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Cocaina nei fiumi: le anguille tra i pesci più a rischio

 

Il dato è insolito e piuttosto sconcertante, ma da alcuni anni si registra una presenza rilevante di cocaina nei fiumi delle grandi città, che una ricerca recente ha messo in relazione con la contaminazione della fauna ittica. Per questo motivo, il pesce è a rischio e consumarlo può essere pericoloso? Dopo aver approfondito il caso del gambero killer, che ha colonizzato le acque interne europee, stavolta ci occuperemo della nocività dovuta ai residui di droghe e farmaci nei fiumi, che contribuiscono all’inquinamento in modo non trascurabile. Sapevate che a Milano, ad esempio, ogni giorno vengono scaricati chili di queste sostanze? Ecco quali sono le origini di questa contaminazione e le ripercussioni sugli ecosistemi e sulla salute dei pesci.

Cocaina nei fiumi: la ricerca sulle anguille

Un recente studio italiano – coordinato da Anna Capaldo dell’Università Federico II di Napoli e pubblicato su Science of the Total Environment – ha dimostrato che una concentrazione elevata di cocaina nei fiumi mette in grave rischio la sopravvivenza delle anguille, alterandone il sistema nervoso e compromettendo la migrazione che questi pesci intraprendono per riprodursi. Partendo dai corsi d’acqua europei, infatti, un lunghissimo viaggio conduce le anguille fino al Mar dei Sargassi, dove sono nate, tra le isole Antille, le Bermuda e le Azzorre. Dopo la riproduzione, gli esemplari adulti muoiono e, in seguito alla schiusa delle uova, i piccoli si dirigono verso i fiumi d’Europa, con un ciclo biologico assai particolare e non ancora del tutto noto alla scienza.

anguille cocaina nei fiumi
Rostislav Stefanek/shutterstock.com

In grado di vivere diversi decenni, fino anche a novant’anni, le anguille oggi sono in pericolo di estinzione, e rientrano nella Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Negli ultimi trent’anni la popolazione di questi pesci è diminuita drasticamente, addirittura del 99%. Il quadro completo su questa progressiva decimazione non è pienamente chiaro, ma con tutta probabilità essa dipende dalla somma di cause determinate dall’azione umana. L’inquinamento, i prelievi eccessivi e ben al di là dei limiti della pesca sostenibile, la presenza di ostacoli artificiali alla migrazione, come le dighe, e i cambiamenti climatici costituiscono questa letale combinazione per le anguille.

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Secondo i ricercatori dell’Università Federico II di Napoli, anche la cocaina nei fiumi contribuisce a complicare l’esistenza di questi pesci, rendendoli iperattivi, provocando lesioni muscolari, squilibri ormonali e danni alle branchie. Anche in quantità minime, la droga si accumula nel cervello, nella pelle e nei tessuti, effetti che gli studiosi hanno verificato rapidamente, immettendo 150 anguille in vasche dove la concentrazione di cocaina corrispondeva a 20 miliardesimi di grammo per litro di acqua, per un periodo di 50 giorni. Questo livello di concentrazione riproduceva quantitativi simili a quelli rinvenuti nel fiume Tamigi.

La scelta dei ricercatori è ricaduta sulle anguille soprattutto in quanto ricche di grasso, aspetto che favorisce l’accumulo di sostanze nel loro organismo, che nel test non è riuscito a riabilitarsi dopo dieci giorni di permanenza in acque pulite, a rimarcare la difficile reversibilità degli effetti sopra citati. Per animali la cui sopravvivenza dipende da migrazioni così impegnative fisicamente, questi danni risultano davvero penalizzanti. Ad ogni modo, i residui di cocaina, determinano un pericolo anche per molte altre specie di pesci, che trascorrono tutta la loro vita, o almeno una parte di essa, nei fiumi ad attraversamento urbano.

Mangiare pesce intossicato può essere pericoloso?

tanaka_moikkai/shutterstock.com

La ricerca sottolinea che a oggi non sono noti gli effetti della cottura sugli esemplari interessati dall’azione nociva dei residui di cocaina nei fiumi, anche se, potenzialmente, questi potrebbero trasferirsi su chi consuma questi pesci. Il tema, naturalmente, necessita di ulteriori approfondimenti, ma quantomeno si suggerisce prudenza, anche perché il bioaccumolo avviene soprattutto nella parte muscolare, proprio quella che solitamente viene mangiata. Analogamente, per il momento non sono precisati gli effetti negativi sulla migrazione e sulla riproduzione delle anguille, che peraltro non sono gli unici pesci a essere colpiti da questa forma di inquinamento. A seconda dei diversi habitat, possiamo citare ad esempio i cavedani, le carpe, gli storioni e i salmoni selvaggi. Gli studiosi, inoltre, si sono proposti di valutare l’azione combinata di varie sostanze, come i farmaci, gli stupefacenti e i metalli pesanti, un fattore rilevante che si tende a trascurare. Anche gli antibiotici – sia quelli impiegati negli allevamenti intensivi sia quelli ad uso domestico – possono avere ripercussioni negative sulla fauna ittica. In relazione al consumo finale, invece, abbiamo già approfondito gli effetti nocivi della resistenza agli antibiotici, che può ripercuotersi diffusamente sulla vita animale e umana.

