Tavola Pubblica: nuovo incontro a Roma

convegno tavola pubblica

Dopo il  convegno sulla tavola pubblica tenutosi in Expo e in seguito all’entrata in vigore del nuovo codice degli Appalti (18 Aprile 2016), è stato fatto un primo bilancio su cosa è cambiato e come, con i protagonisti del primo incontro.

L’obiettivo di CIR food nell’organizzare in occasione dell’Esposizione Universale di Milano una tavola rotonda sulla Tavola Pubblica, era quello di dare un contributo a costruire un ambiente giuridico e culturale dove fosse possibile andare verso il giusto appalto. Adesso, dopo la pubblicazione del nuovo codice degli appalti e delle linee guida dell’Anac e, soprattutto, dopo le prime esperienze, è doveroso verificare se realmente il sistema si sia mosso nella giusta direzione o se, piuttosto, non sia stato fatto alcun passo o, peggio ancora, si sia tornati indietro.

Infatti, se è vero che è stato erogato un nuovo codice, apparentemente semplificato, è altrettanto vero che esso poi demanda a numerosi decreti attuativi, regolamenti e norme.

convegno tavola pubblica

Presso il Senato della Repubblica, Alessandro Botto – Avvocato del Libero Foro e Docente universitario Luiss, Roma, Arturo Cancrini – Avvocato del Libero Foro e Docente universitario Tor Vergata, Roma, Vito Domenico Sciancalepore, consulente ANAC e Vice Capo di Gabinetto del Ministero delle Politiche Agricole, Eugenio Dalli Cardillo – Avvocato specializzato in contrattualistica Pubblica e Appalti e Giuliano Gallini – Direttore Commerciale e Marketing CIR food,  si sono dunque nuovamente confrontati sulle dinamiche che oggi regolano il sistema delle gare di appalto nella ristorazione collettiva.

Stiamo parlando, come ha evidenziato il noto giornalista Luca Telese, moderatore dell’incontro, di un settore che vale circa 6,3 miliardi di Euro di fatturato, suddiviso equamente: 33% nella cura del passato (ospedali, case di cura), 33% nella cura del presente (mondo del lavoro) e 33% nella cura del futuro (scuole).  Gli interessi sono quindi molto elevati e quello che emerge è un quadro ancora troppo complesso e contraddittorio, in cui pare che “la materia degli appalti nel mondo della ristorazione sia veramente una metafora di quello che sta accadendo in Italia e del bivio che c’è oggi in Italia”, sostiene Telese.

Il primo convegno si era chiuso con l’impegno di Anac, nella persona di Michele Corradino, all’ascolto e alla presa in considerazione delle criticità e delle proposte emerse in aula ai fini della revisione del codice degli appalti;in seguito ci siamo lasciati con l’importante impegno di stesura di un modello tipo di bando di gara, per un settore speciale quale è quello della ristorazione.

“Non vedo il bicchiere mezzo vuoto, lo vedo mezzo pieno, di veleno”. Woody Allen

gallini senato tavola pubblica

È con questo approccio pessimistico che Giuliano Gallini – Direttore Commerciale e Marketing CIR food – palesa la sua insoddisfazione e malcontento rispetto ad una nuova normativa che di fatto tende a reiterare quelle pratiche che nel precedente appuntamento erano state individuate ed evidenziate come viziose e non corrette. CIR food ha riscontrato infatti che ancora il 50% delle gare d’appalto continua ad essere aggiudicato con il criterio del massimo ribasso – che potremmo definire anche come “massimo ribasso mascherato” – in cui facilmente trova spazio la furberia, il malaffare, la criminalità.

Con il trucchetto della formula a percentuale (il famigerato allegato P) le gare solo apparentemente vengono aggiudicate alla miglior qualità poiché alla fine continua a vincere il prezzo più basso.

