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Carne e deforestazione: quanto incide l’allevamento bovino sulla foresta amazzonica?

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Il legame tra carne e deforestazione è una conseguenza diretta della crescente richiesta di materia prima a basso prezzo da parte dell’industria alimentare, che spinge a ridurre sempre più i costi all’origine, a spese dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. Il mercato globalizzato, in questo senso, viene sfruttato per rifornirsi in America del Sud, dove vengono immesse sul mercato grandi quantità di produzioni economiche, utilizzate tal quali o come ingredienti di preparazioni di vario tipo. Ma quanto incide la filiera della carne sulla foresta amazzonica? E in che modo ciò che si produce in Sud America arriva sulle nostre tavole? Considerando quanto emerso da recenti inchieste televisive e da ricerche specifiche sull’argomento, e dopo aver analizzato il rapporto WWF che imputa ai consumi degli europei il 10% della deforestazione globale, con questo approfondimento ci concentreremo sulle responsabilità del settore della carne in Brasile, a danno dell’Amazzonia.

Carne e deforestazione: l’inchiesta di Presadiretta

La consapevolezza sull’impatto ambientale dell’allevamento, e in particolare di quello dei bovini, si è diffusa solo in tempi relativamente recenti, grazie alla sensibilizzazione stimolata dalle associazioni ambientaliste e animaliste ma anche alle inchieste giornalistiche. Nei mesi scorsi, una puntata di Presadiretta, su Rai3, è stata dedicata proprio a questo tema, e in particolare alla situazione in Brasile, tra i principali player mondiali nel mercato della carne di manzo.

deforestazione amazzonia
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Il titolo dell’inchiesta di Alessandro Macina, Troppa carne a buon mercato, anticipava chiaramente il quadro, indagato attraverso i passaggi della filiera che unisce il colosso sudamericano alla distribuzione europea, rispetto alla quale l’Italia primeggia come primo importatore, con oltre 1 milione di tonnellate annue di materia prima brasiliana. Gran parte di questa carne finisce nei macinati e nei prodotti trasformati, nonostante le numerose segnalazioni del sistema di allarme rapido per alimenti dell’Ue registrate lo scorso anno su carni sudamericane, non conformi alle normative europee. A queste, inoltre, si aggiungono le segnalazioni relative a pratiche commerciali scorrette.

Come ha dichiarato durante l’inchiesta Anna Cavazzini, presidente commissione Mercato interno Ue, “con la carne brasiliana abbiamo due problemi: sono stati rintracciati alti livelli di pesticidi e questa produzione incide significativamente sulla deforestazione in quello Stato. Pertanto, occorrerebbe una legislazione europea specifica”.

C’è una falla nell’etichettatura: si apre la strada a importazioni a basso costo extraeuropee

Questa ‘permeabilità’ rispetto alle importazioni sarebbe favorita soprattutto dalla legge sull’etichettatura, che concede ampi margini di manovra ai produttori. Anche se la carne bovina è stata la prima a essere normata, nel 2000, in seguito allo scandalo della BSE-mucca pazza, il mercato sconta tuttora una carenza di trasparenza su preparati e macinati, per i quali – diversamente rispetto alla carne fresca – non è obbligatorio indicare dove l’animale è nato e dove è stato allevato e macellato. Questo segmento della produzione è molto ampio, e interessa insaccati di vario tipo, sughi pronti, brodi di carne, ripieni per pasta, i surgelati e omogeneizzati per l’infanzia, per i quali non vige l’obbligo di legge di indicare l’origine della carne. Per poter utilizzare la dicitura ‘preparato a base di carne’, peraltro, è sufficiente l’aggiunta di un solo ingrediente, come ad esempio il rosmarino o il pepe, passaggio che consente di poter omettere l’origine.

Questi presupposti hanno contribuito ad aprire la strada alle importazioni a basso costo extraeuropee, in particolare a quelle di provenienza sudamericana, che possono comportare un danno ambientale notevole, del quale fanno le spese le foreste del continente.

Qual è l’impatto dell’allevamento bovino in Brasile?

Un team internazionale coordinato dall’Università di Lovanio ha pubblicato una ricerca, apparsa nel dicembre 2020 su PNAS e citata nell’inchiesta di Presadiretta. L’analisi – tra le prime di questo genere – valuta l’evoluzione dei volumi e il peso ambientale dell’allevamento sulle foreste brasiliane tra il 2015 e il 2017, incrociando i dati dei registri commerciali ufficiali di spedizione, le licenze di esportazione dei macelli, le statistiche agricole subnazionali e i dati sull’origine del bestiame.

Riunendo le informazioni su commercio, agricoltura e logistica, è stata creata una mappa suddivisa per le diverse produzioni locali di carne bovina fresca e di capi vivi, con un monitoraggio del flusso di bestiame da oltre 2.800 municipalità brasiliane, i cui i bovini sono stati destinati a 152 Paesi importatori, coinvolgendo più di 3.000 aziende impegnate in questo commercio. La portata dei dati presi in esame, peraltro, ha evidenziato l’impatto dell’export brasiliano sui movimenti legati alla vendita di carne nel mondo.

