L’idea di mangiare le rane da sempre divide, tra chi le apprezza, ritenendole una leccornia, e chi invece non considera nemmeno questa possibilità, in genere per motivi di natura culturale o etica, o solo per diffidenza. In molte parti del mondo – comprese diverse aree in Italia – il loro consumo ha origini antiche, anche se oggi questi animali sono considerati una rarità e provengono quasi esclusivamente dall’estero. La loro diffusione, infatti, richiama problemi di carattere ambientale, e una specie alloctona come la rana toro americana sta minacciando i piccoli anfibi tipici delle nostre acque interne, già colpiti dal degrado ambientale. Ma quali sono le caratteristiche delle rane? Da dove provengono e come vengono allevate? Con questo approfondimento speciale cercheremo rispondere a queste e ad altre domande. Inoltre, per comprendere meglio l’impatto ecologico dovuto alla presenza della rana toro, abbiamo coinvolto nuovamente Gianluca Zuffi di Hydrosynergy, biologo che opera nella gestione della fauna ittica d’acqua dolce, col quale abbiamo già parlato a proposito del pesce siluro.
Rane commestibili: le origini del consumo alimentare
Si amano o si odiano, ma di certo vederle in tavola non lascia indifferenti. Non ci sono dubbi sul fatto che gran parte delle rane siano commestibili, e nel mondo sono almeno una trentina le specie consumate comunemente, alcune delle quali allevate da tempo. A mangiarle, tradizionalmente, sono le popolazioni residenti nei pressi di territori paludosi o ricchi di canali e specchi d’acqua, in Europa come in molte parti del mondo. Nel nostro continente, in passato questo anfibio era associato alla magia e alle superstizioni di ascendenza precristiana, ma nei secoli, soprattutto tra le classi sociali più povere, si fece strada l’abitudine di pescarle a scopo alimentare, di giorno e più spesso di notte, operazione in seguito facilitata dall’uso delle luci artificiali, che le attirano. Nella tradizione lombarda, ad esempio, la cattura si effettuava nei mesi con la lettera “r”, corrispondenti all’autunno e all’inizio della primavera.
Nell’Europa medievale, l’uso di mangiarle si diffuse principalmente in Francia e in Italia, mentre ancora oggi gli inglesi – che disdegnano questa pratica – sono soliti chiamare frog eaters (mangiatori di rane) i vicini di oltremanica, in senso dispregiativo. Quando la miseria, le carestie e le guerre hanno imposto privazioni e condizioni stringenti, nelle diverse epoche le rane sono sempre state un’importante fonte alimentare, gradualmente uscita dalle abitudini a partire dal boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta.
Rane europee: riduzione degli ambienti naturali e protezione
Le specie europee consumate erano essenzialmente sei: rana verde minore (Pelophylax lessonae,) rana greca (Rana graeca), rana di Lataste (Rana latastei), rana alpina (Rana temporaria) e soprattutto rana verde maggiore (Pelophylax ridibundus) e rana comune (Pelophylax esculentus), oggi piuttosto rara.
Nelle zone italiane paludose o bagnate dalle acque interne – in Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto, Toscana e Lazio – questi animali hanno sempre trovato habitat ideali per prosperare indisturbate, anche in quanto grandi divoratori di insetti. Tuttavia, prima la bonifica delle paludi e poi l’inquinamento hanno fortemente ridotto la loro diffusione, che è minacciata anche dalla rana toro americana, una specie alloctona di grossa taglia della quale ci occuperemo in seguito.
Come tutti gli anuri autoctoni, dal 1981 le rane europee sono protette, mentre la pesca degli esemplari selvatici è regolamentata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e permessa dal 1 ottobre al 30 giugno, per favorire la riproduzione. Il limite massimo giornaliero di catture corrisponde a 5 chilogrammi pro capite o 50 esemplari, e sono vietati l’utilizzo di ami ad ancorina, le trappole e le catture notturne, soprattutto con l’uso di fonti luminose, in passato largamente utilizzate.
Il consumo di rane in Italia, quindi, dipende sia dalle piccole quantità di quelle selvatiche catturate nei territori sopra citati, sia da esemplari allevati o pescati fuori dall’Unione europea. Questi ultimi soddisfano gran parte della richiesta commerciale e ristorativa, come vedremo tra poco. Sul territorio nazionale, le rane possono essere solo macellate e non esistono allevamenti strutturati a scopo alimentare.
