Il riso è la principale fonte alimentare di base per l’umanità e il suo ciclo produttivo, nel complesso, rappresenta l’attività economica più diffusa nel mondo. Basterebbero questi due dati per ricordare l’importanza di questo cereale, nelle sue molte varietà, che si qualificano anche per le proprietà nutrizionali, in particolare parlando delle tipologie integrali, sempre più apprezzate sia in chiave salutistica che gastronomica. Ma come funziona la coltivazione del riso e quali sono le sue peculiarità? E quali possono essere i rischi dovuti al suo consumo? Proponendo i contenuti di una conferenza che si è tenuta all’Accademia di Agricoltura di Bologna il 19 giugno 2019, oltre alle conclusioni di studi recenti, con questo approfondimento cercheremo di saperne di più.
Riso: dalle origini alla diffusione globale
Mangiamo riso dall’alba dei tempi: questa antichissima coltivazione, infatti, è stata avviata più di 7.000 anni or sono in Cina, India e Sud-Est asiatico, per poi diffondersi a Occidente, anche se la domesticazione delle specie selvatiche potrebbe risalire addirittura al Neolitico. Agli aspetti agronomici del riso, come alle sue caratteristiche alimentari ai fini della salute e alla sua importanza culinaria, è stato dedicato un incontro organizzato dall’Accademia nazionale di Agricoltura di Bologna, con la partecipazione dell’Accademia italiana della Cucina e dalla Società medica chirurgica del capoluogo emiliano.
Aprendo la conferenza, il dottor Ercole Borasio dell’Accademia nazionale di Agricoltura ha presentato alcune nozioni introduttive di carattere agronomico, precisando che “il riso è una coltura molto versatile, capace di adattarsi a condizioni incredibilmente diverse. Lo si coltiva in regioni molto piovose, siccitose, presso i grandi fiumi e in altura sino a 2000 metri, come avviene in Nepal. Pur non trattandosi di una pianta acquatica, è in grado di vivere anche in terreni sommersi, grazie alla struttura dello stelo e a una fisiologia che consente alla pianta, in ogni momento, di veicolare ossigeno dalle foglie alle radici. Il riso, pertanto, può svilupparsi in acqua come le altre graminacee fanno nei terreni arieggiati”.
Un’altra particolarità significativa del riso è la sua tolleranza alla salinità, che spesso rappresenta un problema per altre colture. Nel delta del Po, ad esempio, questa dote viene sfruttata nelle coltivazioni bagnate da acque salmastre. “Questa pianta è autogama e cleistogama, ovvero si autofeconda. Grazie a un intenso lavoro di miglioramento genetico – praticato scientificamente almeno dalla fine dell’Ottocento – l’Italia ospita 160 delle 270 varietà europee, menzionate in uno specifico Catalogo comunitario” aggiunge Borasio.
La risicoltura nel mondo
Praticata quindi in tutti i continenti e in zone climatiche anche molto diverse tra loro, la risicoltura per numero di addetti costituisce la principale attività economica nel mondo, con una superficie coltivata che a livello globale supera i 150 milioni di ettari. Si tratta di circa l’11% dell’intera superficie arabile del pianeta, distribuita in 122 Paesi di tutti i continenti. L’alimentazione quotidiana di più di tre miliardi di persone si basa su questo cereale, del quale ogni anno vengono prodotte più di 600 milioni di tonnellate, per il 90% in Asia, specialmente in Cina e India. Le aziende che praticano questa attività sono più di 250 milioni, molte delle quali con meno di un ettaro di terreno.
Sulla produzione risicola interna punta molto il continente africano, come affermato in occasione delle ultime edizioni del Forum del Consiglio dei Ministri dell’Africa Rice. Considerando la forte crescita demografica, infatti, il riso può diventare sempre più una risorsa decisiva per combattere la denutrizione e rendere gli Stati in via di sviluppo meno dipendenti dalle importazioni dall’Asia, orientandosi verso la sovranità alimentare.
Biodiversità, adattamento climatico e selezione
Partendo dal genere Oryza, due specie principali sono state individuate per la coltivazione e hanno permesso l’avvio della selezione ad opera umana – la sativa, di origine asiatica e molto più diffusa, e la glaberrima, africana – che nel tempo ha portato alla costituzione di varietà idonee alle diverse realtà climatiche.
Per quanto riguarda la prima, la Oryza sativa si distingue in tre sottospecie fondamentali, caratterizzate da specifiche esigenze ambientali, alle quali appartengono gran parte delle varietà oggi coltivate.
- Indica. Poco resistenti alle basse temperature, queste varietà hanno chicchi allungati e sottili, e sono coltivate soprattutto nei climi tropicali soggetti a sommersione naturale, come la Cina meridionale, il Sud-Est asiatico, l’Africa sub-sahariana e il Centro e Sud America. Il basmati e i long grain americani rientrano in questa sottospecie.
