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Castelmagno DOP: il re dei formaggi italiani

 

Vi avevamo già parlato della ricchezza di sapori, storia e tradizioni che possiamo trovare dentro un solo prodotto, come nel caso del Pecorino sardo DOP. Adesso però, in questo viaggio alla scoperta delle eccellenze nostrane, ci spostiamo più a nord, tra i verdi pascoli piemontesi… Perciò, se vi dico risotti, gnocchi, polenta o flan, a cosa pensate? Oltre a farvi venire l’acquolina in bocca, queste ricette diversissime tra loro hanno però un ingrediente che le lega, che dà quella marcia in più e che ce le fa tanto amare. Ma non vi viene in mente niente? Be’, la risposta è semplice: è il Castelmagno DOP, un formaggio usatissimo nella cucina piemontese in un gioco sempre nuovo di consistenze e che si presta perfettamente per realizzare meravigliose e caldissime fondute… Chi vuole scoprire i segreti di questa delizia?

Il Castelmagno: storia e origini 

shutterstock.com/francesco de marco

A quanto pare, questo formaggio deve il suo nome all’omonimo paese dell’alta Valle Grana in Provincia di Cuneo, famoso per il santuario di San Magno edificato in memoria di un soldato romano martirizzato in quelle zone. Quindi, per iniziare questo viaggio alla scoperta del Castelmagno, dobbiamo tornare indietro nel tempo, perché la sua origine è di poco posteriore (se non contemporanea) a quella del Gorgonzola DOP, già conosciuto nel 1100. A dimostrarlo, sarebbe una testimonianza storica risalente al 1227: si tratta di una sentenza arbitrale riguardante una tassa annuale per l’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione tra i comuni di Castelmagno e Celle di Macra, da versare al Marchese di Saluzzo proprio in… forme di Castelmagno! 

Ma è solo qualche secolo è più tardi, nell’Ottocento, che il prestigio di questo alimento arriva alle stelle e conquista tutta Europa: questo formaggio diventa il “re” dei formaggi italiani, tanto che i ristoranti più celebri, da Londra a Parigi, lo inseriscono nei loro menù. A un periodo d’oro segue sempre un altro di declino: a causa delle due Guerre Mondiali e al successivo spopolamento della montagna intorno agli anni ‘60 del Novecento, questo prodotto unico ha seriamente rischiato di scomparire. 

Caratteristiche e disciplinare del Castelmagno DOP

shutterstock.com/Paolo Bernadotti Studio

Se fosse scomparso, però, non saremmo qui a parlarne: negli anni ‘80, tutta la filiera produttiva del formaggio riprende e conosce un nuovo e luminoso periodo fortunato, al punto che il prodotto ottiene nel 1982 il riconoscimento DOC e, nel ‘96, la DOP!

Con questo marchio prestigioso, il Consorzio per la tutela del formaggio Castelmagno si occupa di accertare che tutti i requisiti previsti dal disciplinare di produzione vengano rispettati. Ma quali sono le caratteristiche specifiche (e speciali) di questo prodotto?

Una caratteristica fondamentale di questo formaggio è la presenza di queste venature blu-verdi nelle forme più stagionate: sono dovute allo sviluppo di muffe speciali che contraddistinguono i formaggi chiamati “erborinati” o a “pasta blu”. L’“erborinatura” (termine che deriva dal vocabolo dialettale lombardo erborin e indica il prezzemolo) è una tecnica di lavorazione casearia che consente lo sviluppo di queste muffe e, nel caso del Castelmagno, questo processo avviene naturalmente con la stagionatura.

Il metodo di produzione

shutterstock.com/francesco de marco

Essendo una DOP, il disciplinare di produzione è altrettanto rigido per quanto riguarda il metodo di produzione, che deve essere rispettato in ogni suo passaggio. Come si produce il Castelmagno?