Allevamento delle rane e valore commerciale nel mondo della carne di rana
Un tempo carne povera per eccellenza, oggi le rane sono pregiate e costose, e in genere si possono reperire nelle pescherie specializzate. La zootecnia a scopo alimentare – che varia dal tipo intensivo e di grandi dimensioni a quello amatoriale in condizioni simili a quelle naturali – è praticato soprattutto in Asia e America latina. Come abbiamo visto, l’elicicoltura, che interessa le lumache, negli ultimi anni nel nostro Paese ha vissuto una notevole espansione, sia a scopo alimentare che cosmetico.
A rifornire il mercato nazionale, in particolare, sono anfibi allevati in Cina, Taiwan, Thailandia, Malesia e Vietnam, oppure pescati in Turchia e Albania. Su scala globale, invece, i principali esportatori di rane d’allevamento sono Cina, Taiwan, Ecuador e Messico.
In seguito alla diffusione del Coronavirus, la produzione cinese ha subito un forte contraccolpo, in quanto le autorità hanno inserito le rane nella lista degli animali selvatici temporaneamente proibiti. Gli allevatori, per difendere il settore, hanno protestato per questa classificazione, a loro avviso eccessivamente penalizzante. Confermando il valore di questo mercato, come riporta il South China Morning Post, un rapporto del 2017 dell’Accademia cinese di Ingegneria ha stimato che nel 2016 nel Paese questa attività ha impiegato circa 1 milione di persone, per un business pari a 7,15 miliardi di dollari. Peraltro, in alcune delle regioni più povere del Sud, come il Guangxi, almeno prima della crisi dovuta al Covid-19 l’allevamento della fauna selvatica era considerato strategico per la riduzione della povertà.
In Italia e in Europa, sono in genere preferiti gli esemplari di piccola taglia (60-80 grammi), come le specie naturalmente presenti nei nostri ambienti e dal prezzo superiore, mentre nei paesi extraeuropei si prediligono rane di taglia maggiore, mediamente più economiche. Le cosce sono la parte più rinomata e possono essere commercializzate distintamente, anche se in genere prevale la vendita degli esemplari interi, già spellati, privati della testa ed eviscerati, freschi o più spesso surgelati. Delle rane possono essere utilizzati anche sottoprodotti come la pelle, ricca di collagene, e il tessuto adiposo, per fini non alimentari.
Nel mercato internazionale, le specie più diffuse sono la rana toro americana (Lithobates catesbeianus), della quale approfondiremo diversi aspetti, la rana tigrina (Hoplobatrachus tigerinus) e la rana verde indiana (Euphlyctis hexadactylus), queste ultime di origine asiatica. La domanda globale, tendenzialmente statica, è concentrata nei Paesi dove il consumo è tradizionale, e in Europa è la Francia a primeggiare.
Carne di rana: caratteristiche e preparazioni
Le rane sono sempre state sfruttate per preparazioni semplici, che ben si sposavano con le caratteristiche delle loro carni, morbide, delicate e dal gusto per certi versi simile a quello del pesce bianco e del pollo, ma leggermente più marcato. Tipiche sono le fritture e le ricette in umido con pomodoro o in guazzetto, e più localmente anche i risotti e le frittate. Per cucinarle si utilizzano gli animali interi – di quelli di piccole dimensioni si può mangiare tutto – o solo le cosce, ma si possono preparare anche macinati, salsicce, hamburger e paté. Nell’Asia orientale, con questi anfibi si preparano anche zuppe e sashimi.
Sul piano nutrizionale, la carne di rana ha ottime peculiarità, pur essendo poco conosciuta e scarsamente valutata. Ecco cosa contengono 100 grammi di cosce.
- Valore energetico: 73 kcal
- Proteine: 16,4 g
- Grassi: 0,3 g; di cui saturi 0,076 g; monoinsaturi 0,053 g; polinsaturi 0,102 g; colesterolo 50 mg
- Sodio: 58 mg.
Dai dati spicca la sostanziale assenza di grassi, che le rende eccellenti dal punto di vista dietetico e conferisce grande digeribilità. Da sottolineare, inoltre, il buon contenuto di vitamine, in particolare B1 e PP, e minerali, specialmente fosforo e ferro. Anche alcune carni esotiche si distinguono positivamente sul piano nutrizionale, come abbiamo visto nel nostro recente approfondimento.
Il prezzo può variare sensibilmente in base all’origine del prodotto, dai 15-20 € al chilo per le rane allevate, ai 35-40 € per quelle selvagge. Come chi scrive, anche Gianluca Zuffi ha mangiato le rane, “ma non la rana toro, che assaggerei volentieri” precisa
Il caso della rana toro: un problema ecologico
Il tema del consumo alimentare delle rane è strettamente legato a problemi di carattere ecologico, sia dovuti al degrado dei loro ambienti naturali – causato da inquinamento da pesticidi, bonifiche, costruzione di argini e malattie patogene – sia che si parli dei danni causati da specie alloctone invasive. In questa seconda casistica, rientra la diffusione della rana toro americana, detta anche rana bue o rana catesbeiana, la più allevata al mondo e da decenni presente in Europa.
