Dal 1° dicembre 2023 la produzione e la vendita della carne coltivata in Italia sono ufficialmente vietate, come lo è il cosiddetto “meat sounding”, ovvero l’utilizzo di termini che evocano quelli legati alla carne per i prodotti trasformati a base di proteine vegetali. Ma nelle altre nazioni europee quale approccio si sta seguendo? E quali potranno essere gli sviluppi? Dopo mesi di acceso dibattito in Italia, cercheremo di capire meglio la situazione, valutando le prospettive di questo settore così discusso anche fuori dai confini nazionali.
Carne coltivata vietata in Italia: cosa dice la legge?
La carne coltivata – conosciuta anche come carne in vitro e spesso definita erroneamente “carne sintetica” – non deriva dalla macellazione degli animali ma dalla coltivazione cellulare. La tecnica consiste nel prelevare minime quantità di cellule animali e nutrirle con proteine che aiutano la crescita del tessuto, un processo che può essere proseguito all’infinito senza aggiungere nuovo materiale da organismi viventi. Con questo metodo si ottengono prodotti (carne, pesce, uova) con caratteristiche nutritive e sensoriali estremamente simili a quelle “originali”, risultato che, in caso di diffusione su larga scala, potrebbe contribuire a ridurre lo sfruttamento industriale e le sofferenze degli animali, con un impatto ecologico molto inferiore rispetto a quello degli allevamenti tradizionali.
Attualmente, gli elevati costi di produzione e le autorizzazioni al commercio sono ostacoli dirimenti per questo nuovo settore, contesto nel quale si inserisce la nuova normativa italiana.
L’articolo 2 della Legge n. 172 del 1 dicembre 2023, infatti, stabilisce il divieto assoluto nella produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati. Si tratta di una misura che, almeno negli intenti, si basa sul principio di precauzione di cui al regolamento CE n. 178/2002, che giustifica misure provvisorie di gestione del rischio nel caso in cui siano stati individuati potenziali effetti dannosi per la salute pubblica, ma permanga incertezza sul piano scientifico, e in attesa di ulteriori dati e informazioni per una valutazione più completa e consapevole.
L’Italia dice no al meat sounding
Un altro aspetto fondamentale della legge è sancito dall’articolo 3, che introduce un divieto sull’uso di termini legati alla carne (meat sounding) per presentare o promuovere prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali. In particolare, riprendendo testualmente il testo della legge, sono vietati:
- denominazioni legali, usuali e descrittive, riferite alla carne, ad una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne;
- riferimenti alle specie animali o a gruppi di specie animali o a una morfologia animale o un’anatomia animale;
- terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria;
- nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali.
Per precisare quanto stabilito, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste dovrà stilare un elenco delle denominazioni di vendita degli alimenti che possono fuorviare il consumatore nelle sue scelte e valutazioni sulla composizione dell’alimento.
Controllo e sanzioni previste
A individuare le autorità responsabili dei controlli e dell’applicazione delle sanzioni – tra cui il Ministero della Salute – è l’articolo 4, mentre l’articolo 5 fissa multe decisamente severe per chi viola le nuove norme. Le sanzioni amministrative pecuniarie, infatti, possono arrivare fino a 60.000 euro o al 10% del fatturato annuo, con un tetto massimo di 150.000 euro, e includono la confisca dei prodotti illeciti e la chiusura temporanea degli stabilimenti di produzione. Va sottolineato che l’entità del trattamento sanzionatorio supera quella prevista per la violazione di disposizioni contro danni certi e immediati alla salute dei consumatori. Ad esempio, l’omissione di un allergene in etichetta comporta una sanzione massima di 16.000 euro, mentre per la vendita di un prodotto scaduto si arriva a 40.000 euro.
Un’iniziativa che anticipa le decisioni dell’UE
Se l’obiettivo del provvedimento è la salvaguardia della salute in ottica preventiva e una corretta informazione per chi acquista, tuttavia molti osservatori evidenziano un intento protettivo a favore della produzione e del commercio di cibi di origine animale, un settore considerato strategico per l’interesse nazionale. Ecco perché il provvedimento è stato accolto anche da critiche da chi lo ritiene un ostacolo per la ricerca e lo sviluppo di un nuovo settore produttivo, nonché per la sua severità.