- Japonica. Ben adattabili al freddo, hanno chicchi corti e arrotondati e sono coltivate principalmente nelle regioni a clima subtropicale e temperato, come, ad esempio, Giappone, Cina settentrionale, Corea, Asia centrale, Europa, Stati Uniti e Australia. Gran parte delle varietà diffuse nel nostro continente appartengono a questa sottospecie.
- Javanica. Adatte agli ambienti dalle altitudini elevate e dalle basse temperature, sono diffuse in Indonesia, nelle Filippine e in Madagascar. Queste piante, recentemente, sono state considerate varianti tropicali della specie japonica.
Con una biodiversità agricola straordinaria, in totale, attualmente sono disponibili più di 140mila varietà di riso, classificabili in base all’adattabilità ambientale, alle tecnologie con cui sono state ottenute, alla forma e dimensione delle cariossidi e alle caratteristiche qualitative e organolettiche.
Coltivazione del riso in Italia
Come ha puntualizzato il dottor Borasio, “nel nostro Paese circa 230mila ettari sono coltivati a riso, con una produzione unitaria media di 6,32 tonnellate per ettaro, pari a circa il 52% della produzione totale europea e allo 0,13% di quella mondiale. È interessante notare che in Italia la coltivazione del riso avviene alla latitudine più a Nord del pianeta. Il 93% della superficie coltivata riguarda Piemonte e Lombardia, mentre Veneto ed Emilia-Romagna occupano il 5%, e il restante 2% è ripartito tra Sardegna, Toscana, Calabria e Sicilia. I risi da risotto (Carnaroli, Arborio, ecc.) rappresentano circa il 40% della superficie coltivata, seguiti dai risi tondi, con il 30%, dai risi lunghi da parboiled, con il 15%, e da varietà della specie indica, per un altro 15%”. Pur rappresentando piccoli quantitativi, i risi pigmentati e aromatici sono in aumento, sull’onda di una crescita di interesse da parte del mercato.
Nonostante le grande biodiversità e l’eccellente tradizione gastronomica “in Italia il consumo di riso non è alto, con circa 5,8 kg pro capite annui. In Asia i consumi medi superano i 100 kg e in Bangladesh si arriva addirittura a 172. In Oriente questo cereale è considerato alla stregua del pane, mentre nel nostro Paese è diventato un vero piatto di portata, con una sua identità peculiare e unica. Nelle tante possibili ricette, infatti, il risotto può essere preparato solo con riso italiano: esistono due certificazione IGP, il Riso del Delta del Po e il Vialone nano veronese, e una DOP, il Riso della Baraggia biellese e vercellese”.
Riso e salute
Come ha affermato il professor Marchesini Reggiani dell’Università di Bologna, “il riso è un alimento altamente digeribile, con un effetto regolatore positivo sul microbiota intestinale, e sull’ipertensione arteriosa. Il suo apporto calorico elevato, derivante per lo più dai glucidi e in misura minore dalle proteine, va corretto in base all’assorbimento di acqua in cottura, e corrisponde a 330-340 kcal per 100 grammi per il riso crudo, e a 110-115 kcal per quello cotto (se risottato, cala a 85 kcal). Il modesto contenuto proteico (6,7%) lo rende ideale anche per chi soffre di patologie renali, di quelle associate all’accumulo di acidi urici nel sangue e di gotta”.
Le diverse specie di riso, inoltre, si distinguono anche sul piano nutrizionale, perché il tipo di amido contenuto influenza la risposta glicemica in senso inversamente proporzionale: più i chicchi sono ricchi di amilosio e poveri di amilopectina, minore è il loro indice glicemico. Le varietà della sottospecie japonica, ad esempio, hanno un basso contenuto di amilosio, mentre quelle della indica, hanno un contenuto tendenzialmente alto. In generale, ha concluso Marchesini Reggiani, “l’indice glicemico del riso lo rende ideale per l’alimentazione del diabetico e fondamentale, assieme ai suoi derivati, per la dieta del celiaco, essendo privo di glutine. Il riso è il meno allergenico fra tutti i cereali, oltre a essere un’ottima fonte di lisina e di fitocomposti utili nel trattamento di prima linea dell’ipercolesterolemia o in pazienti che non tollerano le statine”. Come abbiamo visto in un nostro articolo, studi recenti lo hanno anche associato alla riduzione del rischio di obesità.
Riso integrale: benefici e vantaggi
Il grado di lavorazione determina caratteristiche nutrizionali differenti, impoverendo progressivamente il prodotto originario. Come abbiamo documentato nei nostri approfondimenti, negli ultimi anni cereali integrali, grani antichi e prodotti da essi derivati sono sempre più richiesti e graditi dai consumatori, alla luce del loro migliore profilo nutrizionale, più ricco di fibre, proteine, minerali e vitamine.
Anche il riso è oggetto di questa tendenza, e come ha confermato il professor Marchesini Reggiani “quello integrale è un alimento rinfrescante, disintossicante e dall’effetto lievemente lassativo, nelle diete ipocaloriche è un’ottima alternativa alla pasta, perfetta se abbinata alle verdure. Nella lavorazione viene privato della sola cuticola esterna ma non del germe lipidico (il minuscolo embrione interno), mentre nel riso bianco viene rimossa sia la crusca che il germe”.
