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Le carni esotiche tornano di moda? Ecco le più “cool”

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Le carni esotiche, che possono suscitare diffidenza o interesse, hanno vissuto un boom legato alle mode alimentari, per poi essere quasi dimenticate e da poco riscoperte, anche se prevalentemente per un consumo ricercato e di nicchia. Come abbiamo visto occupandoci di gentrificazione del cibo, infatti, le tendenze hanno un ruolo determinante anche in cucina, e possono dettare il rapido successo – come il repentino tramonto – di prodotti e stili gastronomici. Le cause della diffusione dei prodotti da allevamento, però, sono molteplici, come vedremo. Ma quali sono le carni di animali esotici che hanno avuto, o hanno ancora, valore commerciale per la tavola? Per quali proprietà si distinguono e come si possono preparare? Con questo approfondimento speciale cercheremo di saperne di più.

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Carni esotiche: boom, oblio e riscoperta

Nella seconda metà degli anni Novanta, sull’onda espansiva della globalizzazione, anche il mercato alimentare ha vissuto una notevole estensione della disponibilità di materie prime e ingredienti. La progressiva internazionalizzazione dei gusti, soprattutto nel mondo occidentale, è stata sostenuta e stimolata da un’offerta di prodotti dai cinque continenti. La ristorazione, in questo senso, ha avuto un ruolo di primo piano, indirizzando questo processo, sia direttamente, nel tentativo di proporre nuovi piatti alla clientela, sia indirettamente, con la diffusione dei trend globali legati alla gastronomia. In questo quadro, le carni esotiche hanno rappresentato una parte importante del mercato: la richiesta di struzzo, come vedremo, ha addirittura spinto molti imprenditori ad avviare nuovi allevamenti dedicati, o a convertire quelli esistenti.

Come tutte le mode, però, anche quelle alimentari possono virare in tempi piuttosto brevi, cambiando prospettive che sembravano certe. A grandi linee, questo è successo a partire dalla fine degli anni Duemila, quando a prendere il sopravvento fu il cibo a chilometro zero e il recupero delle tradizioni, una tendenza che ha ristretto lo spazio commerciale per i prodotti provenienti dall’altra parte del mondo. Tuttavia, le carni esotiche hanno mantenuto una fetta di mercato e, inoltre, recentemente sembra che l’interesse nei loro confronti stia nuovamente risalendo, sia per motivi salutistici che per il piacere del palato. La vicenda della carne di struzzo, e dell’indotto economico a essa legato, è utile per comprendere meglio l’evoluzione che ha interessato questi prodotti.

Allevamento degli struzzi: un caso emblematico

Struzzo
Bildagentur Zoonar GmbH/shutterstock.com

Tra le carni esotiche, quella di struzzo è probabilmente la più rappresentativa, in particolare se si pensa all’andamento altalenante che l’ha caratterizzata a livello commerciale.

Erbivoro e di origine africana, il più grande uccello vivente venne addomesticato dagli Egizi e dai Romani, anche se l’allevamento vero e proprio fu avviato in Sudafrica nell’Ottocento, principalmente per le piume, ricercate per l’abbigliamento di lusso e a scopo ornamentale. La carne, inizialmente, era considerata un prodotto secondario, ma dagli anni Settanta il suo consumo cominciò a farsi strada fuori dai confini africani. Le uova, del peso di circa 1 chilo (uno equivale a circa 24 di gallina), vengono impiegate prevalentemente per la riproduzione, mentre la pelle può essere sfruttata per realizzare borse, scarpe e cinture.

In totale, circa il 65% della massa dell’animale ha valore economico, con un’incidenza considerevole di collo, zampe, pelle e interiora. Come avviene tuttora, gli animali erano macellati a circa 12 mesi, raggiunto il peso di 110-120 chili, prima della maturità sessuale, che si compie intorno ai 16-18 mesi. L’allevamento si diffuse in tutta l’Africa australe – Namibia, Botswana e Zimbabwe, soprattutto per la vendita di animali da riproduzione – ma anche Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile, Cina e Israele entrarono in questo mercato.

Un piccolo boom: lo struzzo in Italia

Gli struzzi arrivarono Italia e in alcuni Stati europei – Francia, Spagna, Germania, Belgio e Regno Unito – a partire dai primi anni Novanta, con l’importazione di riproduttori e di uova, allora molto costosi. La macellazione nel nostro Paese è consentita dal 1999, ma da anni prima è attiva la vendita di carne e derivati dall’estero, sull’onda di una forte crescita della domanda. In quegli anni, infatti, questa novità alimentare visse un piccolo boom, quando si pensava che si potesse trattare di un vero e proprio cibo del futuro.

