Classe ’71 Davide Palluda nasce a Canale nella provincia di Cuneo, padre di tre figli e marito di una sola moglie, gestisce l’assestata brigata di otto persone nel suo ristorante All’Enoteca (annesso alla sede dell’Enoteca Regionale del Roero).
In televisione dice che ci andrebbe volentieri ma che fin’ora non l’ha fatto perchè in realtà non riesce a lasciare la cucina, il suo habitat più radicato. “E poi non sono simpatico come Cannavacciuolo, noi piemontesi siamo un tantino più tirati”.
La sua formazione non conta migliaia di chilometri, infatti cresce e impara nella scuola alberghiera di Barolo per poi affinare le sue doti tra Liguria, Spagna, Alsazia e Germania. “I mesi trascorsi nel ristorante tedesco Swheizer Stuben hanno lasciato il segno, da allora la precisione e il rigore sono diventati i miei segni distintivi”. Uno scrupolo evidente nei piatti del bravo Davide Palluda che non ostenta e non gioca mai d’istinto, è un piemontese cauto e riflessivo nella parlata e nella cucina.
È facile riscontrare la personalità dello chef nei piatti proposti che risultano comprensibili e decisamente delicati. Da uno degli otto tavoli della sobria sala piemontese abbiamo iniziato la nostra esplorazione con la creativa finta melanzana alla pizzaiola dall’involucro di gelatina vegetale, le canocchie cotte al vapore servite su crema di patate e taccole, la crema di piselli con asparagi e Morchelle (funghi volgarmente chiamati spugnole) e il favoloso panino di pane arabo con foie gras, rucola e fragola.
Una partenza vivace che dimostra da subito la capacità (e la volontà) di pensare una cucina che non sia solo la classica piemontese (per i conservatori in carta è comunque presente il menù Dasempreincarta con i piatti tradizionali del territorio, incomparabili sono gli Agnolotti al sugo di arrosto) ma una cucina di spunto e ispirazione.
Viene servito il Riso in “nero Piemonte”, tartufo, carnaroli bianco, brodo di carbone e verdure bruciate, salsa di asparago bianco, vino e panna. Un piatto ben pensato e ben realizzato in cui Palluda riesce egregiamente a far spiccare ogni ingrediente impiegato.
Con l’agnello sambucano e carciofo d’Albenga torniamo in Piemonte ma con merito, non solo perchè il piatto risulta connubio di semplicità e territorialità ma perchè questa pecora dell’Alta Valle Stura (presidio Slow Food) è stata interpretata dallo chef con essenzialità, esaltando le caratteristiche della carne: compatta, sapida, saporita.
Si giunge alla chiusura con il predessert yougurt fragola e liquirizia che fa strada alla ridente mela ghiacciata con frutto della passione, ananas e pistacchio.
Valore aggiunto la carta dei vini che conta circa 400 etichette ed è in grado di riassumere tutto il meglio dell’enologia del Roero e del Piemonte, concentrandosi anche sul resto d’Italia e del mondo.
Un applauso a questo giovane chef (ormai non più giovanissimo) e alla sua cucina valida e reale che ha meritato senza alcun dubbio la prima stella michelin nel 2000. Noi, come molti di voi, però, ci chiediamo quale perturbazione impedisca alla seconda stella di cadere nuovamente sul firmamento di Canale…