I tempi di cottura sono superiori rispetto a quelli del riso raffinato, il colore è tipicamente brunito ed è preferibile conservarlo sottovuoto, per evitare fenomeni ossidativi, ai quali i cereali e le farine integrali sono più soggetti.
Nel quadro vitaminico, in particolare, spiccano la vitamina B1 e la PP, importanti per il metabolismo dei nutrienti, il funzionamento del sistema nervoso e dell’apparato digerente, ma anche per la salute della pelle e l’attività cardiaca e muscolare. Tra i minerali, è notevole l’apporto di potassio, fosforo e soprattutto magnesio, importante per i muscoli e il sistema nervoso, e manganese, necessario per le articolazioni.
Anche in questo campo la ricerca non si è fermata, e a questo proposito il professore ha aggiunto che “nel 2004, durante l’anno internazionale del riso, è stato inventato il riso integrale germogliato (Riso GABA – Hatsuga genmai). La germogliazione avviene prima della cottura, ammollando i semi per circa 20 ore in acqua a 34°C, aumentando la concentrazione di amminoacidi e migliorando ulteriormente il profilo nutrizionale”. In generale, il riso integrale ha un indice glicemico inferiore rispetto a quello raffinato e dà un senso di sazietà maggiore, grazie alla quota superiore di fibre e proteine. Non a caso, viene spesso inserito nelle diete ipocaloriche ed è indicato per chi soffre di sindrome metabolica.
Per gli amanti dei risi integrali – sia a beneficio della salute che del palato – ottime scelte sono il riso nero e il riso rosso, nati da incroci naturali, i più nutrienti e particolarmente ricchi di fibre, antiossidanti, proteine, potassio, zinco e ferro. Il riso rosso deve la sua colorazione agli antociani ed è coltivato, anche in Italia, in terreni argillosi e con un’alta percentuale di minerali ferrosi. Entrambi richiedono lunghi tempi di cottura e sono ideali per preparare piatti unici con verdura, carne o pesce.
Arsenico e acido fitico rappresentano un rischio?
Come abbiamo visto i risi, e specialmente le tipologie integrali, si distinguono per le proprietà nutrizionali, ma su questo piano ci sono anche due inconvenienti da considerare.
A causa del contenuto di acido fitico – un antiossidante presente nei vegetali e in questo caso nella crusca, del quale ci siamo occupati in un nostro articolo sul mangiare integrale – il riso integrale può ridurre la capacità del corpo di assorbire altri nutrienti, come il calcio, il ferro e lo zinco. Per la presenza di questa sostanza e per l’alta concentrazione di fibre, il riso integrale può essere sconsigliabile per chi soffre di colon irritabile.
Il dubbio più serio riguardo al riso, però, ha a che fare con la presenza di arsenico, un cancerogeno tossico associato a diversi tipi di cancro. Si tratta di un problema noto da tempo, del quale si sono occupate diverse ricerche, tra le quali una pubblicata quest’anno su Current Pollution Reports e un’altra del 2015, apparsa su The Journal of Pediatrics. Crescendo immerso e senza ossigeno per gran parte del suo ciclo vitale, il cereale può accumulare abbastanza facilmente questo inquinante – nocivo in particolare per i bambini – che talvolta contamina le acque sotterranee nel Sud-Est asiatico. Il riso integrale è più colpito da questa circostanza, perché l’accumulo tende concentrarsi negli strati esterni dei chicchi.
L’Organizzazione mondiale della Sanità ha indicato livelli massimi di arsenico nel chicco di riso bianco di 0,2 milligrammi per chilogrammo, ma l’UE e gli Stati Uniti devono ancora fissare standard specifici. Quindi, è importante leggere le etichette ed essere informati sulla provenienza del riso che si mangia, e in questo senso il Made in Italy costituisce una garanzia in più. Parallelamente, le strategie per ridurre questa criticità ruotano attorno a due approcci: agronomico e biotecnologico. Il primo è orientato a ridurre la solubilità della sostanza e l’assorbimento da parte delle coltivazioni, mentre il secondo implica la selezione di varietà con minori capacità di accumulo. Queste risposte, combinate a una corretta gestione della dieta e alla sensibilizzazione del pubblico, potrebbero svolgere un ruolo chiave nella riduzione del rischio. Ad ogni modo, il riso può assolutamente avere un ruolo importante in un’alimentazione sana e bilanciata, ma come abbiamo visto è meglio preferire produzioni nazionali, di qualità e di provenienza accertata.
Conoscevate le proprietà del riso e le contaminazioni al quale può essere soggetto?
Altre fonti:
Ente nazionale risi, enterisi.it
Fao, fao.org
Africa Rice, africarice.org
Current Pollution Reports, link.springer.com
The Journal of Pediatrics, www.ncbi.nlm.nih.gov
Organizzazione mondiale della Sanità, who.int