Con la partecipazione al Festival internazionale del cortometraggio di Brescello attraverso il premio “Itinerari del Gusto” e con l’istituzione, in collaborazione con FEDIC, di un riconoscimento collaterale alla Mostra del Cinema di Venezia all’opera che propone la scena più significativa legata al cibo e all’alimentazione, CIR food ha espresso in questi anni la volontà di avvicinarsi a forme d’arte e di comunicazione capaci di veicolare i propri valori, legati alla promozione di un’alimentazione sana e consapevole, frutto di un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente.
Il cinema è una delle espressioni artistiche che più di altre sa raccontare e trasmettere il valore sociale e culturale del cibo, e, così come sulla tavola, anche in sala è importante che il ‘prodotto’ sia sincero, genuino e diversificato. Dopo la frenesia del cibo industriale e massificato, ci stiamo riavvicinando ad un’alimentazione consapevole, locale più che globale, di qualità più che di quantità. Abbiamo bisogno di cibo e di storie che nutrano la mente, perciò benvenga la biodiversità, anche al cinema, e se è difficile trovarla ormai nelle grandi multisala, ci sono ancora luoghi che sostengono la diffusione di altre visioni, altre storie, altri mondi; luoghi come i festival cinematografici o come le piccole sale e i cineclub, che purtroppo, soprattutto dopo l’avvento del cinema digitale, stanno affrontando non poche difficoltà per riuscire a sopravvivere e a non rimanere schiacciati dalle logiche del profitto.
Per questo motivo Cir food, attraverso “Il Giornale del Cibo”, vuol dare voce a chi, con passione e pochi altri mezzi, persegue ogni giorno l’impegno di offrire ‘in pasto’ al pubblico delle rassegne di qualità, film che difficilmente possiamo trovare altrove. Abbiamo incontrato tre associazioni culturali che ci hanno aiutato a capire quali ostacoli incontrano per riuscire a programmare anche una semplice rassegna cinematografica e perché è così difficile oggi in Italia portare avanti delle proposte diversificate per quanto riguarda il cinema. Tre associazioni – il Cineclub “Claudio Zambelli” di Boretto (Re), il Cineclub di Alassio (Sv) e il Cineclub “Delta del Po” (Fe) – che hanno un progetto: far arrivare in Parlamento la loro voce.
Piccolo è bello: salviamo i cineclub!
Siamo negli anni ’50: Totò, nove anni e una grande passione per il cinema, passa gran parte del suo tempo libero nel piccolo cinema di paese, in Sicilia, insieme all’amico proiezionista Alfredo. Siamo anche verso la fine degli anni ’80: usciamo commossi dal piccolo monosala in centro, o dal cinema di paese, in una qualunque delle nostre province… In mente ancora le note di Ennio Morricone e le immagini di un mondo che è stato, raccontato da Giuseppe Tornatore in Nuovo Cinema Paradiso.
Entrambi quei due mondi non esistono più e in fondo si assomigliavano più di quanto non sembrasse quando uscì il film: allora e fino a qualche anno fa non c’erano i multisala; la crisi, quella economica ma anche quella culturale, iniziava appena a farsi sentire e i film venivano girati, prodotti, distribuiti e proiettati in pellicola. L’avvento del digitale, se da un lato ha rappresentato un volano per l’industria cinematografica in termini di riduzioni di costi di produzione e di distribuzione, dall’altro ha assestato un duro colpo alle piccole realtà: molte sono state costrette a chiudere i battenti, altre combattono una faticosa battaglia contro il Golia dei costi da sostenere, delle mille burocrazie, e forse anche di una generale mancanza di visione e di attenzione da parte degli organi competenti verso la ‘biodiversità’ – se ci è concesso usare questo termine parlando di cinema.
Ma cosa ha significato esattamente il passaggio al digitale e che ripercussioni ha avuto sulle piccole sale non commerciali?
Il passaggio al digitale
La rivoluzione digitale è in atto già da più di un decennio e ha investito, con tempi e modi diversi, tutti i media, dalla fotografia alla musica, fino al consumo letterario attraverso la lettura degli e-book su schermo. Al cinema sono stati necessari alcuni anni per adeguarsi progressivamente alle nuove tecnologie, fino alla completa conversione sollecitata dal Governo e resa definitiva a partire dal 1° gennaio di quest’anno. Negli ultimi anni la percentuale di film girati in digitale è aumentata progressivamente, grazie soprattutto all’abbattimento dei costi. I macchinari per girare un film analogico – dalle telecamere ai carrelli, fino alle copie del film in pellicola e alla distribuzione delle ‘pizze’ – sono molto elevati rispetto a quelli del digitale.
