Cina: le iniziative per superare i problemi legati agli allevamenti intensivi

allevamento intensivo di suini
In Cina cresce il consumo di proteine animali: il governo punta su un centro di ricerca per innovare e ridurre l’impatto ambientale.

In Cina la quota di proteine di origine animale nella dieta è cresciuta nettamente nel giro di pochi anni. Un dato storicamente associato al progresso economico e industriale, che in questo caso si è avvalso della diffusione di allevamenti intensivi votati alla tecnologia e all’efficienza energetica. Considerando il peso della popolazione cinese rispetto a quella mondiale, però, si tratta di una trasformazione con grandi ricadute sul piano della sostenibilità, oltre che della salute. Per soddisfare la richiesta di proteine minimizzando l’impatto ecologico, il governo cinese ha creato un centro di ricerca che promette importanti innovazioni. Ma di cosa si tratta? Cerchiamo di saperne di più, alla luce dei dati e degli studi sul tema.

In Cina crescono i consumi e la richiesta di proteine

Pollo con verdure
nadianb/shutterstock

Negli ultimi decenni, e in particolare nell’ultimo, la Cina ha registrato un netto aumento nel consumo di proteine, come indica la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Nel 2021, quando già la quota proteica complessiva era paragonabile agli standard occidentali, la parte preponderante, circa il 60,5%, proveniva però da fonti vegetali, rispetto al 31% degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda la carne, nel 2023 sono stati superati i 70 kg pro capite annui, di cui circa i due terzi di origine suina, collocando la Cina tra i maggiori consumatori mondiali. Si tratta di quasi il triplo del dato del 1990, che si fermava a 25 kg, mentre la media mondiale attualmente si attesta a 45 kg. Forte della sua popolazione, la Cina oggi mangia oltre il 27% della carne prodotta a livello mondiale, una quota doppia rispetto a quella degli Stati Uniti, dove il dato individuale annuo resta comunque molto più alto, con ben 124 kg. In Italia, per chiarire il raffronto, nel 2024 si sono calcolati 78 kg a testa, con una tendenza in flessione rispetto al recente passato.

Questi dati evidenziano una crescente domanda di proteine animali in Cina, influenzata da fattori economici ma anche culturali, con un progressivo avvicinamento alle abitudini occidentali. Mangiare carne, infatti, è anche l’affermazione di uno status di benessere economico e sociale, che vuole allontanare l’idea di privazione e sacrificio in passato legata allo stile di vita cinese.

Gli allevamenti intensivi in Cina e un confronto con la realtà europea

La crescente domanda di carne in Cina ha spinto la diffusione degli allevamenti intensivi, con un impiego massivo di tecnologie, specialmente nella gestione e nell’automazione, per migliorare l’efficienza e le economie di scala. Se confrontati con quelli europei, gli impianti cinesi presentano alcune somiglianze, ma anche differenze significative legate a fattori normativi, tecnologici e ambientali.

Allevamento intensivo cina
chinahbzyg/shutterstock

In Cina gli allevamenti intensivi sono spesso di dimensioni molto maggiori, con strutture che possono ospitare centinaia di migliaia di animali anche su diversi piani. Anche in Europa esistono grandi allevamenti, ma la media è decisamente inferiore rispetto a quella cinese. Le normative UE, infatti, impongono limiti al numero di capi in base agli spazi e requisiti più stringenti sul benessere animale. Tra i più noti e assodati, ci sono il divieto delle gabbie per galline ovaiole non conformi, le norme sui trasporti e gli obblighi di arricchimento ambientale per gli allevamenti suini.

In Cina gli standard di benessere animale sono generalmente meno rigorosi rispetto a quelli europei e gli animali possono essere allevati in spazi più ristretti, con meno prescrizioni su luce naturale, accesso all’aria aperta e condizioni generali di salute.

L’Unione europea, inoltre, ha vietato l’uso di antibiotici come promotori della crescita e si è data norme molto rigide sulla somministrazione agli animali destinati al consumo umano, mentre in Cina l’impiego maggiore di questi farmaci compensa condizioni igieniche meno controllate. Più recentemente, però, il governo ha introdotto restrizioni per ridurre il rischio di antibiotico-resistenza.

Rispetto all’impatto ambientale, in Europa la legislazione impone limiti sulle emissioni di ammoniaca e nitrati. Alcuni Paesi stanno incentivando pratiche più sostenibili, come l’uso di digestori anaerobici per la produzione di biogas, mentre in Cina la regolamentazione non è altrettanto stringente.

Dal punto di vista tecnologico, la Cina ha sviluppato e applicato rapidamente metodologie e strumenti funzionali all’allevamento intensivo più spinto, con impianti robotizzati, intelligenza artificiale per monitorare la salute degli animali e sistemi di gestione automatizzata degli alimenti. In Europa, di contro, alle soluzioni high-tech e all’efficienza produttiva si tende ad anteporre un’attenzione maggiore alla sostenibilità e al benessere animale.

