Per secoli è stato un vero e proprio “albero del pane”. Il castagno ha letteralmente salvato dalla fame i nostri antenati, specialmente nei periodi di guerra e carestia, specialmente quelli che vivevano nelle zone collinari e montane. Frutti eccezionali, le castagne sono incredibilmente colmi di virtù: sapore gradevolissimo, grande conservabilità, e soprattutto la possibilità di ricavare una farina. In più, un’incredibile versatilità gastronomica. Con la farina si facevano (e si fanno) polente ma veniva (e viene) anche usata per sostituire o tagliare la farina di frumento. È la “farina avvantaggiata” con cui si preparano le piccagge matte (o avvantaggiate), le tagliatelle liguri da condire con il pesto o con il tocco di funghi (ragù di funghi). Ma le risorse della castagna sono molteplici. Sempre con la farina si fanno dolci come il castagnaccio, bollite diventano protagoniste di zuppe e deliziosi antipasti. Le avete mai assaggiate ripassate al forno dopo che sono state lessate e avvolte in un velo sottilissimo di lardo? Una vera goduria! Ridotte in purè, entrano nelle ricette di altri dessert fino a trionfare nel Mont-Blanc, fatto con imarroni, i cugini domestici della castagna. E poi, last but not least, le caldarroste! Che autunno è senza di loro?
Martino Ragusa
tutto sulla castagna
di Silvia Salomoni
Il castagno (Castanea sativa) è un albero da frutto delle zone montuose e temperate, coltivato fra i 300 e i 1200 metri di altitudine. Che sia spontaneo o coltivato, produce i frutti simbolo dell’autunno: le castagne. Anzi, per essere precisi se è selvatico produce le castagne, se è coltivato i marroni. Non è sempre facile distinguere le due varietà, diciamo che le castagne sono più piccole, più scure, schiacciate da un lato e con la pellicola interna che aderisce moltissimo alla polpa, mentre i marroni sono più grossi, a forma di cuore, di un bel marrone striato e con la polpa che si stacca facilmente dalla pellicola. La differenza principale è che i marroni sono più dolci. Mentre le caratteristiche della maturazione sono comuni: i frutti sono contenuti in un astuccio spinoso (il riccio), che si secca e si apre tra ottobre e novembre, quando si arriva a maturazione. Solo che in un riccio ci stanno tre castagne, ma un solo marrone. Rispetto alle zone di provenienza, l’Italia ha la maggiore superficie di castagneti in Europa (circa 800.000 ettari), concentrata soprattutto sugli Appenini. Esistono almeno trecento varietà diverse di castagne, una menzione speciale per quella del Mugello, certificataIGP.
in cucina
Le castagne si sono rivelate nella storia uno dei cibi fondamentali delle classi povere, sotto forma di minestre, pane e polenta; oggi, invece, si tratta di un frutto costoso, principalmente per i costi di raccolta. In cucina scegliete sempre castagne sode, con il guscio che non cede se premuto con le dita. Si consumano fresche e cotte, secche, affumicate, o sottoforma di farina. Le castagne fresche si possono fare arrostite o bollite, brasate o in puré, ideali come accompagnamento alla cacciagione o come elemento di raffinati ripieni. Quelle secche vanno sciacquate e messe a rinvenire per una decina di ore in acqua tiepida prima di essere utilizzate, si possono poi cuocere nel latte, con lo zucchero e il Cognac, oppure impiegate nelle minestre. La farina si trova ancora in alcuni negozi, molto usata in pasticceria: con aggiunta di volta in volta in dosi diverse di uova, latte, zucchero e semi di anice è ideale per fare frittelle, focaccine, biscotti, tortelli e tradizionali preparazioni regionali, l’esempio più famoso è il castagnaccio toscano. Per le preparazioni di alta pasticceria, sono i marroni a farla da padroni.
le caldarroste
Le castagne arrostite nel fuoco meritano alcune considerazioni a parte. Soprattutto perché tradizionalmente un po’ in tutti i luoghi montani italiani in cui cresce il castagno, attorno alla padella delle caldarroste si riunivano famiglie, amici e paesi interi. Un momento di aggregazione sociale importante, innaffiato di solito dal vino rosso. Un’abitudine tipica dell’Appennino Tosco Emiliano, esportata oggi nei centri delle grandi città, dove gli ambulanti nel periodo autunnale e invernale arrostiscono castagne sotto i portici, o agli angoli delle strade di passaggio.
Per fare le caldarroste, si usano apposite padelle forate, dal manico lungo. Dopo la raccolta, le castagne vanno fatte asciugare per qualche giorno e poi “castrate”, cioè incise longitudinalmente sul lato convesso per evitare che esplodano con il calore. Si adagiano poi sulla padella, che va sostenuta sul fuoco vivo. Durante la cottura le castagne vanno girate regolarmente, altrimenti bruciano. Sono pronte in una mezzora circa, a seconda della loro dimensione e anche dell’intensità del fuoco, dopodiché basta sbucciarle facendo attenzione al calore. Per aumentarne il sapore si possono anche irrorare di vino rosso ai 2/3 della cottura.
Qualche nome dialettale: la caldarrosta è detta Frugiata (montagna Pistoiese e Garfagnana), Bruciata (province di Firenze e Siena), Biröll o Biroeull –(provincia di Como e Milano), Mundìne (Val Canonica), o Ballotta (provincia di Genova).