Il periodo di passaggio ha visto casi di film prodotti direttamente in digitale e poi riversati in pellicola e di film prodotti in pellicola e tradotti poi in digitale in modo da poter essere proiettati in tutti i cinema. Una certa resistenza ad abbandonare la pellicola c’è comunque stata, sia per motivi di scelta artistica di alcuni registi (fra tutti citiamo Sorrentino), sia per la difficoltà di molte sale di attrezzarsi adeguatamente.
“Questa volta pare proprio che la favola del ‘piccolo è bello’ non conoscerà il lieto fine – ci spiega con amarezza Giancarlo Zambelli, presidente del Cineclub “Claudio Zambelli” di Boretto (RE) -. Per le piccole sale sparse sul territorio questa conversione ha spesso significato la cessazione dell’attività. Il costo del passaggio al digitale infatti non è cosa da poco: sono necessari importi tra i 60 e i 70mila euro a sala, una cifra che uccide luoghi di ritrovo come cineclub e piccole sale di paese”.
Sistema digitale dcp vs blu-ray
Cerchiamo allora di capire in cosa consiste esattamente attrezzare una sala per il digitale e perché costa così tanto. Il sistema digitale DCP (Digital Cinema Package), a cui la richiesta di adeguamento governativa fa riferimento, ha dei costi molto elevati, stimati attorno ad un minimo di 50mila euro. Si tratta innanzitutto di dotarsi di un proiettore adeguato e di un computer con collegamento ADSL veloce, attrezzature tutto sommato alla portata di qualsiasi sala, seppur con molti sacrifici per i più piccoli. Quello che veramente costa è il sistema di decodificazione del film che la casa di distribuzione fornisce su hard disk sotto forma di file compresso criptato. Insieme al file viene fornito un codice che serve ad avere un accesso non permanente, valido per la durata di una singola proiezione. Senza questo codice il file risulta illeggibile. I costi tecnici effettivi del sistema DCP non sarebbero in sé così elevati, ma le case di distribuzione applicano al sistema un costo che si aggira attorno ai 20mila euro. A questi si aggiungono le spese SIAE e le quote delle delibere applicate dalle case di distribuzione a ciascun film.
Visti i costi proibitivi, alcuni cineclub hanno preferito optare per una soluzione meno onerosa, attrezzandosi di sistema audio e proiettore di dvd in Blu-Ray, ma anche in questo caso le insidie non mancano.
“Anche il Cineclub “Claudio Zambelli” di Boretto, associazione senza scopo di lucro, da oltre un decennio punto di riferimento nella bassa reggiana per chi il giovedì sera vuole vedersi un buon film d’essai, rischia purtroppo di non poter proseguire la propria attività – ci dice ancora Giancarlo Zambelli -. Ben lontano dalle cifre necessarie per passare al digitale, il Cineclub già da dicembre 2013 è stato costretto a smettere l’utilizzo delle pellicole, che non gli vengono più fornite dalle case distributrici. Finché sarà possibile, le proiezioni verranno effettuate in Blu-Ray, unica alternativa ‘temporanea’ che fornisce un po’ d’ossigeno all’attività. Ma anche il passaggio al Blu-Ray, videoproiettore in alta definizione ed adeguamento dell’impianto audio, ha avuto un costo che ha richiesto, per una piccola realtà come la nostra, notevoli sforzi economici. Per questo il Cineclub ha deciso di far conoscere la propria situazione”.
Il problema delle liberatorie
Sebbene il costo per le tecnologie sia dunque in questo caso più abbordabile (attorno ai 5mila euro), rimane di fatto il problema delle liberatorie, il cui rilascio viene spesso ostacolato dalle case di distribuzione, che tendono a favorire il passaggio al DCP che risulta per loro molto più conveniente. Se fino a tutto il 2013 venivano rilasciate liberatorie anche per film in seconda visione, cosa che ha indotto molti cineclub a optare per il Blu-Ray, a partire dal 2014 le case di distribuzione hanno stretto le maglie sui titoli disponibili, lasciando semmai maggiori concessioni per film ‘commerciali’, che potrebbero meglio servire una programmazione da multisala piuttosto che da sala d’essai.