Nel 2007, l’Italia era il quarto produttore al mondo di carne di struzzo, con 1.425 allevamenti e circa 40mila capi, soprattutto incroci tra diverse razze africane, con l’Emilia-Romagna a detenere il primato in ambito nazionale, mentre in Sardegna era presente il più grande allevamento d’Europa. Gran parte di queste attività, però, si caratterizzava per le piccole dimensioni e la conduzione artigianale, se non amatoriale.

La difficoltà dell’allevamento e il declino della carne di struzzo

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Soprattutto per le micro aziende, crescere i grandi uccelli si rivelò complicato: non di rado si verificava un’elevata mortalità dei piccoli, e gestire le uova era complesso. Pur resistendo al freddo e alle escursioni termiche, inoltre, lo struzzo necessita di allevamento estensivo su grandi spazi, e mal tollera i climi umidi. La bassa resa in carne – solo 35 chilogrammi (10 di filetto) su un esemplare di 110-120 – ha rappresentato un altro ostacolo significativo per la diffusione della zootecnia a scopo alimentare.

Nel periodo caratterizzato dall’ascesa della domanda, alcune associazioni di produttori provarono a inserirsi nei canali della grande distribuzione, e le porzioni confezionate iniziarono a comparire nei supermercati. La dislocazione territoriale degli allevamenti nazionali, però, non ha facilitato questa manovra finalizzata ad aggregare l’offerta, per buona parte coperta dalle importazioni. Perdipiù, crescere questi animali divenne sempre meno vantaggioso, perché il business iniziale, dovuto al mercato degli esemplari da riproduzione, andò scemando, quando la loro diffusione aumentò. L’allevamento mirato unicamente alla produzione di carne da macello, infatti, richiede un alto numero di capi (del valore singolo molto inferiore rispetto ai riproduttori), spazi molto estesi e grandi investimenti per essere redditizio, condizioni che di fatto escludono le piccole attività.

Sul finire degli anni Duemila, la domanda iniziò a calare, anche a causa di una sorta di rovesciamento delle mode alimentari. Il favore per i cibi esotici e le importazioni globali, in voga alla fine del secolo scorso, ma anche lo stesso consumo di carne, lasciarono terreno alla tendenza tuttora dominante, che premia le produzioni locali, le tradizioni della cucina povera e un’alimentazione dal ridotto impatto ecologico. Il caso dei grani antichi, in tal senso, è significativo.
Questo passaggio sancì un ulteriore colpo per il mercato dello struzzo, che tuttavia non è stato affatto dimenticato dalla gastronomia, come vedremo in seguito. Dopo questa fase di contrazione, oggi i principali produttori di carne di struzzo restano essenzialmente il Sudafrica e Israele.

Carni esotiche: quali sono?

Anche se hanno vissuto una fase di parziale oblio, le carni esotiche continuano ad avere mercato. Il panorama gastronomico contemporaneo, infatti, pur essendo caratterizzato da tendenze dominanti, si dimostra molto eterogeneo, con differenze notevoli su base territoriale e sociale: bio e chilometro zero, ma anche fast food, sushi e cucine etniche dal mondo. Nonostante la frenata degli ultimi anni, la globalizzazione continua a riverberarsi nella nostra vita quotidiana, e l’alimentazione fa parte delle sfere più interessate dal fenomeno. La ristorazione, in particolare, non ha certo perso la voglia di stupire e attirare la clientela con proposte insolite, uno spazio perfetto per le carni esotiche. Alcune sono già diffuse da tempo, mentre altre si possono ancora definire novità sul trampolino di lancio: ecco quali sono e per cosa si distinguono.

Struzzo

Diversamente rispetto agli uccelli che conosciamo, il già citato struzzo – il meno esotico tra gli animali che citeremo, data la diffusione raggiunta – ha carne rossa, per via della compattezza delle fibre muscolari e dell’alto tasso di mioglobina. Proveniente soprattutto dalla muscolatura delle cosce, è ricca di glicogeno, come quella equina, alla quale in parte somiglia anche nel gusto, delicato e “dolce”.

