Sembra zafferano, ma in realtà si tratta di una pianta diversa e, soprattutto, velenosa. Parliamo del Colchico d’autunno (Colchicum autumnale), pianta bulbosa appartenente alla famiglia delle Colchicacee, presente in Italia in tutto il nord, fino all’Appennino Tosco-emiliano, spesso confusa con quella esotica coltivata per l’estrazione della spezia. Per scoprire quali sono le differenze e come distinguerle, abbiamo intervistato la dottoressa Francesca Evangelisti, biologa nutrizionista, che raccomanda di fare attenzione perché le conseguenze dell’avvelenamento da colchico possono essere anche molto gravi.
[elementor-template id='142071']Colchico d’autunno e zafferano: le differenze
Il Colchico cresce in ambienti umidi, generalmente non di alta quota e ben esposti, quali prati falciati e radure boschive. Come anticipato, è molto simile alla pianta dello zafferano: in particolare, ciò che confonde è soprattutto il fiore, di colore rosa-violaceo molto tenue in entrambe. “Per tale motivo il colchico – spiega la dottoressa – viene comunemente chiamato falso zafferano. È molto importante, però, distinguere le due piante in quanto il colchico, a differenza dello zafferano, è velenoso, poiché contiene la colchicina, un alcaloide altamente tossico per il nostro organismo e che, se ingerito, può causare un avvelenamento anche molto grave.”
Falso zafferano: come riconoscerlo e distinguerlo?
Fortunatamente le due piante presentano alcune differenze che permettono di distinguerle. Innanzitutto, spiega l’intervistata, “il fiore dello zafferano presenta tre stami (quei filamenti che si vedono all’interno del fiore) mentre il colchico ne ha sei.” È, inoltre, diverso il periodo di fioritura poiché, mentre lo zafferano fiorisce tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, il colchico fiorisce da agosto a settembre. Nello zafferano, poi, al momento della fioritura, sono presenti delle foglie, lunghe e strette, alla base del fiore che, invece, risultano completamente assenti nel colchico.
“Tenendo conto del diverso periodo di fioritura e del fatto che lo zafferano, in Italia, è solo coltivato, – commenta la dottoressa Evangelisti – sembrerebbe molto difficile incorrere nella raccolta accidentale del falso zafferano. Eppure, a prescindere dalle conoscenze che alcuni possono avere, può succedere, dato che casi di avvelenamento in Italia sono stati registrati, per lo più in Trentino e in Emilia.”
Il consiglio della biologa nutrizionista, dunque, è sempre quello di evitare di andare alla ricerca dello zafferano, e di non raccoglierlo se non si ha l’assoluta certezza di distinguerlo bene dal colchico.
Avvelenamento da colchico: gli effetti sull’organismo
Lo scambio del colchico con lo zafferano può avere conseguenze anche gravi sulla salute. In primo luogo, vengono registrati i sintomi tipici di una intossicazione acuta:
- nausea,
- cefalea,
- diarrea,
- vomito
- dolori addominali.
“Il primo sintomo dopo l’ingestione – aggiunge l’intervistata – è una sensazione di bruciore alla bocca a cui seguono poi gli altri sintomi a livello digerente. Se l’intossicazione è acuta o non viene prontamente individuata, gli effetti possono essere anche molto gravi (convulsioni, turbe ematologiche, delirio) e può addirittura sopraggiungere la morte, in genere al secondo o terzo giorno dopo l’assunzione, per collasso cardiocircolatorio o shock settico.”
L’avvelenamento non colpisce comunque solo l’apparato digerente, ma anche quello respiratorio, renale, cardiovascolare, il sistema nervoso e le ghiandole endocrine. “Non dimentichiamo, poi, che l’ingestione non è l’unica causa di avvelenamento in quanto anche il semplice contatto con la pianta può causare gravi danni alla pelle (tossicità da contatto).”
Non tutti sanno, inoltre, che il il colchico possiede potenziali proprietà teratogene, ovvero dannose per il feto, e che possono trovarsi anche nel latte di pecore e capre che hanno brucato la pianta dato che, a differenza dell’uomo, questi animali sono resistenti all’azione tossica del colchico. “Attenzione – raccomanda l’intervistata – quindi al consumo di latte fresco non trattato”.
Infine, l’avvelenamento può anche essere cronico: in tali casi, il sintomo più tipico è la perdita dei capelli, che ne facilita la diagnosi.
Cosa fare in caso di sospetto avvelenamento?
In caso di sospetto avvelenamento, la dottoressa Evangelisti suggerisce di recarsi immediatamente al Pronto Soccorso dove la terapia d’effetto consiste, in genere, in lavanda gastrica e somministrazione di carbone vegetale, in grado di assorbire la tossina dal tratto gastro-intestinale e di stimolare la diuresi, utile all’eliminazione della tossina stessa. La diarrea, qualora sia presente, non viene bloccata poiché anche le feci sono una via di eliminazione della tossina.
Uso fitoterapico della colchicina
Sebbene, dunque, il contatto con il colchico d’autunno possa essere molto pericoloso, la colchicina viene usata a livello omeopatico, a scopo terapeutico, per il trattamento di alcune patologie quali la gotta e alcune epatiti croniche. “Si tratta – precisa la dottoressa Evangelisti – di colchicina di sintesi. Per la gotta, in particolare, viene utilizzata perché è in grado di rallentare i processi metabolici che portano alla formazione di acido urico”.
In conclusione, è importante ribadire che l’uso a scopo terapeutico fa comunque strettamente riferimento a dosi molto limitate e ad esso si può attingere solo ed esclusivamente sotto stretto controllo medico.
Voi conoscevate il colchico d’autunno e sapevate come distinguerlo dallo zafferano?