Dal sanguinaccio ai datteri di mare: ecco gli alimenti proibiti dalla legge

cibi vietati

 

“Non mangiare troppa cioccolata, non bere caffè, non toccare il vino”: chi di noi può dimenticare le interdizioni tipiche dell’infanzia, quando alle numerose libertà alimentari si alternavano altrettanti divieti, spesso legati a giuste precauzioni nutrizionali? Tra le principali conquiste dell’età adulta, c’è anche la possibilità di mangiare alcuni dei cibi vietati da piccoli e fare i conti, al massimo, con crescenti sensi di colpa e buoni propositi riparatori.

Eppure, anche da grandi, non è difficile incorrere in veti legati al cibo. Molti sono gli alimenti su cui vige, ad esempio, una prescrizione di tipo religioso: i musulmani devono consumare solo cibi halal ed evitare alcol e carne di maiale, mentre agli ebrei non è consentito mangiare carne a meno che l’animale da cui è ricavata non abbia “l’unghia bipartita, divisa in due da una fessura, e rumini” o, nel caso dei pesci, solo se provvisti di pinne e squame. Al di là del credo di ciascuno di noi, ci sono però cibi vietati a livello nazionale o internazionale, perché ritenuti potenzialmente pericolosi per chi li consuma o perché considerati inammissibili dal buon costume della società. Vediamo allora quali sono gli alimenti proibiti in Italia e quali quelli bocciati dagli altri paesi.

Cibi vietati in Italia: cosa non si può mangiare?

Si mettano l’animo in pace i tradizionalisti e i nostalgici: l’origine antica di certe ricette e il piacere del ricordo lontano che suscitano non bastano a giustificare il danno ambientale o l’azzardo sanitario che alcuni dei loro ingredienti comportano. Di cosa stiamo parlando?

Datteri di mare e novellame

Il Regolamento Europeo n. 1967 del 2006 parla chiaro, e dal 21 dicembre dello stesso anno vieta esplicitamente “la cattura, la detenzione a bordo, il trasbordo, lo sbarco, il magazzinaggio, la vendita e l’esposizione o la messa in vendita del dattero di mare (Lithophaga lithophaga) e del dattero bianco (Pholas dactylus)”. Molluschi bivalve che abitano le coste rocciose del mediterraneo, questi animaletti di mare, dalla forma allungata simile ai cannolicchi, non sono in pericolo di estinzione. Ciò che ne ha determinato il divieto sono proprio i metodi di raccolta applicati dall’uomo che prevedono la completa, e irreversibile, distruzione dell’habitat marino in cui vivono. Per pescare queste specie, infatti, è necessario estrarre gli esemplari dalla tana calcarea in cui si rifugiano a suon di martellate, riducendo quindi in briciole interi fondali su cui, di conseguenza, né nuovi datteri né altri pesci si insedieranno più. Un danno ambientale enorme che, nonostante le leggi internazionali, purtroppo continua sottobanco e per vie illegali e che, né i controlli, né i primi tentativi di coltivazione di datteri in allevamenti con blocchi di cemento riescono ancora a fermare del tutto.

datteri di mare
Pasquale/shutterstock.com

Lo stesso regolamento dà inoltre conto del quantitativo e della taglia minima consentita per la pesca di novellame, ovvero degli esemplari “novelli”, appunto, di diverse specie di pesci (soprattutto acciughe e sardine), di fatto ancora allo stadio post-larvale. Al fine di “proteggere e conservare le risorse acquatiche vive e gli ecosistemi marini e a garantirne uno sfruttamento sostenibile”, l’Unione Europea ha infatti vietato il prelievo di bianchetto di sardina (altro nome con cui viene spesso definito il novellame), a meno che non sia destinato al consumo umano e comunque solo se catturato attraverso sciabiche da natante o da spiaggia, secondo le disposizioni di un piano di gestione nazionale approvato dall’Unione. Nel tempo, sono state concesse alcune deroghe, come quella alla Francia e alla Sicilia con conseguenti – comprensibili – proteste da più fronti, schierati a favore di una politica più riguardosa per le risorse ittiche del Paese. Proprio la Sicilia è stata inoltre lo scenario di una insolita richiesta da parte della Commissaria europea per la pesca Maria Damanaki che, nel 2012, scrisse una lettera ufficiale ai produttori della serie TV “Montalbano” chiedendo che venissero omesse, dal menù del noto commissario, le ricette a base di novellame. E in effetti, tradizione culinaria vuole, che siciliane e toscane siano alcune tra le più famose preparazione a base di pesciolini neonati, come le “cèe” alla toscana: avannotti di pesce cotti in padella con olio o burro, aglio e salvia.

