Il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi di persone, e si stima che ci vorranno circa altri 15 anni – fino al 2037 – per raggiungere i 9 miliardi. Una data storica importante, dunque, che mette in luce tutti i miglioramenti che sono stati fatti negli ultimi anni nel campo della salute pubblica, della medicina, dell’alimentazione e dell’igiene. Eppure, di fronte a queste cifre, sorge spontanea una domanda: c’è e ci sarà cibo per tutti?
“Rispetto al cibo va ripensato l’intero sistema agroalimentare che produce per 12 miliardi di persone, ma 30/40 milioni di persone ancora muoiono di fame”. Questo il commento di Carlo Petrini, Fondatore di Slow Food, all’evento “Il cibo è un atto politico. Da Expo 2015 alla sovranità alimentare: le nuove sfide in Italia e nel mondo” che si è svolto al CIRFOOD DISTRICT di Reggio Emilia e che ha visto tra i relatori anche Maurizio Martina, Vicedirettore Generale della FAO, moderati da Guendalina Graffigna, membro del Comitato Scientifico del CIRFOOD DISTRICT e Professore Ordinario di Psicologia dei consumi e della salute presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
Nonostante il miglioramento delle condizioni di vita globali, infatti, le disuguaglianze sociali sono ancora elevatissime: nel 2021, le persone che soffrono la fame sono aumentate di 46 milioni rispetto al 2020 e sono 150 milioni in più dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Il mondo si sta allontanando ulteriormente dall’obiettivo di sconfiggere, entro il 2030, insicurezza alimentare e malnutrizione, faticando a realizzare un modello di sistema agroalimentare che sia accessibile a tutti e tutte, sano, e rispettoso dell’ambiente e delle persone.
Su questi temi si sono espressi gli ospiti dell’evento, dopo i saluti della Presidente CIRFOOD Chiara Nasi, confrontandosi proprio sulle azioni necessarie a far evolvere la società in ottica democratica e sostenibile e sul ruolo della ristorazione collettiva. Vediamo cos’è emerso dal dibattito.
Covid, Conflitti e Clima: così si inasprisce l’insicurezza alimentare mondiale
828 milioni: questo il numero di persone che hanno sofferto la fame a livello mondiale nel 2021, secondo il rapporto annuale The State of Food Security and Nutrition in the World 2022 pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), dal Programma alimentare mondiale dell’ONU (WFP) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Prendendo in considerazione l’Italia, secondo L’anello debole – il Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas – sono 1 milione e 960mila le famiglie in povertà assoluta, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). A essere più colpite dall’indigenza sono soprattutto le famiglie più numerose, con almeno 4 componenti.
“I sistemi agroalimentari globali sono stati pesantemente colpiti da questi shock come evidenziato anche dall’ultimo Rapporto globale sulla crisi alimentare” ci racconta post-evento Maurizio Martina, Vicedirettore Generale della FAO. “La fame nel mondo è aumentata nel 2021, con più di 800 milioni di affamati. Le stime indicano che nel 2030 l’8% della popolazione globale potrebbe soffrire la fame. Una percentuale molto lontana dall’obiettivo fissato dall’SDG2. Inoltre, ad oggi, 2.3 miliardi di persone non hanno accesso a diete adeguate. Numeri allarmanti soprattutto se osservati alla luce del paradosso nutrizionale che vede sull’altro piatto della bilancia i numeri relativi all’obesità in forte aumento”.
Una fotografia allarmante che si è inasprita particolarmente in questi ultimi due anni, causando un cambiamento epocale per i sistemi agro-alimentari mondiali (e locali). Le cause? Quelle che Martina ha definito nel suo primo intervento come “le tre C”: “Covid, Conflitti e, in particolare, Clima. L’incrocio di queste tre C impone ai sistemi agroalimentari di ogni contesto e di ogni latitudine un ripensamento complessivo. La mia generazione ha scoperto che i conflitti armati sono la prima causa di fame nel mondo” spiega. Ma non è l’unico problema, perché l’intensità e la frequenza degli eventi climatici calamitosi stanno sconvolgendo drasticamente tutti gli equilibri agricoli alimentari, dal Canada al Pakistan, fino ovviamente all’Italia. “La riflessione vera è: come costruiamo fattivamente un nuovo equilibrio?”
