Il pomodoro nasce nelle Americhe precolombiane. Gli Aztechi lo chiamavano xitomatl e la salsa di pomodoro era già parte integrante della cucina azteca. All’inizio del 1550 gli spagnoli lo portarono in Europa mentre in Italia arrivò nel 1596. A questa scoperta che ha scritto la storia della cucina italiana, alla sua buccia rosso intenso e alle popolazioni che lo avevano per prime coltivato il Consorzio Agribologna ha dedicato un omaggio. Parliamo del “Pellerossa”: un pomodoro del territorio emiliano-romagnolo, completamente ecologico, prodotto senza nessun impatto ambientale.
Pomodoro Pellerossa: come viene prodotto?
La produzione del pomodoro Pellerossa viene realizzata nel territorio bolognese, a Budrio, in una serra altamente tecnologica della superficie complessiva di 11.200 mq, di qui 10.000 mq adibiti ad area produttiva, e mq 1.200 vani tecnici di servizio.
L’impianto serricolo è destinato alla coltivazione di diverse qualità di pomodoro su substrato inerte a ciclo lungo: la pianta viene cioè trapiantata, a gennaio, cosicché la raccolta può essere fatta da aprile fino a novembre.
Il progetto di coltivazione, unico nel territorio della provincia bolognese, sfrutterà le nuove tecnologie agricole in grado di raggiungere produzioni ad alto livello qualitativo – pezzatura omogenea dei frutti e alte caratteristiche organolettiche – e quantitativo, con produzioni di 50 kg/mq contro i 7 kg per allevamento convenzionale.
Coltivazione ad impatto ambientale zero: ecco perché è possibile
La soluzione nutritiva della produzione del pomodoro è ad impatto ambientale zero, in quanto è distribuita a ciclo chiuso con vari interventi al giorno, mediante impianto di irrigazione a goccia e fertirrigazione: vale a dire che i concimi vengono distribuiti con l’acqua di irrigazione, attraverso pompe che prelevano acqua dalla sorgente e la distribuiscono alla coltura, facendo inoltre circolare la soluzione nutritiva ossigenandola.
Per la sanitizzazione, l’impianto di disinfezione utilizza lampade a raggi U.V: in questo modo viene ridotta la possibilità che la pianta contragga malattie e, a livello di radici e colletto, e quindi di utiizzare fungicidi per preservarne la salute.
Articolo sponsorizzato da Conor Agribologna