Il “casu marzu”: formaggio con i vermi della Sardegna   

Formaggio simbolo della regione, il “casu marzu”, letteralmente formaggio marcio, è sicuramente anche uno dei prodotti caseari più dibattuti. Inserito nel 2009 nel Guinness dei primati come “formaggio più pericoloso al mondo”, questo particolare pecorino sardo è stato vietato dall’Unione Europea perché viola le norme igienico sanitarie vigenti. La sua commercializzazione è infatti negata per via delle larve vive con cui è prodotto e si consuma. I vermi sono infatti una parte integrante del formaggio, non solo nella fase di preparazione, ma anche in quella di degustazione. Una volta riscaldato e cagliato, il latte di pecora crudo viene riposto in stampi cilindrici, dove rimane per 24 ore in salamoia. È a questo punto che vengono introdotte volontariamente le uova di mosca casearia (piophila casei) che in circa due settimane cominciano a produrre le larve che, cibandosi del formaggio, rendono il suo interno cremoso e saporito. Pungente al palato e all’olfatto, il formaggio è ritenuto potenzialmente pericoloso perché le larve, introdotte nello stomaco umano ancora vive, potrebbero creare disturbi intestinali come vomito e simili. Per preservare questo vanto locale, ancora oggi prodotto in alcune aree del nuorese, la Regione Sardegna lo ha inserito ufficialmente nelle liste dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani (PAT), aggirando così, almeno parzialmente, il divieto dell’UE. Gli allevatori sardi hanno inoltre chiesto agli entomolgi dell’Università di Sassari di ricreare la mosca autrice del tanto amato pecorino in un ambiente controllato, per garantire la completa salubrità del formaggio. Va inoltre ricordato che quello sardo non è certo l’unico formaggio con i vermi della tavola nostrana, che conosce infatti molte versioni locali del casu marzu, come il “formaggio punto” specialità pugliese, il “casu du Quagghiu” della Calabria o il “Saltarello” friulano. Che gli italiani siano stati inconsapevoli precursori delle più recenti norme comunitarie sugli insetti commestibili?

Il sanguinaccio: dolce a base di sangue di maiale

sanguinaccio cioccolato
koss13/shutterstock.com

Norme igieniche e rischi sanitari sono alla base dell’illegalità del sangue di maiale, ingrediente principale del sanguinaccio napoletano la cui vendita al pubblico è vietata in Italia dai primi anni Novanta. Nella ricetta originale, infatti, al cacao e alla cioccolata amara veniva aggiunta una cospicua quantità di sangue di maiale che rendeva questo dolce particolarmente gustoso. Una cremosità che i maliziosi hanno voluto ravvisare anche nella Nutella Ferrero, su cui infatti esiste un ricco patrimonio di improbabili leggende metropolitane: una tra tutti, vorrebbe che al suo interno vi fossero proprio sangue e ossa di animale. Il sanguinaccio che si trova in commercio oggi non è altro che una reinterpretazione della versione autentica, preparato senza sangue di maiale, e servito nel periodo carnevalesco di cui è tipico.

Cervello e porceddu sardo

Scampato il pericolo della mucca pazza, dopo oltre 10 anni di embargo il cervello è stato ufficialmente riabilitato nel 2013 e, insieme a tutta un’altra serie di frattaglie di origine bovina, è tornato in grande stile tra le forchette degli italiani e non solo. Insieme al cervello, il cessato allarme ha riportato in auge ricette come la pajata romana, preparata con intestini di vitello e il risotto alla milanese “di una volta”, quello cioè con midollo di bue, tanto caro a Giuseppe Verdi.

Di qualche mese fa è invece la protesta con al centro il famoso porceddu sardo: la Legge regionale numero 28 dell’agosto 2018, infatti, ha introdotti delle restrizioni, secondo alcuni altamente penalizzanti, sul numero di capi di bestiame consentiti per gli allevamenti familiari. Il tentativo è quello infatti di arginare il pericolo di Peste suina africana (PSA) contro cui la Sardegna sta combattendo da oltre 40 anni. Pur non essendo un cibo vietato, anche il porceddu deve fare i conti con gli attuali standard di sicurezza alimentare.

