Il cloro negli alimenti può essere contenuto naturalmente, aggiunto di proposito, oppure presente per cause accidentali, in genere dovute alle fasi di lavorazione o all’inquinamento. L’impiego di questa sostanza in ambito industriale, del resto, è ampiamente diffusa. Ma quando può essere dannoso per la salute? E in quali alimenti possiamo trovarlo? Dopo aver approfondito gli usi e gli effetti dell’ammoniaca alimentare, questa volta ci occuperemo del cloro, del suo ruolo nell’organismo e della nocività dovuta a un’ingestione eccessiva.
Cloro negli alimenti: a cosa serve e dove si trova?
Il cloro è un minerale comune in natura, che nell’organismo umano è molto abbondante nei succhi gastrici, soprattutto nell’acido cloridrico, fondamentale per la digestione delle proteine e per la protezione dai germi introdotti comunemente con il cibo.
L’assimilazione di questa sostanza avviene nel primo tratto dell’intestino tenue, mentre l’eliminazione si compie per via urinaria e fecale, ma anche con la sudorazione. Oltre a rendere possibile la funzione gastrica, il cloro è essenziale per regolare la distribuzione dei liquidi all’interno e all’esterno delle cellule, per bilanciare il volume del sangue e favorire il trasporto dell’anidride carbonica da parte dei globuli rossi.
La principale fonte diretta di cloro negli alimenti è il sale da cucina, di conseguenza la presenza di questo minerale riflette la loro concentrazione di cloruro di sodio. Pertanto, ne sono ricchi i salumi, i formaggi e i cibi stagionati o conservati usando il sale.
Anche molti alimenti vegetali lo contengono naturalmente: è il caso di alghe, olive e legumi. Nell’alimentazione quotidiana, però, gran parte del cloro che assorbiamo deriva dall’acqua, che ne contiene mediamente circa 30 microgrammi per litro. Nell’area Ue non sono stati fissati limiti massimi per le risorse idriche potabili, mentre invece l’Oms ha stabilito la soglia di 0,7 milligrammi per chilogrammo.
Quanto cloro dobbiamo assumere?
Come indica la Società italiana di nutrizione umana, il fabbisogno giornaliero di cloro è correlato all’età:
- per i lattanti sono sufficienti 0,6 grammi
- tra 1 e 3 anni, 1 grammo
- tra 4 e 6 anni, 1,4 grammi
- tra i 7 e i 10 anni, 1,7 grammi
- tra 11 ai 59 anni, e in gravidanza e allattamento, 2,3 grammi
- oltre i 60 anni, si scende a 1,9 grammi
In genere, se ne ingerisce una quantità superiore, che, in mancanza di particolari problematiche fisiche, viene espulsa dall’organismo. La carenza di cloro, invece, è piuttosto rara, ma si può verificare quando si perdono in poco tempo grandi quantità di liquidi, e può succedere in presenza di vomito, diarrea e forte sudorazione.
Presenza nell’ambiente e usi industriali del cloro
In natura, il mare rappresenta la fonte principale di cloro, non a caso la presenza di questo minerale nei terreni è legata alla distanza dalle coste. Come gli esseri umani, anche le piante necessitano di cloro e quindi lo contengono.
Questa sostanza non è presente solo nei cibi, ma vede un largo utilizzo nella depurazione delle acque, per diminuire il livello di microrganismi e parassiti, e nella fabbricazione di igienizzanti e disinfettanti. Viene impiegata anche per sbiancare la carta e per produrre vernici, tessuti, farmaci, plastiche e solventi, per citare solo alcuni usi.
Il cloro, di conseguenza, si può trovare nell’ambiente anche a causa delle attività industriali e dell’inquinamento, e può essere rilasciato nell’aria o in acqua, dove si disperde, si combina e reagisce con altre sostanze. Non viene immagazzinato dalle piante e dagli animali e in genere non provoca danni catastrofici, ma può essere molto nocivo per gli organismi che vivono in acqua e nel terreno.
Il clorato
A destare più attenzione per i possibili effetti nocivi è soprattutto il clorato, un sottoprodotto dovuto all’uso di cloro nella disinfezione dell’acqua e delle attrezzature per l’elaborazione di prodotti alimentari. Oggi la diffusione diretta di clorati come agrofarmaci non è più autorizzata nell’Unione europea, e anche se l’addizione di cloro negli alimenti di origine animale non è ammessa, è invece consentito a livello nazionale il lavaggio dei vegetali con acqua trattata con questa sostanza.