Quando anche il problema della concessione venga superato, rimangono i costi per ciascuna liberatoria, come ci spiega Beppe Rizzo, presidente del Cineclub di Alassio: “Il più importante problema a cui vanno incontro coloro che organizzano un cineforum è rappresentato dal pagamento delle liberatorie alle case di produzione/distribuzione, ignare, forse, del fatto che il cinema per essere frequentato deve essere incoraggiato e non osteggiato. Il mio Cineforum non opera in una sala cinematografica, ma in strutture diverse; proiettiamo film tramite i supporti che il mercato offre, dvd oppure Blu-Ray. Viene richiesto di pagare le liberatorie, oltre ai diritti SIAE. Qui nasce il problema: mentre alcune case di produzione, come Fox, Medusa, Universal, Paramount, Walt Disney, IIF, praticano tariffe relativamente ‘abbordabili’ (€200 + iva), ma che non sono poi così basse, altre case, come BIM, Lucky Red, Sony, Warner, applicano tariffe tali da non poter essere affrontate”.
L’importanza delle piccole sale e dei cineclub nel tessuto culturale locale
Che si tratti di un piccolo cineforum o di una grande multisala, nessuna distinzione viene fatta né dalla SIAE né dalle case di distribuzione nell’applicare le tariffe. Ma un distinguo sarebbe invece doveroso, dato il ruolo che i cineclub svolgono in territori in cui spesso non vi è altra offerta culturale.
“É vitale – ci spiega Carlo Menegatti del Cineclub Fedic “Delta del Po” – poter programmare rassegne cinematografiche di film d’autore, durante la stagione invernale e durante l’estate in piazza. Questo ci permette di avvicinare tante persone che poi si iscrivono al Cineclub e fanno attività culturale, che manca completamente nelle nostre zone. Inoltre si va incontro ai Comuni che non hanno possibilità di far funzionare i loro cinema se non attraverso le nostre attività, che costano poco a loro e danno risposte a molti. Ma i problemi principali sono di carattere economico, perché il cineclub, che non ha scopo di lucro, che non fa attività commerciale, viene trattato come un qualsiasi esercente di cinema. Dobbiamo affrontare i costi della SIAE, delle case di distribuzione, della promozione, dell’acquisto dvd, delle attrezzature audio e video. Occorre perciò distinguere la nostra attività culturale da quella commerciale, perché le nostre finalità sono completamente diverse da quelle di un esercente cinematografico e svolgiamo un servizio pubblico, come una biblioteca o un centro culturale”.
“La nostra è un’attività – aggiunge Giancarlo Zambelli – rivolta a chi, delle opere cinematografiche, oltre all’intrattenimento privilegia il valore artistico, di sperimentazione sul linguaggio cinematografico, oppure di impegno sociale. Per questo chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei piccoli cinema, ma anche che credono in questo modo di fare cinema, di aiutarci a sopravvivere”.
E se da un lato anche Giorgia Bia, Assessore alla Cultura del Comune di Boretto, si è espressa favorevolmente riconoscendo come “inestimabile il valore di un’attività come quella svolta dai volontari del Cineclub di Boretto che col supporto dell’Amministrazione Comunale cercano di portare sul territorio film non rivolti alle esigenze del consumo di massa”, un coinvolgimento più concreto a favore dei cineclub da parte del settore pubblico tarda ad arrivare.
I finanziamenti regionali: il caso Emilia Romagna
L’importanza dell’indotto economico sul territorio generato dalle strutture audiovisive in Emilia Romagna viene ribadito dalla Regione fra le motivazioni del Programma quadriennale 2010-2015 per l’insediamento sul territorio di attività cinematografiche: “Al 31 dicembre del 2010 risultano attivi in regione 239 esercizi cinematografici, suddivisi in 146 monosale, 30 medie multisale (da 2 a 6 sale e fino a 1200 posti), 20 grandi multisale (oltre 6 sale e 1200 posti) e 43 arene estive, per un totale di 452 schermi. Con 10 schermi ogni centomila abitanti, l’Emilia-Romagna si colloca tra le realtà europee a più forte offerta di cinema, ben al di sopra del dato nazionale, che, nel 2009, registra la presenza di poco più di 6 schermi ogni centomila abitanti. La posizione di eccellenza è confermata anche dalla dotazione di schermi in rapporto all’estensione territoriale (20 schermi ogni mille chilometri quadrati, a fronte di un indice nazionale di 13)”.
Il settore esprime un’eccellenza anche dal punto di vista occupazionale con circa 3.800 addetti e 800 unità di imprese attive sul territorio, dati che posizionano la Regione al quarto posto nella graduatoria nazionale per numero di imprese, al quinto per numero di occupati e al sesto per valore aggiunto prodotto (dati Fondazione Rosselli).
