Giornale del cibo

Il cibo di qualità è un lusso o un diritto?

 

 

L’articolo “cibi per ricchi e cibi per poveri: si può parlare di povertà alimentare in Italia” ha suscitato molto interesse, a giudicare dai numerosi commenti e dal dibattito che si è aperto sulla pagina Facebook del nostro web magazine. A uno (critico sull’affermazione che il “cibo spazzatura” si compri al discount) ho già risposto dando ragione alla lettrice: è vero, cibo spazzatura si può trovare dappertutto. Ad altri, che hanno pensato che volessi promuovere il “cibo di marca”, rispondo ora dicendo che non era assolutamente questa la mia intenzione (e francamente nel testo dell’articolo non si evince un Gallini paladino della marca pubblicizzata). 

Dai commenti emergono principalmente due posizioni. Da una parte la difesa del “cibo povero” e l’affermazione che si può mangiare bene e sano spendendo poco e che quindi è una forzatura parlare di cibi per ricchi e cibi per poveri; dall’altra, chi mette a confronto prezzi e qualità di diversi alimenti e conclude che sì, il cibo per ricchi esiste.
L’argomento è sensibile. Povertà, ricchezza, filiera agroalimentare…ma cosa rende un cibo di qualità e quanto costa?

Cibo di qualità tra costi, distorsioni del mercato e scelte individuali

allevamento galline

“Cibo spazzatura” è per me tutto quel cibo che per arrivare al mercato a costi molto bassi (o a profitti molto alti) appartiene a una filiera agroalimentare non sostenibile ambientalmente, socialmente e culturalmente. Pensiamo alla carne prodotta senza alcun rispetto per gli animali, alle verdure coltivate con chimica pericolosa, ai pomodori raccolti da braccianti sfruttati, pagati pochi euro al giorno.
Ora, c’è poco da fare: una filiera agroalimentare sostenibile e di qualità costa di più di una sregolata, italiana o di importazione che sia. I produttori che hanno rispetto per la natura, la salute dei cittadini e i diritti dei lavoratori devono rinunciare a qualche profitto, anche perché spesso pressati dalle condizioni imposte dalla grande distribuzione organizzata, o alzare i prezzi, anche trovando canali di vendita alternativi.

Faccio un esempio banale: gli ovoprodotti da allevamento a terra, per esempio, costano più di altri ovoprodotti. Anche del 15%. Ma, si dirà, non è questo il problema. Per quel che costa un uovo i poveri possono comprarsi le uova migliori tanto quanto i ricchi.
Se però ragioniamo su tutta la spesa alimentare allora vedremo che non tutte le famiglie possono permettersi i prodotti migliori; e questo secondo me è una delle ingiustizie maggiori perché non si tratta solo di rinunciare a ostriche e champagne, ma alla propria salute.

Una questione di priorità?

I comportamenti individuali naturalmente sono i più vari ma non ci devono portare fuori strada nell’analisi. Non dobbiamo peccare di generalizzazione ma nemmeno di dispersione. Può esserci un ricco che mangia cibo spazzatura perché non gliene importa niente del cibo buono e per lui il biologico è un imbroglio delle multinazionali di Slow Food; o perché, semplicemente, è avaro. E può esserci un povero che invece consuma cibo di qualità, perché rinuncia ad altro, coltiva il suo orto e si dà un sacco da fare al mercato e in cucina. Il discorso sul cibo è pieno di contraddizioni: ma che ci siano ampie fasce di popolazione che non possono permettersi un cibo di qualità è attestato da molte ricerche.
Non sono mancati lettori convinti che molta più gente potrebbe permettersi cibo di qualità se non spendesse in telefonini. Una volta, a un dibattito pubblico, la giornalista vicino a me, esperta di cibo, inveì contro chi comprava bottiglie di vino a meno di 6 euro o di olio a meno di 12 euro: “È chiaro che sotto questi prezzi il prodotto è spazzatura. E non mi si dica che qualcuno non se lo può permettere: magari ha appena speso 500 euro per un telefonino!”, tuonava. Ironia della sorte, in quel momento è squillato il suo di telefonino e rovistando nella borsa ne ha tirato fuori prima uno, poi un altro. Ho pensato: chi si può permettere di comprare solo olio da 12 euro o vino da 6 euro e di gestire due o tre telefonini spesso non sa che c’è gente che del telefonino ha bisogno per lavorare e che guadagna così poco che il vino da 6 euro se lo sogna, anche se vivesse solo con la compagnia del telefono fisso.

Quando ero bambino (un secolo fa) sentivo le amiche di mamma spettegolare su una vicina che era molto elegante, troppo elegante per i suoi mezzi: “Si può permettere quei vestiti perché a casa sua si mangia solo pane e cipolla tutti i giorni! Pane e cipolla!”. A parte il fatto che quella signora a me piaceva (era elegante e magra, più delle sue detrattrici; quanto al fiato, vabbè, forse non era granché…), vedo che la logica del giudizio malizioso non è cambiata: c’è chi, per il superfluo, rinuncia al cibo! Ma chi sa: forse il pane e la cipolla della vicina erano biologici.

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