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Il profilo nutrizionale è davvero eccellente, per 100 grammi:

A spiccare è il basso contenuto calorico, con pochissimi grassi, peraltro prevalentemente insaturi, oltre a un’elevata percentuale di omega 3, pari a 8-9 volte quella del manzo e 70-80 volte quella delle carni bianche più popolari. Il colesterolo, invece, è meno della metà di quello del manzo. Buono, inoltre, è l’apporto di vitamina C, fosforo, ferro, potassio, calcio e vitamina B1 e B2. Notevole, infine, il contenuto di carnitina e creatina, sostanze energizzanti utilizzate anche in ambito di integrazione alimentare sportiva. Sul piano nutrizionale, in sostanza, lo struzzo unisce e supera i pregi delle carni bianche e di quelle rosse.

La carne fresca si presta soprattutto per le cotture veloci, che ne esaltano la morbidezza e le proprietà citate, ma la coscia è idonea anche per realizzare carpaccio e salumi saporiti e particolarmente magri (bresaola, prosciutti, speck e salami). In base al taglio, i prezzi possono variare da 15-20 euro al chilo di macinati e hamburger, fino ai 35 per il filetto. Attualmente, la si può reperire soprattutto nelle macellerie specializzate, nei ristoranti e presso i produttori.

Canguro

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Dopo lo struzzo, quella dell’animale simbolo dell’Australia è probabilmente la carne esotica più nota a livello internazionale, apprezzata da sempre dagli aborigeni australiani e conosciuta da diversi anni per il suo valore gastronomico e le proprietà nutrizionali. Quasi tutta l’importazione proviene da allevamenti estensivi del Nord e Nord-Est australiano, mentre in Italia dal 1992 è vietato crescere canguri e wallaby, perché considerati pericolosi. Nei luoghi d’origine è largamente praticata la caccia a questi marsupiali, dal temperamento tendenzialmente aggressivo, la cui popolazione è cresciuta fino a danneggiare le coltivazioni e gli ecosistemi. I piani di abbattimento selettivo avviati negli ultimi anni, tuttavia, sono stati duramente contestati dagli ambientalisti.

Ricca di proteine, omega 3 e CLA e povera di grassi saturi, la carne di canguro apporta anche elevate dosi di ferro, zinco e vitamine del gruppo B. Il gusto ricco, che ricorda quello della selvaggina, si presta alle marinature, come alle cotture alla griglia e agli stufati. La sua digeribilità la rende adatta a tutti, mentre il prezzo, indicativamente, si attesta intorno ai 20-25 euro al chilo; anche la pelle ha valore commerciale.

Bufalo

Grazie alla storica presenza di allevamenti destinati alla produzione di latte per mozzarelle, questo animale da tempo è presente nel Sud Italia. La carne, tenera, succosa e piuttosto magra, in genere ha un colore rosato, dovuto soprattutto alla giovane età di macellazione. Versatile nell’utilizzo, trova però nelle cotture semplici e veloci una soluzione ideale: un esempio sono gli spiedini. I capi, che amano il contatto frequente con l’acqua, in Italia vengono allevati in modo tradizionale, mentre il prezzo della carne, facilmente reperibile specialmente in Campania, in genere è di circa 15-20 euro al chilo.

Bisonte

ARSTI/shutterstock.com

La carne di questo animale, scampato all’estinzione nell’Ottocento, oggi è tra le più in voga tra quelle che citeremo, sempre parlando di cucina di alta gamma. Assai pregiata in senso gastronomico, vanta anche un ottimo contenuto nutrizionale, dal quale spiccano le proteine (+40% rispetto al manzo), il ferro e gli omega 3, come la bassa percentuale di grassi. Non a caso, talvolta viene definito “salmone delle praterie”, avendo un profilo abbastanza simile a quello del pesce nordico. Allevati all’aperto – negli Stati Uniti, in Canada ma anche in Italia – e nutriti in modo naturale, i bisonti vengono macellati dopo 20-30 mesi di vita, raggiunto il peso di circa 6 quintali. Questa carne, tenera e dal gusto deciso, è perfetta per le cotture alla brace e al forno. I prezzi, però, sono conseguenti alla sua esclusività: dai 60 ai 120 euro al chilo.