La presenza nei cibi, quindi, può derivare dall’impiego di acqua clorata, nella preparazione alimentare o nella pulizia dei macchinari per la produzione. Le materie prime più interessate da questa situazione sono la frutta e la verdura, a maggior ragione se surgelate, aspetto legato alla fase di trasformazione.
Quando e quanto può essere nocivo?
Questo minerale e i suoi derivati possono entrare nell’organismo se si respira aria contaminata, oppure si ingerisce cibo o acqua. Come per le tutte le sostanze potenzialmente nocive, gli effetti dipendono dalle quantità, dalla durata e dalla frequenza di esposizione, oltre che dalle condizioni del soggetto coinvolto. La prima conseguenza di un sovradosaggio moderato per via alimentare è l’aumento della pressione sanguigna, in quanto il cloro nei cibi si associa al sodio.
Se questa condizione perdura negli anni, si favorisce l’insorgenza di accumulo di fluidi, patologie renali e cirrosi epatica, anche se le conseguenze non sono del tutto note. Per gli individui diabetici, alte ingestioni di questa sostanza possono aumentare i valori di glicemia e influire sul trasporto di ossigeno. Quando il cloro è molto presente nell’aria e viene respirato, si verificano irritazioni bronchiali, tosse e dolori toracici, ma nei casi più gravi possono essere colpiti seriamente il sangue, il cuore e il sistema immunitario.
Quando l’assunzione di cloro è particolarmente elevata e concentrata in un tempo ridotto si parla di intossicazione, che può dipendere sia dall’ingestione sia dall’inalazione. Se la sostanza è presente nell’acqua con percentuali particolarmente alte, si possono verificare forti dolori allo stomaco, vomito, bruciore e gonfiore alla bocca e alla gola, problemi respiratori acuti e accumulo di fluidi nei polmoni.
Il parere dell’Efsa: attenzione ai bambini
Per chiarire la situazione in merito alla contaminazione, l’Efsa nel 2015 si è espressa evidenziando che un’esposizione a lungo termine al clorato contenuto nei cibi e nell’acqua potabile, in particolare, può essere motivo di preoccupazione per la salute dei bambini, specialmente se con carenze di iodio. Tuttavia, è improbabile che l’assunzione totale in una sola giornata, anche ai livelli più elevati stimati, possa superare il limite di sicurezza raccomandato. A scanso di equivoci, va precisato che l’acqua potabile del rubinetto, se ben monitorata, non costituisce affatto un pericolo.
Anche in relazione alla sua interferenza con l’assimilazione dello iodio, l’Efsa ha fissato una dose giornaliera tollerabile di clorato di 3 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo. Il livello giornaliero di sicurezza da non oltrepassare, detto “dose acuta di riferimento”, corrisponde invece a 36 microgrammi per chilogrammo di peso. Fortunatamente, le stime più elevate di esposizione alimentare acuta, riferita a tutte le età, si sono rivelate inferiori a questa quantità. L’Efsa, inoltre, ha messo in discussione il limite di 0,7 mg/kg per l’acqua indicato dall’Oms, ritenendolo troppo elevato, ed evidenziando che l’assestamento su tale valore aumenterebbe notevolmente l’ingestione media.
Nel dichiarare la presenza di incertezze scientifiche nelle valutazioni espresse, infine, gli esperti dell’autorità europea hanno sottolineato che l’impegno per ridurre il cloro negli alimenti, e la valutazione dei rischi tossicologici dovuti a questi residui, non dovrebbero dissociarsi dalla considerazione dell’aumento dei rischi microbiologici determinati proprio da un calo di dosaggi di questo disinfettante. Come abbiamo visto nel nostro approfondimento sulle aflatossine, è sempre importante non sottovalutare i pericoli derivanti dalla mancanza di igiene sulle materie prime alimentari.
Avevate già sentito parlare di cloro negli alimenti?
Fonti:
Autorità europea per la sicurezza alimentare – Efsa
Società italiana di nutrizione umana – Sinu