Le caratteristiche della specie
Originario della fascia orientale del Nord America, questo anfibio di struttura robusta può arrivare a raggiungere i 25 centimetri per 1,5 chilogrammi, pur avendo livrea e forme simili a quelle della rana verde europea, rispetto alla quale però è molto più grande. Le zampe posteriori costituiscono più del 50% della lunghezza totale del corpo e oltre il 40% del peso, arti che permettono a questa rana di compiere balzi di oltre due metri.
“Mi è capitato di maneggiare una rana toro, che era più grande del mio palmo, e i girini di questa specie, delle dimensioni di piccoli pesci (nella fase finale possono raggiungere i 15 centimetri di lunghezza, N.d.R.), circa dieci volte quelli della rana verde europea, che invece sono lunghi come un’unghia” spiega Zuffi. Dimensioni a parte, a caratterizzarla è la membrana timpanica molto sviluppata ed evidente – soprattutto nei maschi, leggermente più piccoli delle femmine – sorgente sonora del tipico “muggito”, dal quale deriva il suo nome comune, associato ai bovini. Durante la stagione riproduttiva, da maggio a luglio, questo richiamo permette di riconoscere gli esemplari anche a notevole distanza. “Come per tutti gli anfibi, la femmina è più grande, strutturata per sorreggere sul dorso il peso del maschio durante l’accoppiamento” ha precisato il biologo.
La rana toro predilige le acque ferme o lente, di temperatura pari o superiore ai 15 gradi centigradi. La metamorfosi in esemplari adulti avviene in 2-3 anni, mentre la maturità sessuale si compie intorno ai 4-5 anni, a fronte di un’aspettativa di vita di circa 10 anni in natura e di oltre 15 in cattività. Prolifica e molto vorace, preda qualsiasi animale di dimensioni tali da passare dalla sua grande bocca, quali piccoli mammiferi, gamberi, serpenti, uccelli e altri anfibi, compresi quelli della sua stessa specie, che caccia tendendo agguati.
In merito alla competizione con gli anfibi autoctoni, Zuffi precisa che “la Lithobates catesbeianus occupa gli stessi ambienti delle rane, delle raganelle e dei rospi. Inoltre, la sua dieta è spostata su prede più grandi rispetto a quelle delle specie autoctone, che invece si nutrono di invertebrati. Lo stesso può valere per gli esemplari più giovani di rana toro, che però crescendo e aumentando la taglia virano la loro alimentazione su animali di taglia maggiore. Per cui, oltre a una competizione spaziale per gli ambienti e alla predazione, si verifica anche una competizione trofica, se non altro tra gli adulti di rana autoctona e i piccoli di rana toro”.
Attiva di giorno e soprattutto di notte, la rana toro è stanziale e difende strenuamente il suo territorio. Nella sua area di origine, viene cacciata da uccelli, grandi pesci, serpenti, alligatori e tartarughe, ma anche da mammiferi come procioni, lontre, coyote e orsi, aspetto che “incide in modo decisivo per contenere numericamente la specie” ha aggiunto Gianluca Zuffi. Nei nostri ambienti, invece, non incontra altrettante minacce naturali. A cacciarla, tuttavia, “possono essere aironi, lupi, volpi e pesci di grossa taglia, quali siluri, lucci e lucioperca” di cui ci siamo occupati nel nostro approfondimento sul valore gastronomico e commerciale del pesce di lago. Non a caso, sottolinea il biologo, “le riproduzioni artificiali di rana sono utilizzate come esche per la pesca di questi predatori”.
I girini, invece, sono relativamente immuni alla predazione in acqua, grazie al loro gusto sgradevole. La specie, inoltre, è soggetta a patologie di origine virale, batterica e micotica – in particolare a chitidriomicosi, di origine fungina – che contribuisce a diffondere.
Queste caratteristiche le hanno fatto meritare un posto nella lista delle 100 specie più invasive al mondo, dove compare anche la nutria. In questo caso, il problema è legato principalmente dall’introduzione a scopo di allevamento alimentare in zone molto lontane dalla sua area di origine. “Gli animali considerati più invasivi si qualificano come tali perché hanno necessità minime per vivere, e per questo sono molto adattabili, o per il fatto che le loro esigenze coincidono perfettamente con le caratteristiche dell’habitat nel quale sono stati introdotti. Fra queste specie, possiamo citare il gambero rosso della Louisiana e, appunto, la rana toro” spiega Zuffi.