La legge regionale
Per regolare l’autorizzazione allo svolgimento delle attività cinematografiche, la Giunta si è dotata di una legge che disciplina la diffusione dell’esercizio cinematografico a livello regionale (L.R. 12/2006). La legge ha fra le proprie finalità in primo luogo “la centralità dello spettatore, affinché possa contare su una rete di sale e arene efficiente, diversificata, capillare sul territorio e tecnologicamente avanzata”.
“Diversificata” e “tecnologicamente avanzata” sono evidentemente due parole chiave relative all’impegno della Regione nei confronti del sistema audiovisivo territoriale. Ma non solo: in primo piano fra gli obiettivi troviamo anche il “pluralismo ed equilibrio tra le diverse tipologie di strutture e attività cinematografiche”. L’impegno assunto, che riguarda l’erogazione di finanziamenti attraverso bandi per uno stanziamento iniziale di circa 2,5–3 milioni di euro annui, dovrebbe riguardare dunque non solo le multisala o gli esercenti di sale commerciali, ma anche appunto le piccole realtà e i cineforum, riconoscendo ad essi un’importanza sul piano della qualità sociale delle città e del territorio e un volano di sviluppo che può avere dei riflessi positivi sulla crescita dell’imprenditoria e dell’occupazione, sulla qualità del lavoro e sulla formazione professionale degli operatori.
La L.R. 12/2006 sembra dunque favorire anche le piccole realtà e i cineforum, almeno sulla carta, ma qualcosa evidentemente si inceppa nel processo di erogazione dei fondi, come ci spiega Lorenzo Bianchi Ballano, impegnato insieme agli altri volontari nella conduzione del cineclub di Boretto: “La Regione ha stanziato dei fondi che coprono attorno al 30-33% dei costi. A questi finanziamenti però possono accedere solo i proprietari o i gestori del cinema. Molti cineclub, che usufruiscono gratuitamente del cinema di proprietà del Comune in quanto associazione culturale no-profit, rimangono esclusi dal finanziamento. Alla fine lo stanziamento favorisce solo gli esercenti che praticano attività commerciale e che quindi hanno delle politiche di profitto”.
Altre risorse
Ai piccoli cineclub non resta dunque che aspettare che i Comuni si attivino per la richiesta di finanziamenti, ma alla fine il contributo elargito a ciascuna struttura si aggira al massimo attorno a qualche migliaio di euro.
A questi si aggiungono i fondi della Fedic, la Federazione Italiana dei Cineclub, che però riceve dallo Stato fino ad un massimo di 50mila euro da distribuire fra tutte le proprie iniziative (festival, incontri, corsi oltre alle attività dei cineclub associati, laddove sia prevista una programmazione di una certa continuità).
Alla fine è evidente che quello che rimane al singolo cineclub non è sufficiente nemmeno a coprire le spese minime necessarie a mantenere in vita un’attività e ad affrontare un programmazione che deve basarsi su delle disponibilità che risultino certe almeno per l’anno in corso.
Cosa fare?
La questione non è di facile soluzione, ma è necessario innanzitutto far sentire la propria voce e portare il problema all’attenzione non solo degli organi locali.
Serve infatti una regolamentazione nazionale che controlli soprattutto il sistema di gestione delle delibere da parte delle case di distribuzione e produzione, come ad esempio avviene già in Francia, dove i cineclub e le associazioni no-profit che operano nell’audiovisivo possono accedere a tutti i film, anche ai titoli appena usciti, nel formato richiesto e a tariffe agevolate, e dove le case di distribuzione devono sottostare a regolamentazioni nazionali.
Il progetto: coinvolgere il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
Per questo motivo i cineclub “Alassio”, “Delta del Po” e “Claudio Zambelli” desiderano coinvolgere le associazioni nazionali di cultura cinematografica affinché possano tutte insieme intervenire presso gli Enti competenti per giungere ad una regolamentazione che favorisca l’attività cinematografica dei cineforum.
Il valore inestimabile di tali attività culturali, che offrono alle amministrazioni comunali e al territorio una programmazione di film non rivolti al consumo di massa, ma che della settima arte privilegiano il valore artistico, di sperimentazione, di impegno sociale, va preservato attraverso il raggiungimento di obiettivi di carattere normativo e di politica culturale.
Tali obiettivi dovrebbero incidere nella riduzione dei costi delle liberatorie delle case di distribuzione e nel ridimensionamento delle tariffe SIAE: un appello che le tre associazioni intendono presentare al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini, affinché la proposta venga presentata in Parlamento.