Cammello

Anche la carne di cammello gode di un’ottima reputazione, ed è sempre più considerata sulla scena della ristorazione, pur essendo stata “scoperta” in tempi relativamente recenti a livello internazionale. Molta di quella commercializzata proviene da allevamenti australiani, dove i cammelli asiatici e i dromedari africani sono stati introdotti nell’Ottocento, anche se la produzione di carne è cresciuta sensibilmente solo negli anni Ottanta del secolo scorso. In Kazakistan, inoltre, le due specie vengono ibridate – generando i cosiddetti cammelli da una gobba e mezza – e sfruttate per la produzione di latte.

Povera di grassi e colesterolo, questa carne contiene elevate percentuali di ferro, calcio, fosforo e vitamine del gruppo B. Adatta alle grigliature, viene proposta anche in forma di hamburger, ma per ora non è facile trovarla in vendita.

Renna

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Tipica del Nord della Scandinavia, la carne è piuttosto popolare in quella zona dell’Europa e si distingue per il gusto deciso e caratteristico. Allevati soprattutto in Finlandia – ma piccole realtà sono presenti anche in Val d’Aosta – i capi crescono in mandrie in semilibertà, nutrendosi al pascolo, aspetto determinante per il gusto finale dei prodotti. Il governo finlandese fissa periodicamente il numero massimo di esemplari da abbattere, in seguito la carne viene porzionata, surgelata e confezionata sottovuoto, per essere esportata nel mondo. Tenera, succosa e compatta, la carne è ricca di nutrienti ma povera di grassi. I tagli e le lavorazioni in commercio sono molti, compresi i salumi, ideali per l’affumicatura. Relativamente facili da trovare, anche via Internet, questi prodotti possono costare anche più di 40-50 euro al chilo.

Alce

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Altrettanto caratteristico della cucina nordica, questo grande cervide si alleva allo stato brado e si caccia soprattutto in Canada, Stati Uniti e Scandinavia, dove si macellano esemplari di almeno 4 quintali. Il gusto della carne, forte, persistente, ma non sgarbato, si sposa bene con le salse dolci, che ne bilanciano l’aromaticità. Ricca di proteine e minerali, come quella di renna è povera di grassi. Di solito si commercializzano soprattutto la coscia e il filetto, da cuocere a lungo e a basse temperature, ma anche i prosciutti e la carne essiccata, tipica del Nord America. I prezzi sono variabili e possono raggiungere gli 80-90 euro al chilo, per i tagli e le lavorazioni di maggior pregio.

Zebra

Tra le carni esotiche maggiormente diffuse, quella di zebra non solo è la più insolita, ma anche quella che negli ultimi tempi ha riscosso più gradimento e interesse. Originari dell’Africa meridionale e orientale, gli esemplari della specie Burchell vengono selezionati, cresciuti allo stato brado in spazi controllati e cacciati durante alcuni periodi dell’anno, stabiliti dalle autorità dei Paesi africani, anche considerando il loro costante aumento in natura. I tagli – specialmente lombata e filetto, i più richiesti – vengono poi congelati, confezionati sottovuoto, etichettati ed esportati globalmente.

Di questa carne si apprezza la morbidezza e il gusto delicato ma ben marcato, che viene definito come una sorta di mix tra il cavallo e il cinghiale. Considerata tra le più magre e sane al mondo, dal profilo nutrizionale spicca la bassissima percentuale di grassi, il contenuto di zinco e omega 3 e la quota proteica particolarmente elevata (circa 35 grammi per etto).

Per esaltarne le caratteristiche, sono indicate le cotture alla griglia e gli abbinamenti con salse speziate, ma la zebra può essere proposta anche per brasati, stufati e spezzatini. Assai pregiata e ricercata per la cucina di alta gamma, può costare intorno ai 70 euro al chilo.

Altre carni esotiche

Oltre a quelle appena riportate, ci sono altre carni esotiche dal notevole valore commerciale e gastronomico. L’alpaca, simile al lama e popolare nell’America del Sud, ha una carne saporita e molto rossa, tipicamente presente nell’asado cileno e peruviano.

La sapidità dell’antilope, magrissima, tenera, compatta e dal gusto di selvaggina, permette di gustarla anche senza sale o salse. Il profilo nutrizionale è simile a quello dell’alce, mentre il gusto è bilanciato da una dolcezza molto apprezzata. Delle numerose specie esistenti, quelle più adatte all’allevamento sono la Blesbok, sudafricana, e la Nilgai, originaria dell’India e introdotta nel Texas nel secolo scorso.