Serve l’impegno congiunto di istituzioni, imprese e cittadini
Ambiente, agricoltura, alimentazione e salute: come sottolinea Martina, è fondamentale ricercare un equilibrio più avanzato tra questi elementi. “È una delle sfide urgenti che stiamo vivendo e che non possiamo più rinviare. Per affrontare questo cambiamento serve uno sforzo operativo, sia delle istituzioni che delle imprese, oltre che dei cittadini”.
Per quanto riguarda le istituzioni, Martina ci spiega che “la FAO sta promuovendo la trasformazione dei sistemi agroalimentari per renderli più efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili per una migliore produzione e nutrizione, un ambiente e una vita migliore per tutti. Con particolare attenzione per i Paesi fragili e le fasce vulnerabili delle popolazioni”.
In primo luogo, continua, la conditio sine qua non affinché tutto ciò sia possibile è ovviamente la pace. “Occorre quindi lavorare per la risoluzione della guerra in Ucraina e degli altri conflitti che insanguinano il globo. Dobbiamo promuovere e preservare i valori del multilateralismo, nonché i principi della solidarietà e della cooperazione internazionale, fondamento della Carta delle Nazioni Unite e dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e, in definitiva, i pilastri stessi delle Nazioni Unite, pace e sicurezza internazionale, sviluppo e diritti umani”.
In secondo luogo, continua Martina, “è urgente una migliore gestione delle risorse naturali per garantire un uso migliore e più efficiente degli output e degli input disponibili: dobbiamo produrre di più (e meglio), con meno. Meno acqua, un uso più efficiente dei fertilizzanti e ridurre perdite e sprechi alimentari che attualmente potrebbero sfamare ben oltre 1,2 miliardi di persone”.
Il terzo punto è cavalcare la rivoluzione tecnologica. “Scienza e innovazione possono aiutarci a raggiungere nuovi livelli di produttività, qualità, (bio)diversità, efficienza e sostenibilità ambientale nei sistemi agroalimentari. Sono fondamentali per trovare soluzioni alle sfide imposte dai cambiamenti climatici, non solo caldo e siccità, ma anche le inondazioni e i violenti nubifragi che distruggono i raccolti”.
Infine, è necessaria una riflessione sulle fragilità strutturali e di governance dell’attuale sistema. “I diversi shock a cui abbiamo assistito con una incredibile e drammatica concatenazione di eventi negativi (aumento del costo dell’energia, aumento dei prezzi alimentari, pandemia, shock atmosferici, conflitti) hanno rivelato la fragilità del sistema alimentare globale”.
Il tema dunque, non è “se” trasformare il sistema agro-alimentare, ma “come” trasformarlo. E in questo anche i singoli cittadini possono fare qualcosa.
5 azioni individuali
Assumersi la responsabilità di essere in prima persona il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo, per il futuro delle prossime generazioni e del pianeta: proprio sull’importanza dell’impegno individuale dei singoli è intervenuto Carlo Petrini, Fondatore di Slow Food, per perseguire la transizione ecologica. “Questa transizione non durerà qualche anno, probabilmente decine di anni, forse qualche secolo. Si è aperta una nuova fase della storia: quella che abbiamo appena abbandonato è la fase della produzione industriale che è durata tre secoli”, facendo conoscere all’umanità un benessere che non si era mai conosciuto prima, ma seguendo il principio di sfruttamento di tutte le risorse con la falsa credenza che queste siano infinite.
E invece così non è, e proprio durante l’evento Petrini ha lanciato una mobilitazione per coinvolgere e stimolare sempre più cittadini a compiere azioni, nel proprio piccolo, che possano dar vita a un cambiamento fattivo. Petrini invita le persone a prendere coscienza della situazione attuale e mettere in atto concretamente comportamenti in grado di limitare gli impatti ambientali delle proprie scelte quotidiane. “Non possiamo aspettare che il mondo si muova, se non ci muoviamo noi” dice il fondatore di Slow Food, individuando 5 piccole azioni che ciascuno di noi può compiere per avviare un nuovo percorso dall’impatto positivo e lungimirante, come:
- ridurre il consumo di proteine animali;
- consumare meno cibi ultra-processati;
- diminuire lo spreco alimentare;
- ridurre l’uso di imballaggi plastici monouso;
- preferire il cibo locale e stagionale.