  1. Partiamo dal latte: si utilizza il latte crudo di vacca – eventualmente addizionato con latte di pecora e capra in percentuale da un minimo del 5% a un massimo del 20% – ottenuto da un massimo di quattro mungiture consecutive. Il bestiame bovino deve essereri riconducibile a questi tipi genetici: Barà Pustertaler, Bruna, Pezzata Rossa d’Oropa, Pezzata Rossa, Montbeliard, Grigio Alpina, Piemontese, Valdostana e loro incroci.
  2. A questo punto, la coagulazione si effettua sul latte crudo, che viene riscaldato in caldaie di acciaio e portato fino a 35-38 °C utilizzando caglio liquido. 
  3. La cagliata subisce una rottura e viene ridotta alla dimensione di un chicco di mais; poi si lascia riposare sotto siero per un tempo che varia dai 5 ai 30 minuti e, alla fine, la si estrae, avendo cura di metterla sopra un telo (detto “risola”) dove può scolare per almeno 18 ore.
  4. Successivamente, si trasferisce la cagliata in apposite vasche di acciaio o di plastica e la si immerge nel siero delle lavorazioni precedenti: la si lascia lì per circa 2-4 giorni per completare la fermentazione.
  5. Passato questo tempo, si rompe la cagliata e la si trita finemente, aggiungendo sale grosso.
  6. Il trito viene poi posto in “fascelle” di formatura in legno o acciaio, dove viene sottoposto a una pressatura manuale o meccanica per almeno un giorno, per facilitare lo spurgo.
  7. A questo punto, la forma è lasciata maturare in un luogo fresco e asciutto, adagiata sopra scaffali di legno per almeno 60 giorni. Possono subire un’ulteriore salatura a secco, e vengono periodicamente lavate e rivoltate.
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Zona di produzione ed etichettatura

Il disciplinare indica anche in maniera precisa la zona di produzione di questa DOP dal sapore unico, individuando alcuni territori della provincia di Cuneo, ovvero Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, da cui dovrà provenire anche il latte destinato alla trasformazione. E a proposito del territorio, è necessario operare un’altra distinzione importante: perché il Castelmagno può presentare due differenti etichettature proprio a seconda dell’altitudine dei pascoli dove si alimentano i bovini: in altre parole, se la produzione, la trasformazione e la maturazione avvengono a un’altitudine compresa tra i 650 e i 1000 m – quindi, in zone classificate come “montane” – si può fregiare della menzione aggiuntiva “Prodotto della Montagna”; invece, se il prodotto è sempre ottenuto e confezionato a un’altitudine superiore ai 1000 m e per un periodo compreso tra maggio e ottobre, allora riporta la menzione “di Alpeggio”. Ma come fare a distinguerli? Tranquilli, perché ci viene in aiuto l’etichetta: blu nel caso del “Castelmagno Prodotto della montagna” e verde nel caso del “Castelmagno di Alpeggio”. 

Il Castelmagno: come abbinarlo in cucina?

Come per il Montasio DOP, anche per questo formaggio c’è solo da scegliere quale ricetta provare per prima tra le mille possibili! Protagonista indiscusso della cucina piemontese, il Castelmagno è l’amalgama perfetto per gnocchi o risotti, magari accompagnato da un bel Barbaresco o Nebbiolo, e il tocco di classe sulla tartare di Fassona. Oppure è ottimo gustato in purezza o con una colata di miele dorato. E che ne dite di una sfiziosissima crespella al radicchio, noci e fonduta di Castelmagno o di un tortino di patate? Infine, i celiaci saranno contenti di sapere che non contiene glutine! 

 

Perciò, che altro dire… noi de Il Giornale del Cibo siamo pronti a provarle tutte e a scegliere quella che ci piace di più! E voi, quale tra questi abbinamenti con il Castelmagno DOP preferite? 

 

Fonti:

formaggio.it
qualigeo.eu
consorziocastelmagnodop.it

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