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“La cattiva stagione”: il rapporto di MEDU sulle condizioni di salute dei braccianti agricoli

 

 

Si è conclusa una nuova stagione di raccolta dei pomodori in Puglia, nell’area della Capitanata in provincia di Foggia al centro delle cronache per la diffusione capillare del caporalato, ma anche per essere uno dei luoghi scelti per dare avvio alla prima filiera etica in campo agricolo. I mesi appena passati, però, confermano la precarietà delle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti agricoli nella zona. Medici per i Diritti Umani, che opera dal 2014 sul territorio, denuncia come siano diffuse malattie osteomuscolari e infettive correlate alla mancanza di tutele e rispetto dei diritti dei lavoratori.

Condizioni di vita dei braccianti agricoli in Capitanata: malattie, infezioni e disturbi

Ogni anno sono circa 7.000 i braccianti agricoli stagionali che si concentrano nel foggiano per poter lavorare presso le aziende locali nella raccolta di pomodori. Un flusso di lavoro costante e spesso coinvolto in casi di sfruttamento o illegalità, nonché opportunità di sviluppo di tanti progetti che mirano al contrasto del fenomeno e alla piena applicazione della legge contro il caporalato ormai del 2016. In questa stagione, per esempio, è stato attivato per la prima volta uno sportello presso i centri per l’impiego, CaporAlt, per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, mentre prosegue sul territorio l’azione delle tante realtà che promuovono una visione etica e pulita della filiera del pomodoro come Sfrutta Zero.

veduta dall'alto della baraccopoli
Fonte: mediciperidirittiumani.org | Rocco Rorandelli – Ghetto Pista di Borgo Mezzanone (Puglia), agosto 2019

“La cattiva stagione”: il rapporto di Medici per i Diritti Umani

Tuttavia le condizioni di vita e di lavoro per la maggior parte del braccianti agricole sono misere. Nel suo rapporto “La Cattiva Stagione”, infatti, l’associazione Medici per i Diritti Umani, che si occupa di assistenza sanitaria per chi ne ha bisogno, ha rilevato come permangano ancora molte problematiche di salute nella popolazione e che queste siano strettamente connesse al lavoro nei campi.

La clinica mobile di MEDU ha accolto 225 persone tra giugno e settembre, provenienti soprattutto dal Gran Ghetto di Rignano, dal ghetto Pista di Borgo Mezzanone e dai casolari sparsi nelle campagne di Palmori, Poggio Imperiale e Contrada Cicerone, nel territorio della Capitanata. Giovani uomini, per lo più di origine straniera, in Italia da diversi anni e impiegati nel settore agricolo da più stagioni.

Ciò che colpisce è il bollettino medico riportato nel rapporto: le patologie più diffuse sono, infatti, malattie osteomuscolari e del tessuto connettivo, malattie dell’apparato digerente e malattie infettive. I medici che hanno seguito il progetto aggiungono: “sono correlate nella quasi totalità dei casi alle pessime condizioni lavorative e igienico-sanitarie in cui i pazienti visitati si trovano a vivere”.

Oltre alle malattie determinate dai turni massacranti sotto il sole, non è una novità il legame tra sfruttamento e disturbi dell’alimentazione. Come ha sottolineato anche la FAO nel recente report dedicato al contrasto della fame nel mondo, il mancato accesso alle risorse per potersi alimentare in maniera salutare può portare a conseguenze anche gravi, non sempre visibili dall’esterno. La malnutrizione è, infatti, soltanto una delle possibili manifestazioni della povertà alimentare così come la capacità e la forza di molti braccianti che continuano a lavorare non è indicatore di uno stato di buona salute.

Fonte: mediciperidirittiumani.org | Andrea Brugnami – Clinica mobile di Medu presso Contrada Cicerone, località San Marco in Lamis (Puglia), agosto 2019

Condizioni di vita ancora non dignitose

Le persone visitate e seguite da Medici per i Diritti Umani vivono nei ghetti della Capitanata, luoghi non idonei all’accoglienza di braccianti agricoli dove mancano le strutture necessarie a un’accoglienza dignitosa. Il caso più noto è quello di Borgo Mezzannone che, durante l’estate, ospita fino a 3.500 persone, un record che lo rende il ghetto più grande d’Italia, ma le condizioni abitative sono le stesse quasi ovunque. “ Questi luoghi – si legge nel rapporto – sono accomunati da alcuni tratti salienti quali il sovraffollamento, l’estrema precarietà delle condizioni igienico-sanitarie, l’isolamento, l’assenza di mezzi di trasporto, la mancanza di servizi primari. Luce, acqua potabile, gas sono di norma assenti, così come i servizi igienici”.

Una volta usciti di casa, i braccianti si trovano prima nella condizione di dover arrivare sul luogo di lavoro, attività che talvolta diventa oggetto essa stessa di sfruttamento da parte dei caporali che organizzano pullman fatiscenti e pericolosi pagati extra da parte delle persone che ne vogliono usufruire. Anche chi si muove a piedi  è ugualmente in pericolo. Proprio quest’estate, infatti, si sono verificati numerosi episodi di violenza xenofoba contro i braccianti. Nel mese di luglio, sono state addirittura nove le sassaiole contro le persone dirette al lavoro in soli dieci giorni.

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Meno di 35 euro al giorno per i braccianti

L’illegalità prosegue, infine, nei campi dove meno della metà del braccianti (44%) è in possesso di un regolare contratto di lavoro. Il 73% degli intervistati ha, inoltre, raccontato di non ricevere la busta paga o di essere pagato soltanto per un terzo delle giornate effettivamente svolte. Molto al di sotto di quanto previsto dal contratto nazionale anche la retribuzione oraria e giornaliera per i braccianti: in media, infatti, una giornata lavorativa di 8/9 ore viene pagata tra i 30 e i 35 euro, circa 4 euro all’ora. Molti, inoltre, i “contratti” a cassetta o a cottimo per cui è ancora più complicato registrare l’effettivo salario dei braccianti.

“La difficoltà di accedere a un lavoro in regola  – aggiungono i curatori del rapporto di MEDU – ha importanti ripercussioni anche sulla regolarità del soggiorno: in assenza di un contratto di lavoro, non è infatti possibile affittare un’abitazione e senza un contratto di locazione, è d’altra parte impossibile richiedere l’iscrizione anagrafica e quindi la residenza, necessaria per il rinnovo del permesso di soggiorno presso la Questura di Foggia”.

La nota positiva viene, però, dal rafforzarsi di progetti integrati di contrasto al caporalato sul territorio capaci di coinvolgere le associazioni, i sindacati, le istituzioni e anche le forze dell’ordine. Crescono, infatti, anche nel foggiano i controlli e gli arresti, indice di un’attenzione al fenomeno sempre crescente. Tuttavia, concludono i medici di MEDU, anche questa del 2019 è stata una cattiva annata.

 

Immagine in evidenza: facebook/MEDUonlus/

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