, hanno scelto di togliere fondi alla comunicazione, indebolendosi. Oggi ricominciamo a seminare.”

La prospettiva di una crescita è concreta, secondo Gaga Pignatelli: infatti, sempre più aziende investono nella promozione di prodotti con una veste etica. “È una dimostrazione del fatto che un pubblico sensibile esiste, un potenziale ampio e ancora inespresso.”

commercio equo e solidale
Facebook.com/pangeanientetroppo

Cibo contro il caporalato: il commercio equo e solidale guarda all’Italia

Con la diffusione di una maggiore consapevolezza di quanto sia importante fare acquisti tramite questi canali, è mutata anche la geografia umana del mondo. Anche all’interno delle reti del commercio equo e solidale, infatti, ci si è accorti negli ultimi anni che le ingiustizie non hanno confini e che anche in Italia si trovano situazioni di sfruttamento grave. “Da questa consapevolezza – spiega Pignatelli – è nato un lungo dibattito interno alla rete, per capire se aprire le botteghe anche a prodotti italiani, come farlo e a che condizioni.”

La preoccupazione era che si mettessero in secondo piano i progetti internazionali. Così non è stato, invece, poiché si è scelto di puntare su una sensibilizzazione della popolazione. Anche paesi storicamente esportatori, come l’India, si sono trasformati anche in distributori e venditori di prodotti realizzati in loco. La stessa cosa è successa in Italia, dove trovano spazio proposte ad alto valore sociale.

“Lo sforzo è quello di applicare alla scelta gli stessi criteri che abbiamo sempre utilizzato, ovvero il prezzo equo, il rispetto dell’ambiente e l’assenza di qualsiasi forma di sfruttamento del lavoro, che sia quello minorile o quello migrante.” Si è partiti, dunque, dal coinvolgimento delle botteghe e dei laboratori nati nelle carceri italiane con la birra e i taralli pugliesi, oppure i dolci a base di mandorle siciliane.

Equo e solidale italiano: non solo pomodoro

pomodoro filiera pulita
Facebook.com/pangeanientetroppo/

Dedicando attenzione all’Italia, dunque, le varie cooperative, spesso in maniera autonoma, hanno scoperto progetti e realtà virtuose anche contro il caporalato, come quelle di cui abbiamo parlato su Il Giornale del Cibo consigliandovi alcuni regali etici. “Come Pangea-Niente Troppo, per esempio, abbiamo conosciuto i ragazzi che gestiscono la cooperativa “Pietra di scarto” di Cerignola, che produce pomodoro e olive. Sono un gruppo di giovani che hanno scelto di fare qualcosa di concreto, anche rischiando molto a livello personale, per puntare tutto su un progetto di lotta alla criminalità che prevede il coinvolgimento di lavoratori migranti, regolarmente contrattualizzati.”

Tra caffè, tè e cacao provenienti da tutto il mondo, dunque, nelle “botteghe” si possono trovare i lavorati del pomodoro (sempre in prima linea poiché proprio la filiera del pomodoro è una di quelle più critiche), ma anche derivati degli agrumi del Sud Italia, eccellenza mondiale, pasta, olive, taralli, lenticchie, miele accompagnati dal marchio “Solidale italiano”.

Come ci spiega Gaga Pignatelli, ci sono tante realtà del commercio equo e solidale che cercano di contrastare situazioni non solo di degrado sociale, ma anche di insicurezza, attraverso una produzione responsabile. “Se c’è un’economia giusta – aggiunge – ci sono fenomeni che possono essere combattuti grazie ad essa. E il nostro fine è creare un circuito virtuoso che possa far uscire dalla povertà e dalle ingiustizie anche chi si trova in situazioni incancrenite, nel mondo come in Italia.”

Partire dal cortile di casa è una priorità per chi promuove un commercio equo. “In più, questa apertura può aiutare il consumatore meno attento ad avvicinarsi a un’economia alternativa e virtuosa. Parlare di Italia, soprattutto oggi, può contribuire a entrare in sintonia su questi temi. Siccome l’obiettivo del commercio equo è mettere in relazione produttori e consumatori, con i progetti italiani questo funziona in maniera più semplice e si trasforma, dunque, in un beneficio per tutti: dal consumatore al produttore, ma anche per l’ambiente.”

 

Acquistando una salsa di pomodoro è possibile, dunque, scoprire cosa accade in alcune aree d’Italia non così lontane da casa. Voi avete mai conosciuto così una storia interessante di riscatto e lotta contro lo sfruttamento?

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