L’unificazione delle centrali di committenza, che è di per sé un fatto indubbiamente positivo, ha in realtà generato la realizzazione di gare generiche, con troppi elementi di indeterminatezza, come la non conoscenza dei costi del personale, del numero dei pasti, della tipologia di servizio, della proprietà delle attrezzature, con ciò impedendo di fatto a molte aziende di parteciparvi, perché impossibilitate a formulare un’offerta logica.

Il criterio della rotazione dei fornitori per appalti dal valore inferiore a 700.000 € annui, come prevede la normativa, equivale a svilire il servizio stesso, secondo una logica tale per cui non è importante chi lo offre, quanto esclusivamente che venga eseguito.

In una situazione del genere, l’atteggiamento generale delle aziende è di rinuncia alla partecipazione alle gare con la conseguente necessità di diversificazione del business: il risultato è che inevitabilmente resteranno sul mercato solo le imprese meno qualificate.

“La ristorazione non può essere equiparata ad un servizio standard e necessita di linee guida sue specifiche”

Eravamo in attesa di un codice che avrebbe dovuto sintetizzare e quindi semplificare la materia, come sostiene Dalli Cardillo, ma abbiamo oggi un documento che si rifà al mondo dell’appaltistica, che si rapporta a delle linee guida realizzate su presupposti diversi e con l’obiettivo del risparmio della spesa più che della qualità.

L’articolo 213 comma 2 riconosce all’Anac la possibilità di prevedere modelli di bandi di gara, di prevedere linee guida che possano disciplinare specifici settori: questo permetterebbe di creare un “abito su misura” per il settore della ristorazione collettiva, definendo, ad esempio, un criterio specifico per l’offerta economicamente più vantaggiosa così come per gli affidamenti sotto-soglia legati al principio di rotazione. In sintesi, si andrebbe a creare un correttivo a quello che attualmente è percepito come un fardello, sia dalle amministrazioni che dagli operatori di settore.

palazzo giustiniani

Di estrema importanza sono però le tempistiche d’intervento: ritardare ulteriormente il progetto di realizzare delle linee guida per il settore ristorazione rischia di creare un effetto irreversibile a catena, nel senso che il sistema si adegua a linee guida che sono tipiche dei servizi ordinari e non di quelli della ristorazione.

Nuovo Codice Versus Vecchio Codice: scopri le differenze

Se prendiamo i due codici, li sovrapponiamo e chiediamo agli addetti al settore quale sia la logica che sottiene alle modifiche effettuate, questa pone come obiettivo dell’istituzione una riduzione dei costi o pone e cerca di veicolare un miglioramento della qualità del servizio?

La qualità” è la risposta di Vito Domenico Sciancalepore, secondo cui il nuovo codice ha effettivamente recepito quelle che erano le attese prospettate nell’incontro precedente: si era parlato di strumenti di consultazione degli operatori e in effetti il dibattito pubblico è entrato a pieno diritto all’interno dell’ordinamento; si era parlato di modalità e forme nuove di contrattualizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e privato e il partenariato pubblico/privato, le procedure competitive con negoziazione, sono state recepite pienamente all’interno dell’ordinamento.

È evidente che il legislatore ha rivolto particolare attenzione al settore e nell’articolo 144 si evidenziano quei valori che attengono e sono strettamente correlati alla scelta del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quali la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente, il richiamo ai prodotti biologici, a quelli a denominazione di origine protetta, ecc.  

Il problema sta quindi in quell’equazione matematica, in quel modello descrittivo matematico, la cui applicazione va di fatto a esclusivo vantaggio di una logica di ribasso del prezzo.