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Il ruolo del Brasile nel mercato globale

Il Brasile è il secondo produttore mondiale di carne bovina e il più grande esportatore: viene venduta all’estero circa un quinto della produzione nazionale, per un commercio che vale più di 5,4 miliardi di dollari all’anno. Circa 2,5 milioni di addetti operano in sistemi di produzione basati soprattutto sull’allevamento estensivo (al pascolo).

Il settore, come detto, ha una notevole impronta ambientale, in quanto rilevante motore di deforestazione. Due terzi della terra bonificata in Amazzonia e nella regione del Cerrado sono stati convertiti a pascolo per il bestiame, rendendo il settore bovino brasiliano responsabile di un quinto di tutte le emissioni derivanti dalla deforestazione provocata dalle materie prime in tutta la fascia tropicale del mondo. L’allevamento del bestiame, storicamente concentrato nelle regioni meridionali e costiere del Brasile, dagli anni Settanta ha colonizzato l’entroterra, guidato dalle migrazione. Questa dinamica è stata accompagnata da una crescente competizione per la terra, ma anche da miglioramenti nel controllo delle patologie animali, e il tutto ha sostenuto la crescita della domanda di carne, nel mercato interno come in quelli esteri.

La complessità della filiera allontana produzione e consumo

Uno dei temi fondamentali alla base di questa ricerca riguarda la difficoltà nel considerare l’effettiva sostenibilità delle catene di approvvigionamento globalizzate, in quanto si ha a che fare con un’enorme disconnessione spaziale tra luoghi di produzione e consumo. Le materie prime, infatti, sono scambiate e lavorate lungo complesse filiere che spostano merci tramite una vasta rete di trasformatori, commercianti, aziende di logistica e rivenditori, prima di raggiungere le tavole.

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Questo aspetto rende difficile per aziende e consumatori poter quantificare e comprendere le conseguenze associate ai loro acquisti, come riuscire a identificare precisamente l’origine dei prodotti, complicando l’attribuzione della responsabilità ambientali. Di conseguenza, secondo i ricercatori, sarebbero necessari dati sulle filiere delle materie prime per identificare le regioni di approvvigionamento e offrire informazioni sugli attori della catena, fornendo una copertura completa per tutti i mercati di esportazione. Questi dati potrebbero:

La crescita dell’export spinge di riflesso il disboscamento negli Stati amazzonici

Nel complesso, nel 2017 le esportazioni è stata pari al 19,1% della produzione bovina brasiliana, ma per quattro Stati – Rondônia, Mato Grosso, São Paulo e Mato Grosso do Sul – il dato è stato superiore al 25%, e i primi due citati sono in pieno territorio amazzonico.

Le esportazioni si sono consolidate nelle mani 204 aziende, un numero ridotto considerando le dimensioni del Brasile, a maggior ragione sapendo che il 71,7% dei volumi è stato gestito da tre sole compagnie.

Il primo mercato dell’export è rappresentato dalla la Cina, che ha acquistato il 30,2% delle esportazioni brasiliane in volume (30,1% in valore), seguita da Egitto (12,4% in volume e 10,2% in valore), Russia (10,4% e 8,2%), Unione europea (7,1% e 11,9%), Iran (7,1% e 7,2%), Cile (4,4% e 4,8%), Venezuela (3,9% e 4,3%) e Stati Uniti (2,3% e 4,9%).

Gli acquisti di carni bovine fresche e congelate dell’Ue, pur provenendo per la maggior parte da stabilimenti in dieci Stati del Sud, Sud-Est e Centro-Ovest, si sta espandendo verso Nord, compresi cinque Stati amazzonici – Acre, Pará, Tocantins, Maranhão e Rondônia – situazione che riflette una tendenza generale. Nel 2017, l’ultimo di quelli appena citati ha primeggiato nella vendita di carne lavorata al mercato dell’Ue, fornendo 55 tonnellate di prodotto trasformato a Danimarca e Italia.

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I numeri della deforestazione

La ricerca, complessivamente, ha valutato un rischio di deforestazione legato alle esportazioni di carne di 73.000-74.700 ettari all’anno, su un totale di 480.000-520.000 ettari annui (poco meno della superficie della Liguria) associati all’allevamento di bestiame. Quello legato alle esportazioni è aumentato da 40.200 a 41.900 ha/anno (da 55,0 a 56,6%) nelle municipalità dell’Amazzonia, da 30.100 a 32.200 ha/anno (da 40,7 a 43,0%) nel Cerrado e da 100 a 130 ha/anno (da 0,1 a 0,2%) nella Foresta atlantica. Tra gli esportatori, i rischi di deforestazione variano notevolmente in base a dove le aziende gestiscono gli impianti di macellazione e trasformazione. Il rischio di deforestazione attribuibile all’Unione Europea è concentrato soprattutto nel Cerrado, e sarebbe pari a 2.100-2.600 ha/anno, rappresentando il 72,9-75,2% del dato totale in quella regione (2.900-3.600 ha/anno).