La carne rossa e succulenta dello gnu, ungulato diffusissimo nelle praterie dell’Africa meridionale, non piace solo a leoni e coccodrilli. Magra e ricca di ferro, viene macellata e venduta una volta all’anno, in seguito ad abbattimenti controllati, ma negli Stati Uniti è praticato anche l’allevamento. Questo prodotto, raro ed esclusivo, ha un prezzo simile o superiore a quello della zebra.

Come abbiamo visto nel nostro approfondimento sull’allevamento estensivo, lo zebù indiano è servito per selezionare la razza Chanchim, allevata in Brasile e adatte a vivere nei climi tropicali. Più saporita di quella di manzo, anche la carne della razza pura è commercializzata e ben valutata, adatta per grigliature, crudità e cotture prolungate.

Anche lo yak, bovino tibetano dal pelo lungo allevato anche sulle Alpi italiane, ha una carne gustosa, nutriente e leggera, consumata da sempre dalle popolazioni himalayane. Simile al cinghiale ma ancor più rustico, il facocero si trova facilmente negli Stati dell’Africa australe, dove si sposa bene con le salse speziate e le marinature.

Napassadol Chamsai/shutterstock.com

Molto caratteristica è la carne bianca di caimano, che nei tagli del dorso ricorda quella di pollo e sul ventre è più simile al pesce. Magra e dolce, si presta per le fritture e le cotture alla brace, ma anche per gli hamburger, le conserve in barattolo e gli stufati.

Il pesce palla, considerato una leccornia in Giappone, prevede una lunga preparazione, perché prima della cottura deve essere privato del veleno, potenzialmente letale. Molto caro e difficile da reperire, è considerato quasi esclusivamente per la ristorazione professionale di alto livello.

Le carni esotiche avranno un futuro?

Come abbiamo visto, le carni esotiche menzionate si distinguono per il loro pregio gastronomico e nutrizionale, che ha certamente contribuito a farle emergere nel mercato del food. Per sancire la definitiva affermazione su scala globale, però, oltre alla variabile delle mode alimentari, è decisiva la facilità e la replicabilità dell’allevamento. Questo aspetto, infatti, per diverse specie – soprattutto quelle dall’indole meno addomesticabile – rappresenta un notevole freno alla diffusione, talvolta confinata alle sole zone di origine. Per certi versi, però, contribuisce anche a renderle affascinanti e a fregiarle di un’aura di reale esoticità, in quanto legate alla natura selvaggia e strutturalmente immuni alle logiche industriali degli allevamenti intensivi. Si tratta di dettagli non trascurabili, specialmente per una clientela esigente e alla ricerca di qualcosa di effettivamente diverso dal solito.

Qualora si verificasse una crescita consistente della domanda, tuttavia, il confezionamento e le spedizioni internazionali potrebbero aiutare a superare il vincolo dettato dalle distanze e dall’isolamento dei luoghi di produzione. Il tema della richiesta da parte dei consumatori è il punto di partenza dal quale tutta la catena della commercializzazione non può prescindere, e che a sua volta è condizionato dalle abitudini. Quando si sconta una diffidenza di carattere culturale, in particolare parlando di alimentazione – come abbiamo visto occupandoci di cibi strani nel mondo – in genere il processo di “inclusione” è lento, ma non si devono escludere le eccezioni. In futuro, con buona probabilità, mangeremo anche cibi diversi da quelli che conosciamo oggi.

L’economicità complessiva, infine, pesa in modo determinante, sia dal punto di vista di chi produce e vende, sia dal lato di chi acquista. Come abbiamo riportato, alcune carni esotiche sono già relativamente diffuse per via di un prezzo tutto sommato accessibile, come ad esempio il canguro, e in futuro potrebbero aumentare la loro popolarità internazionale. Altre, come il bisonte e il manzo kobe, sono costose ed esclusive, destinate soprattutto ad occasioni speciali o a una clientela più facoltosa, e, considerando le loro peculiarità, tali resteranno. La realtà delle carni esotiche, quindi, va distinta in base alle singole casistiche.

Anche se fare previsioni non è semplice, possiamo limitarci considerare la situazione attuale di questo particolare mercato, che continua a occupare un angolo ristretto ma rilevante, e potenzialmente in crescita.

 

Avete mai mangiato carni esotiche o sareste pronti a provarle?

 

Fonti:
Rivista di Agraria
Eurocarni

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