Giornale del cibo

Rapporto FAO 2020: una dieta “sana” costa il 60% in più di una base e 3 miliardi di persone non ne hanno accesso

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Siamo ancora distanti dal raggiungimento dell’obiettivo Zero Fame, previsto dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile che richiama tutti i Paesi del mondo a unire le forze per una serie di obiettivi comuni. Lo dichiara la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura nel rapporto annuale The State of Food Security and Nutrition in the World in 2020 pubblicato nell’autunno di quest’anno. I dati, relativi al 2019 e quindi antecedenti alla pandemia che secondo gli osservatori potrebbe aver peggiorato la situazione, dipingono un quadro preoccupante: 690 milioni di persone soffrono la fame, ossia 10 milioni di persone in più rispetto all’anno precedente e 60 milioni in più negli ultimi dieci anni. Quasi 750 milioni di persone, inoltre, si trovano in una condizione di insicurezza alimentare e 2 miliardi non hanno accesso regolare a sufficiente cibo sicuro e nutriente.

Invertire la rotta è necessario, sottolinea ancora la FAO, altrimenti gli obiettivi non verranno raggiunti. E per poterlo fare è cruciale affrontare il problema con un approccio che non si limiti a considerare soltanto la quantità di cibo disponibile, ma anche la qualità. Nel 2019 (e anche nel 2020) milioni di persone nel mondo non hanno potuto nutrirsi in maniera adeguata. La FAO, quindi, si è chiesta se il cibo sano, asset cruciale per contrastare la fame (come vedremo poi), sia davvero accessibile a tutti.

Diritto al cibo sano, Rapporto FAO 2020: tre miliardi di persone non possono permettersi una dieta salutare

I dati raccolti dall’organizzazione delle Nazioni Unite disegnano un quadro chiaro e preoccupante. 3 miliardi di persone, nel mondo, non hanno la possibilità socio-economica di seguire una dieta salutare, e anzi per 1 miliardo e mezzo è impossibile anche seguire un regime alimentare che raggiunga gli standard minimi di nutrienti essenziali. La maggior parte di queste persone vive in Asia, a seguire in Africa e in America Latina e Caraibi; ben 18 milioni invece si trovano in Europa e Nord America.

Povertà alimentare africa
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Sebbene i numeri indichino come il problema del mancato accesso al cibo salutare sia particolarmente grave nel continente asiatico, le dinamiche e le barriere sono le stesse in tutti i continenti. Le analisi condotte dall FAO, infatti, evidenziano come, complessivamente, una dieta salutare costi il 60% in più di una dieta base (ovvero che fornisce le energie sufficienti meramente alla sopravvivenza di medio periodo) e cinque volte in più rispetto a un’alimentazione basata prevalentemente su prodotti amidacei, come patate o cereali.

Tre modelli a confronto per valutare l’accessibilità del cibo sano

Per poter analizzare quale sia l’effettiva accessibilità del cibo sano nel mondo da un punto di vista che non tenga in considerazione soltanto il prezzo dei beni, ma anche fattori sociali e le conseguenze sulla salute delle persone coinvolte, la FAO ha sviluppato tre modelli alimentari, poi li ha comparati e calati nei vari contesti nazionali in cui opera. Si è scelto di valutare tre tipi di dieta (una che fornisce solo l’energia sufficiente alla sopravvivenza, una che prevede una varietà appena sufficiente di nutrienti e una salutare).

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La FAO definisce in questo modo le tre diete comparate:

  1. Energy Sufficient Diet, ovvero una dieta che garantisce una quantità di calorie sufficienti per lavorare ogni giorno e basata, prevalentemente, su carboidrati, come riso, frumento, patate, che variano paese per paese.
  2. Nutrient Adequate Diet, in questo caso l’alimentazione fornisce non soltanto l’apporto calorico sufficiente alla sopravvivenza, ma anche un mix bilanciato di proteine, grassi, vitamine e minerali in maniera tale da prevenire carenze e intossicazioni.
  3. Healthy Diet, che include il consumo di tipologie differenti di cibi per garantire l’assunzione di tutti i macronutrienti fondamentali. È l’unica tra le diete analizzate dalla FAO che assicura un’efficace prevenzione contro tutte le forme di malnutrizione, compresi sovrappeso e obesità.
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Simulando, dunque, di seguire tutte e tre queste tipologie di alimentazione nelle varie aree del mondo e di acquistare i cibi per ciascuna dieta al minor prezzo disponibile, la FAO stima che a livello globale, il primo tipo di dieta costi 0,79 $ al giorno per persona, quella sufficiente 2,33 $ e quella salutare 3,75 $. Paradossalmente, quest’ultima è più economica nei Paesi ad alto reddito (3,43 $ al giorno) piuttosto che in quelli a medio reddito (3,98 $). Dal punto di vista geografico, invece, il cibo sano è più accessibile in Oceania e, invece, più caro in America Latina e ai Caraibi. Alla luce di queste stime, la FAO evidenzia che una dieta salutare sia impossibile per le persone che, ovunque nel mondo, si trovano a vivere al di sotto della soglia della povertà. Inoltre, aggiunge ancora il report, si osserva come la situazione sia più preoccupante in Paesi coinvolti da crisi di lunga data e ormai endemiche che, quindi, peggiorano la qualità della vita delle persone che ci vivono anche dal punto di vista alimentare.

La necessità di puntare sulla qualità dei cibi per tutelare il diritto alla salute

Le conseguenze di una dieta di scarsa qualità sono di diverso tipo. Come sottolineato anche dall’UNICEF, infatti, la malnutrizione ha molte sfaccettature: in molti casi si esprime attraverso la denutrizione, ma in altri – soprattutto nei Paesi sviluppati – comporta sovrappeso e obesità, con le conseguenti problematiche dal punto di vista della salute (privata e pubblica).

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“La qualità della dieta”, si legge nel rapporto FAO, “è parte cruciale degli sforzi compiuti per raggiungere gli obiettivi di lotta contro la fame e sicurezza alimentare fissati dall’Agenda 2030. Raggiungere questi obiettivi sarà possibile soltanto se le persone avranno abbastanza cibo da mangiare e se ciò che mangeranno sarà nutriente e salutare.” È importante, infatti, individuare anche quali sono le ragioni per cui questi regimi alimentari costano più di altri. La FAO spiega che sono diversi i fattori su cui bisognerebbe intervenire sul piano politico: il riferimento è ai costi espliciti del cibo lungo la filiera, ma anche agli elementi nascosti che spesso vengono ignorati. È il caso di tutti quegli aspetti che rendono una produzione non sostenibile e favoriscono il sottocosto, dallo sfruttamento dei lavoratori fino alle aste a doppio ribasso.

In questo senso, come evidenziato anche dal World Food Programme, la lotta contro la fame deve passare anche attraverso la promozione di una forma di sviluppo sostenibile, di sostegno all’agricoltura in ottica green e a processi di sensibilizzazione della popolazione a scelte più consapevoli. La FAO aggiunge, infatti, che i governi spesso si sono concentrati nell’evidenziare i rischi di un eccesso di calorie o proteine nella dieta, senza invece investire in campagne che spieghino i vantaggi e le caratteristiche di una dieta bilanciata come, per esempio, quella elaborata dal team di EAT-Lancet proprio con l’obiettivo di essere, contemporaneamente, buona per le persone e per il pianeta.

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