Un allevamento intensivo diventato un simbolo: il caso del “Pig Palace”

Allevamento intensivo di maiali in Cina
CHIRATH PHOTO/shutterstock

Sui mass media e sui social italiani hanno suscitato scalpore le immagini di quello che è stato soprannominato “Pig Palace”, un grattacielo di 26 piani dotato delle più moderne tecnologie, totalmente adibito all’allevamento di maiali. Questo impianto da 600 mila suini si trova nella periferia di Ezhou, poco lontano da Wuhan, la città tristemente nota per il virus Covid-19. Inaugurata nel 2022, la struttura prevede sistemi automatizzati per la ventilazione, la climatizzazione e la gestione efficiente delle risorse, oltre a un rigido protocollo per l’ingresso e l’uscita dei dipendenti.

Seguendo questo approccio, l’uso massivo delle tecnologie e il monitoraggio di tutti i parametri che influiscono sulla produzione dovrebbe permettere il controllo sui problemi di sicurezza, riducendo al minimo l’eventualità di epidemie e l’impatto ambientale. Se una malattia entrasse in allevamento, lo si verrebbe a sapere consentendo un intervento tempestivo delle autorità sanitarie. Una concentrazione così elevata di capi allevati, ad ogni modo, rappresenta un potenziale bacino di diffusione non privo di rischi anche per gli esseri umani. È chiaro che in un impianto del genere il benessere psico-fisico degli animali passa quantomeno in secondo piano.

La ricerca per superare gli allevamenti intensivi

Carne studiata in laboratorio
AnnaStills/shutterstock

Nel contesto che abbiamo descritto, dove la richiesta di carne deve fare i conti con gli effetti collaterali dovuti alla diffusione di grandi allevamenti intensivi, le autorità e gli istituti di ricerca cinesi stanno lavorando anche nel senso delle alternative.

A questo proposito, lo scorso gennaio è stato presentato il China Meat Food Research Center’s New Protein Food Technology Innovation Hub, il primo centro cinese di innovazione dedicato alle nuove tecnologie proteiche indirizzate alle coltivazioni cellulari. Durante l’inaugurazione, è stato sottolineato come la struttura potrà aiutare a trasformare i risultati di laboratorio in ingegneria e industrializzazione, favorendo una futura commercializzazione della carne coltivata con le cellule. L’iniziativa è sostenuta da investimenti pubblici e privati, per un totale di 10,5 milioni di euro da parte del governo locale e del Shounong Food Group, che sono più evidenti considerando le strumentazioni avveniristiche delle quali il centro è dotato. Alla produzione di carne coltivata, infatti, è stata dedicata una linea cellulare da 200 litri, mentre di un’altra da 2.000 dispone la produzione di proteine microbiche. Inoltre, sono previste altre due linee di coltura cellulare da 2.000 litri e ulteriori linee pilota di proteine microbiche da 2.000 e 5.000 litri.

Questi impianti imponenti mirano a convertire la ricerca di laboratorio in applicazioni industriali su larga scala, puntando soprattutto sull’ingegneria cellulare e sulla biologia sintetica. In occasione della presentazione, non a caso, sono stati mostrati prodotti quali barrette di proteine microbiche, carne di tofu fermentata da microbi e bistecca marinata da carne coltivata.

Un distretto dedicato al cibo del futuro

Le autorità cinesi stanno trasformando il distretto di Fengtai in un punto di riferimento per la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie applicate alla produzione alimentare innovativa, sempre in logiche di larga scala. In questa area, inoltre, è presente il nuovo parco industriale Shounong Development and Innovation, che ha l’obiettivo di attrarre progetti di ricerca scientifica da tutto il mondo, nell’ottica della collaborazione internazionale tra esperti. L’iniziativa potrebbe costituire le basi di un vero e proprio polo di produzione agroindustriale cinese, in grado di sfruttare le più moderne tecnologie, come l’intelligenza artificiale, la blockchain (database per la condivisione di informazioni all’interno di una rete aziendale) e l’automazione. L’obiettivo finale, in questo senso, è il rafforzamento della sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo del monitoraggio e della tracciabilità in tempo reale dell’intera catena di produzione, lavorazione, circolazione e vendita dei prodotti.

Da un punto di vista complessivo, da questa operazione traspare l’intento di far emergere la Cina come guida nelle future tecnologie alimentari, una prospettiva che offre opportunità ma anche dubbi di lungo termine in relazione alla delicata situazione geopolitica globale.

 

Immagine in evidenza di: QiuJu Song/shutterstock

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