Animali domestici, mammiferi e uccelli

istrice
Steve Bramall/shutterstock.com

“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”: nel suo libro “Ricette proibite”, Tebaldo Lorini spiega la macabra origine del detto che avrebbe a che fare proprio con la modalità impiegata in passato per abbattere i gatti a fini alimentari. Passato peraltro neanche troppo lontano: sono noti ai più i luoghi comuni che riguardano i tempi di guerra, non ultimo il Secondo conflitto mondiale, e le dicerie, poco lusinghiere, sulla popolazione vicentina. Fatto sta che il gatto, come il cane, per quanto potenzialmente commestibile, non rientra tra le pietanze consentite dalla società italiana, anche se il vuoto normativo non renda esplicito il divieto al suo consumo. Gli amanti de “La prova del cuoco” ricorderanno senz’altro l’espulsione dal programma televisivo dello chef Beppe Bigazzi che qualche anno fa, ospite della trasmissione, sollevò un vero e proprio caso mediatico quando, durante una puntata, si soffermò con dovizia di particolari sui pregi della carne di gatto. Eppure, il felino non è sconosciuto alle cucine di altri Paesi, come ad esempio la Cina e la Corea o, senza voler andare tanto lontano, in alcune zone dell’Italia antica, dove si usava preparare il gatto in “civet”, ovvero marinato con vino rosso ed erbe aromatiche, come fosse un coniglio.

Ancora più sorprendente è il fenomeno di bracconaggio che riguarda specie animali come il delfino o i pettirossi: per i primi, nel 2012 si calcolavano infatti oltre 1.400 denunce per pesca e vendita illecita, soprattutto in Puglia, Lombardia e Campania. Mentre i pettirossi, la cui caccia è vietata, vengono ancora serviti illegalmente in alcune zone del Veneto. D’altra parte, se l’Unione Europea ha ritenuto opportuno divulgare la Direttiva “uccelli selvatici” per regolamentare l’attività venatoria e preservare l’habitat naturale dei determinati volatili, un motivo ci sarà: lasciamo quindi la gru alle costruzioni edili e, tutt’al più, alla bella novella di Boccaccio e al suo ingegnoso Chichibio.

Allo stesso modo istrice, scoiattoli, ghiri e ricci di terra non possono essere considerate specie edibili per l’uomo e devono essere tenute ben lontane dalla pentola, nonostante vecchie tradizioni locali, e deprecabili eccezioni attuali, possano far pensare il contrario.

Alimenti proibiti: Italia e mondo a confronto

foie gras
Visionsi/shutterstock.com

È evidente, anche dagli esempi precedenti, come alcune convenzioni in fatto di alimenti proibiti siano condivise a livello comunitario e come, invece, vi siano deroghe e singolarità circoscritte a determinati territori, in virtù di usanze e patrimoni gastronomici consolidati. Uno di questi casi è rappresentato dal foie gras: il fegato grasso di oche e anatre, vanto della cucina francese, e prelibatezza anche per molti palati italiani. Da noi, la vendita di questo prodotto non è vietata, ma ne è proibita la produzione, che prevede infatti metodi di alimentazione forzata degli animali piuttosto cruenti e altamente discutibili. La cottura delicata e altamente rischiosa del pesce palla, invece, fa sì che questo pesce dalla carne tanto rinomata quanto pericolosa, sia di fatto consentito solamente in Giappone, dove Chef esperti lo preparano, servendolo a caro prezzo.

Urta invece la sensibilità di molti anglosassoni il consumo prevalentemente italiano del coniglio che, considerato al pari di un animale domestico, viene abolito dai ricettari di USA e Nord Europa. Similmente, la carne equina, abbastanza comune nelle nostre zone, è invece vista con riluttanza dai nostri vicini d’Oltralpe che preferiscono cavalcare il nobile quadrupede piuttosto che cucinarlo. Coccodrilli, canguri, balene e simili sono invece per noi animali troppo esotici per poterci preoccupare del loro consumo in Italia: rimangono però sempre validi i principi di tipo etico ed ecologico, soprattutto quando si assiste a tristi episodi di caccia gratuita e ingiustificata.

 

A chi fosse curioso di scoprire di più sulle usanze, singolari, di certi paesi consigliamo di visitare il Museo del cibo disgustoso, tra i Musei del cibo più stravanganti al mondo. A tutti gli altri, invece, chiediamo: quali sono i cibi vietati che vi piacerebbe (ri)assaggiare?

 

Immagine in evidenza: wikipedia.it

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