Le esportazioni influenzano il mercato interno

Lo studio, inoltre, evidenzia che sebbene le esportazioni tendono a provenire da aree a minor rischio di deforestazione rispetto al consumo interno, la crescita impetuosa dell’export avvenuta dal 2010 al 2017 (+30%) potrebbe favorire l’espansione nelle regioni amazzoniche, spostando la domanda interna altrove. Il picco dei prezzi della carne bovina, verificatosi in Brasile alla fine del 2019, deriverebbe in gran parte da un aumento della domanda dal mercato cinese, sostenendo l’idea che i cambiamenti nelle esportazioni si riflettono sul mercato interno.

Attualmente, gli sforzi per rendere più sostenibile la produzione sono concentrati proprio sulle esportazioni, in particolare su quelle all’Ue, tuttavia resta critica la situazione per il mercato interno, date le sue dimensioni. In definitiva, per reimpostare il settore del bestiame nel segno della sostenibilità sono necessari miglioramenti nella trasparenza e nella governance delle catene di approvvigionamento, nel mercato nazionali come nelle esportazioni.

Va sottolineato che nel bilancio finanziario del settore della carne – che non vanta alte marginalità – le esportazioni rappresentano una quota fondamentale dei ricavi, dal 45% al 65% per le grandi compagnie.

Anche se alcuni dei principali clienti internazionali del Brasile, in particolare in Cina, Russia e Medio Oriente, sono più interessati a un approvvigionamento stabile delle importazioni più che agli impatti ambientali dei prodotti, il mercato cinese sta mostrando una crescente consapevolezza sulla sicurezza alimentare e sui rischi climatici, compresa la deforestazione.

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Migliorare i controlli e sfruttare gli accordi internazionali per contrastare la deforestazione

Secondo i ricercatori, per combattere il rapporto tra carne e deforestazione è importante agire attraverso i trattati commerciali internazionali, come l’Unione europea ha già iniziato a fare nei suoi accordi con il Mercosur (mercato comune dell’America del Sud). Questo favorirebbe un monitoraggio più efficace e capillare della filiera, per la quale servirebbero controlli da più direzioni, inclusi appunto i mercati internazionali, ma anche un maggiore coinvolgimento della società civile.

Oltre a un impegno a livello internazionale e privato da parte delle aziende, però, non è possibile prescindere dal ruolo del governo nazionale. Se negli anni Duemila l’impegno per la conservazione delle foreste in Brasile ha prodotto buoni risultati, l’amministrazione del presidente Jair Bolsonaro ha determinato invece una svolta netta a favore dell’espansione dei terreni coltivati e dei pascoli, a scapito delle aree boscate. Gli investimenti per la salvaguardia di questi territori, per di più, sono stati tagliati, come anche la tutela per le aree abitate dai nativi. Gli sforzi per la conservazione delle foreste, ad ogni modo, non possono fare a meno del supporto delle politiche nazionali e locali, affidate alle scelte dei cittadini al momento del voto.

Una spesa consapevole può cambiare le cose

Come più volte abbiamo visto nei nostri approfondimenti e occupandoci ad esempio di pesca sostenibile, i nostri acquisti alimentari hanno sempre delle conseguenze, sul mercato come sull’ambiente. Rispetto al tema che abbiamo trattato, ridurre il consumo di carne è un primo segno di responsabilità, del quale potrà beneficiare anche la nostra salute. Oltre a questo, però, è fondamentale consumare prodotti di origine animale da allevamenti locali e responsabili, prestando attenzione anche ai macinati e ai prodotti confezionati che li contengono, i primi indiziati per l’utilizzo di materie prime di origine non precisata. Lo stesso vale per i salumi e gli insaccati.

La campagna internazionale #Together4forests – in Italia promossa da Greenpeace, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia, Medforval, Istituto Oikos e WWF – lo scorso autunno ha raccolto più di un milione di firme, per sostenere una legge europea sui prodotti alimentari legati alla deforestazione, carne e non solo. Dopo l’approvazione della strategia Farm to Fork, la Commissione si è impegnata a proporre una nuova normativa entro il 2021, per fermare il contributo dei Paesi membri al depauperamento di questi ambienti preziosi e fragili. Per evitare che la distruzione si sposti in altri ecosistemi, è necessario proteggere parimenti altre aree naturali, come le praterie, le zone umide e le savane, ma anche le popolazioni indigene che le popolano difendendone gli equilibri.

 

Conoscevate il rapporto tra carne e deforestazione?

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