Cocaina nei fiumi: dove, come e perché

Dopo aver considerato i risultati dello studio sulle anguille, è naturale domandarsi quali siano le origini della presenza di cocaina nei fiumi, ormai attestata da anni. Come si accennava, nel Tamigi, il fiume di Londra, i ricercatori hanno rinvenuto 17 miliardesimi di grammo di benzoilecgonina per litro d’acqua, un metabolita tipicamente presente nelle urine dei cocainomani. Anche i fiumi italiani, purtroppo, hanno evidenziato situazioni simili.

Adul10/shutterstock.com

Uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano, durato cinque anni e pubblicato nel 2018, ha dimostrato che ogni giorno il capoluogo lombardo scarica circa 400 grammi di stupefacenti, 6,5 chili di farmaci, 1,3 chili di disinfettanti e prodotti per la cura della persona, 600 grammi di sostanze plastificanti e 200 grammi di sostanze perfluorurate, oltre a 13 kg di nicotina e caffeina. Queste sostanze sono state rinvenute nella rete fognaria e nei fiumi Olona, Seveso e Lambro, ma anche nelle falde superficiali. La ricerca ha evidenziato che i depuratori non sono in grado di bloccare le droghe, i farmaci e i prodotti chimici per la cura del corpo, che restano anche nelle acque trattate e sono riversati nei canali e nei fiumi, già gravati dagli scarichi delle attività industriali e agricole. Finora non sono state certificate contaminazioni significative delle falde profonde, che alimentano il fabbisogno di acqua potabile, ma secondo i ricercatori in futuro anche queste risorse sarebbero a rischio, con possibili effetti sulla salute umana.

Nel 2005 un precedente studio del medesimo istituto, che aveva iniziato a stimare il consumo di cocaina in base alla concentrazione della sostanza nelle acque reflue, rilevò che nel Po ogni giorno scorreva l’equivalente di quattro chilogrammi di cocaina. Più precisamente, nel tratto a monte di Pavia, si riscontrava la presenza dei residui di circa 40.000 dosi al giorno, dimostrando un consumo ben al di sopra delle stime ufficiali governative. Altre analisi sul depuratore di Nosedo, pubblicate nel 2011, certificarono la presenza di 0,5 kg di benzoilecgonina, 200 grammi di cocaina, 40 grammi di morfina (un derivato dell’eroina) e 25 g di TCH-COOH, residuo della cannabis. Con questi quantitativi, l’indagine calcolava un consumo annuo di 330 chilogrammi di cocaina a Milano, con un picco nei weekend. Il dato evidenziava una sottostima da parte delle statistiche nazionali, in base alle quali nel capoluogo lombardo non si sarebbero contati più di 10.000 cocainomani. La situazione non sembra migliore a Firenze, dove nel 2014 nelle acque dell’Arno c’erano percentuali di cocaina superiori a quelle del Tamigi.

Come intervenire?

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Oggi lo strumento principale delle statistiche sul consumo di cocaina è la misurazione nelle acque di scarico dei livelli di questo stupefacente e delle benzoilecgonina. Chi fa uso di cocaina, infatti, con l’urina la espelle pura per il 5-6%, e per il 50% sotto forma di questa seconda sostanza, che da essa deriva. I dati che si ricavano dai prelievi non mentono, e fanno luce sulla diffusione della droga nei contesti urbani. Oltre al danno diretto per chi la consuma, l’accumulo di queste sostanze, anche in quantità minime, nel tempo nuoce all’ambiente e alla salute di tutti. Per limitarne la dispersione in natura, i ricercatori hanno indicato la necessità di mettere a punto una nuova generazione di depuratori, con un monitoraggio scrupoloso e continuo delle acque. Parallelamente, è fondamentale la consapevolezza da parte dei cittadini in merito allo smaltimento dei farmaci e di altri prodotti chimici per l’igiene quotidiana.

 

Avevate già sentito parlare della presenza di cocaina nei fiumi?

 

Fonti:

 

ANSA

AdnKronos

Science of the Total Environment

US National Library of Medicine – National Institutes of Health

Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

La Nazione

Immagine di Copertina: Rostislav Stefanek/shutterstock.com

 

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