Sciancalepore sottolinea le linee guida quale quella sui commissari di gara, che risponde al tentativo di andare nella direzione della professionalizzazione e della qualificazione delle stazioni appaltanti, in maniera da poter stabilire quale sia in grado di fare determinate procedure d’appalto o meno; le linee guida per i responsabili unici dei procedimenti amministrativi delle pubbliche amministrazione, dove è stata fatta una scelta di campo molto netta nel senso della qualificazione del soggetto che si deve occupare delle procedure di gara. Si sta inoltre valutando di intervenire con una linea guida ad hoc, ma soprattutto attraverso l’utilizzo dello strumento dei cosiddetti bandi tipo, in modo da orientare le stazioni appaltanti nella definizione di quelli che sono i requisiti di qualità e nell’applicazione di quei modelli matematici astratti che stanno alla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Basta regolamentazioni: sono la morte sicura di tutto il sistema del public procurement

Botto tavola pubblica

Durante il primo convegno tutti i presenti hanno concordato sulla forte necessità di ristabilire un clima di fiducia tra gli operatori e le stazioni appaltanti, l’esigenza di cambiare l’ottica da cui si osserva il fenomeno, cioè di ripartire, come ha evidenziato Botto – da un sistema fisiologico e non patologico.  Se infatti partiamo dall’ottica che è tutto un ladrocinio e che ovunque c’è corruzione, inevitabilmente faremo sempre più regole e, altrettanto inevitabilmente, saremo sempre perdenti, perché chi vuole delinquere troverà sempre l’escamotage, il modo di compiere l’illecito.

Il nuovo codice degli appalti, che di fatto ha qualche norma di meno rispetto al precedente, rinvia ad un corpus normativo e attuativo che è ipertrofico e quindi lavora in una direzione che va verso l’ingessamento di tutto il sistema: per assurdo quindi la situazione pare essersi aggravata invece che semplificata o tantomeno risolta.

Il modello anglosassone deve essere il riferimento: medie-grandi stazioni appaltanti che hanno il know how, le risorse e le competenze per scrivere bene i bandi e chiedere al mercato, proporre delle domande, che siano adeguate alle loro esigenze. Il ruolo dell’Anac, in quest’ottica, deve essere quello di supporto e accompagnamento nella corretta stesura dei progetti, senza l’emanazione di ulteriori norme più o meno vincolanti.

Gli strumenti in sintesi già esistono: ad esempio, l’articolo 95 comma 7, dice che è possibile fare una gara anche solo sugli aspetti qualitativi, tenendo fermo il prezzo. Pare dunque non sia ragionevole chiedere ulteriore disciplina, poiché la specificità di questo settore, che sicuramente c’è, verrà poi invocata anche dagli altri settori. Ecco dunque la necessità di cercare una via, un punto di mediazione, tra le varie esigenze: altrimenti si avranno tanti settori speciali senza filo di connessione che li metta insieme.

Non ci sono contenziosi perché non ci sono più gare

I dati, sostiene Cancrini, parlano del 50% fino all’80% di gare in meno rispetto al passato: non ci sono contenziosi, quindi, perché non ci sono più gare. Evidenziamo un Anac sovraccarico di attività, le amministrazioni ingessate, una certa difficoltà a portare a termine le gare che vengono spesso fatte su una base sbagliata.

Cancrini tavola pubblica

Cancrini fa un’analisi delle attività che fanno capo all’Anac: scrive la norma, le linee guida, di cui individua il commissario di gara, per poi decidere chi sarà l’aggiudicatario, anche a distanza di 4 o 5 mesi, fino ad 1 anno, in caso di esposto. L’Anac inoltre qualifica le stazioni appaltanti, analogamente alle imprese, che avranno un rating per poter partecipare alle gare, potersi qualificare e poter vincere nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’Anac può anche commissariare le imprese e inserirsi in fase di contratto: la verità sulle varianti, sulle modifiche del contratto, la disciplina del subappalto, l’accordo bonario, ecc.

La situazione pare quindi ancora più ingessata rispetto a quanto evidenziato all’incontro in Expo.

Il bando tipo che premia la qualità

Le conclusioni? Non servono nuove norme, serve invece una proposta di un bando tipo, per orientare meglio le gare nell’interpretazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per fare realmente una competizione sulla qualità e perché venga premiato il progetto migliore per i consumatori. 

 

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