Rana toro: allevamento, economia e diffusione
Come attesta la FAO, le dimensioni e le cosce carnose della rana toro da sempre hanno attirato l’interesse alimentare umano, motivo che ha spinto a cacciarle e ad avviarne l’allevamento nel mondo, dalla fine dell’Ottocento. Questo settore ha alimentato un’industria di tipo intensivo, che si è espansa prima nell’America centrale e meridionale, dagli anni Trenta, e poi in Europa e nell’Asia orientale. Nel Sud-Est asiatico la zootecnia ha avuto una notevole spinta dagli anni Settanta e Ottanta, quando questa specie è stata affiancata alla locale rana tigrina, mentre nel decennio successivo l’allevamento ha beneficiato di notevoli efficientamenti, riguardo a riproduzione, nutrizione e cura delle patologie.
Le rane toro vengono commercializzate limitatamente alle zampe, oppure vive (in Asia e Centro-Sud America), anche per scopi scientifici ed educativi.
Recentemente, l’allevamento intensivo ha attirato le accuse degli animalisti, che, paragonandolo a quelli dei polli broiler, hanno evidenziato i ridotti spazi a disposizione dei capi, condizione favorevole alla predazione, al cannibalismo e alla propagazione delle malattie.
La rana toro in Italia
Considerata invasiva anche negli stessi USA, dove in diversi Stati ne è proibito il possesso e la diffusione, la rana toro negli habitat differenti da quello originario è dannosa soprattutto per gli anfibi autoctoni di dimensioni inferiori alle sue. Le prime segnalazioni in Italia risalgono agli anni Trenta, in seguito all’importazione a scopo alimentare avviata nel 1935 nella pianura mantovana e pavese. Nel corso del tempo, la sua presenza si è consolidata ed estesa, fino a diventare infestante in diversi territori, anche a seguito di ulteriori rilasci da parti di chi la ospitava negli acquari domestici.
Attualmente, la sua presenza è accertata da Nord a Sud, in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Campania e Basilicata. Le popolazioni più numerose e radicate, al momento, si trovano nel Mantovano, nel Pavese e nel Lazio, soprattutto nel bacino del Tevere e lungo il litorale romano.
Il problema della rana toro: monitoraggio e difesa delle specie autoctone
Nel nostro Paese, sulla rana toro non sono ancora stati avviati piani di contenimento paragonabili a quelli che hanno interessato altre specie alloctone. A questo proposito, il biologo precisa che “in Italia su questo esemplare le conoscenze sono ancora poco diffuse. Ad ogni modo, sarebbero auspicabili campagne di monitoraggio e censimenti, per valutare la reale presenza della specie e il suo impatto sui nostri ecosistemi. Bisogna considerare, però, che i costi sarebbero alti e i benefici non immediati. Alla luce dei dati raccolti, se si confermasse che la specie è altamente invasiva e difficilmente contenibile, si potrebbero formulare piani di controllo o quantomeno di difesa degli habitat ancora integri, dove gli anfibi autoctoni sono presenti. La rana verde e la raganella, peraltro, sono già minacciate dalla compresenza di popolazioni di anuri originari di altre parti d’Europa e d’Italia”.
Bisogna considerare, inoltre, che “le rane sono altamente legate agli ambienti acquatici temporanei, pertanto tutti i fenomeni di riscaldamento globale ed evaporazione dell’acqua possono danneggiarle. In particolare, i loro ambienti habitat ideali sono quelli privi di pesci. Ad esempio, un canale che porta acqua tutto l’anno è popolato da pesci, mentre uno stagno, che la mantiene fino a maggio o giugno per poi seccarsi, può permettere alle rane riprodursi a marzo-aprile. I girini, quindi, possono compiere il loro sviluppo, diventare adulti e lasciare questo ambiente prima che l’acqua evapori, e in assenza di pesci. Se la temperatura cresce e il disboscamento riduce l’ombreggiamento, di conseguenza aumenta anche l’evaporazione, incidendo negativamente sulla riproduzione degli animali. Gli insetti, inoltre, sono fondamentali, essendo alla base della loro dieta: gli interventi umani che li danneggiano – come gli sfalci non pensati con criterio e l’uso di antiparassitari – colpiscono anche le rane”.
Come per tutti gli ecosistemi, quindi, anche l’equilibrio e la biodiversità di quelli più piccoli sono fragili e meritano rispetto, come le creature a noi familiari che li popolano.
Avete mai mangiato le rane? Eravate a conoscenza della filiera produttiva che le porta sulle tavole e dei problemi ambientali che ne derivano?
Fonti:
fao.org
ittiofauna.org
agraria.org
South China Morning Post
iucngisd.org
The Dodo
Regione Emilia-Romagna, Ambiente
Ministero dell’Ambiente