“A priori non posso dire quale sarà l’entità del riscontro di questa iniziativa” risponde Petrini alla nostra domanda su cosa si aspetta da questa mobilitazione. “Di fronte all’immobilismo della politica, e agli effetti della crisi climatica che si manifestano con crescente frequenza, penso però sia necessario intraprendere iniziative che provino a stimolare un cambio di rotta. La mobilitazione che mi immagino parte dalla sottoscrizione di un impegno individuale per portare avanti 5 semplici azioni virtuose legate al modo in cui ci alimentiamo. Se queste azioni individuali vengono adottate da una moltitudine di persone, allora potranno fare la differenza e, a quel punto, anche la politica non potrà più far finta di niente”.
Secondo Petrini, quindi, in questo scenario sarà fondamentale rivendicare la centralità del cibo che oggi è al contempo vittima e carnefice della crisi climatica, ma che racchiude in sé un grande potenziale di cambiamento a partire dalle scelte individuali che ognuno di noi può fare nel quotidiano. “Ben vengano dunque progetti come quello del CIRFOOD DISTRICT; oggi c’è un gran bisogno di stringere alleanze e fare fronte comune nella promozione di una vera e duratura sostenibilità alimentare” ha commentato il Fondatore di Slow Food.
Il ruolo della ristorazione collettiva
All’interno di questo contesto, la ristorazione collettiva sottolinea il suo ruolo centrale, mettendo in campo soluzioni utili nel contrasto agli sprechi alimentari, nell’accessibilità a diete sane e bilanciate e, anche, nella promozione dell’educazione alimentare.
Secondo Petrini, “è giunto il tempo di far entrare l’educazione alimentare all’interno delle scuole di tutta Italia come materia di studio obbligatoria. Senza educazione alimentare infatti non siamo in grado di comprendere appieno il vero valore del cibo […]. Auspico che il CIRFOOD DISTRICT sappia diventare un punto di riferimento per tutti gli attori del comparto in cui opera e che li sappia accogliere all’interno dei propri spazi stimolando riflessioni ed elaborando soluzioni che vadano nella direzione di una vera e duratura sostenibilità alimentare”, ha dichiarato il Fondatore di Slow Food, in occasione dell’evento.
Secondo il Vicedirettore della FAO, Martina, “a volte, la ristorazione collettiva sembra ai margini del dibattito pubblico, invece ha una centralità fondamentale nella vita quotidiana di centinaia di milioni di persone” continua il. “Il ruolo della ristorazione collettiva è decisivo, perché è educazione, responsabilità sociale e servizi essenziali. Per cambiare l’attuale situazione serve sperimentare e trovare, con una responsabilità condivisa, la giusta alchimia”.
Su questa tematica è intervenuta anche Chiara Nasi, Presidente CIRFOOD: “La società odierna è in continua evoluzione, tuttavia, sul fronte della salute e del benessere c’è ancora molto da fare. Nutrire le comunità con un cibo di qualità, accessibile e sostenibile, in un’ottica one health e che sia in grado di incrementare la consapevolezza sul valore del cibo in termini di nutrizione, ma anche inclusione, interculturalità, socialità, benessere psicofisico, salvaguardia del pianeta, diventa una priorità per il futuro stesso dell’umanità. Trovare nuovi equilibri, innovazioni capaci di migliorare la produzione e il consumo nel rispetto della terra e della salute delle persone deve essere l’obiettivo di governi, imprese e cittadini per gli anni a venire per garantire democrazia e crescita di prospettiva”. Perché, come aggiunge, “la qualità di vita delle generazioni che verranno e del Pianeta dipende dalla nostra disponibilità a confrontarci e a costruire un domani che sappia ascoltare e dare risposte. Perché il futuro è di chi ha il coraggio di immaginarlo”.