Le nuove norme, ad ogni modo, non potranno fermare definitivamente l’introduzione di cibi derivati da colture cellulari e nemmeno il meat sounding. In assenza di un intervento legislativo europeo, infatti, questo provvedimento resta un’iniziativa a tempo determinato: se nel prossimo futuro la Commissione europea dovesse autorizzare la commercializzazione di cibi prodotti da colture cellulari di origine animale, le autorità italiane non potrebbero impedirne la diffusione anche nel mercato nazionale. Lo stesso vale per l’uso improprio di nomi che richiamano la carne, perché in assenza di una legislazione europea la legge italiana non potrà bloccare i prodotti provenienti da altri paesi dell’UE che contengono queste denominazioni.
Non a caso, firmando la promulgazione del disegno di legge sulla carne coltivata, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scritto che il governo Meloni si è impegnato “a conformarsi a eventuali osservazioni che dovessero essere formulate dalla Commissione europea”.
Carne coltivata, quale futuro?
Mentre in Italia si legifera contro la carne coltivata, prosegue il dibattito anche in seno al Parlamento. Nella conferenza “Coltivare la carne”, organizzata il 6 dicembre scorso alla Camera dei Deputati per iniziativa dell’onorevole Alessandro Caramiello, si sono incontrate voci ed esponenti del mondo scientifico, dell’impresa e dell’associazionismo no-profit.
Secondo Nike Schiavo, ricercatrice dell’Università di Trento e presidente di Agricoltura cellulare Italia, dovremmo concentrarci “sulla possibilità di sfamare 8 miliardi di persone – 10 nel 2050 – e la carne coltivata può essere una delle soluzioni, con vantaggi dal punto di vista della sostenibilità e del risparmio di acqua, terreni ed emissioni. Va incentivata l’agricoltura cellulare, che coltiva appunto cellule, nutrite con liquido di coltura e poi messe in un ambiente detto fermentatore affinché possano crescere”.
Per Stefano Lattanzi di Bruno Cell, azienda che opera nel settore, “la sfida è tecnologica e regolatoria, la carne colturale è ancora agli albori pur essendo un’innovazione dirompente. C’è ancora tanta tecnologia da produrre”. Infine, Chiara Caprio di Essere Animali ha sottolineato che “c’è molta retorica contro la carne coltivata. Il Made in Italy non è solo zootecnia e la carne coltivata non è cibo artificiale. Gli allevamenti intensivi rappresentano la quasi totalità, non garantiscono il pascolo e il benessere animale».
[elementor-template id='142071']Carne coltivata: cosa fanno gli altri Stati?
Francesca Gallelli di Good Food Institute Europe, ong che promuove un sistema alimentare più sostenibile, durante la conferenza ha accennato all’approccio che stanno tenendo altri Paesi europei sulla carne coltivata: “in Olanda 60 milioni destinati ad accelerare la ricerca e la commercializzazione delle carni fermentate; in Spagna 7 milioni per il Center for Innovation in Alternative Proteins; in Danimarca 91 milioni nelle proteine vegetali e National Plan; in Germania 38 milioni per le proteine alternative”. A puntare con convinzione sulla carne coltivata è anche il Regno Unito che recentemente ha presentato il National Vision for Engineering Biology, un piano che punta a mettere a disposizione dell’agricoltura varietà resistenti ai parassiti grazie al miglioramento genetico e a elevare la sicurezza alimentare. In questa strategia hanno un ruolo di primo piano anche lo sviluppo di proteine alternative tramite fermentazioni e la carne coltivata.
Il Regno Unito mira alla leadership nel settore della carne coltivata
Dopo il via libera della Germania al finanziamento della ricerca sulle proteine alternative, il governo inglese ha stanziato grandi investimenti nel settore della biologia ingegneristica. Secondo le previsioni, questa scelta porterebbe il Regno Unito tra le realtà più avanzate del settore, con una strategia di lungo periodo che prevede anche infrastrutture di supporto, norme dedicate e test per certificare la sicurezza dei prodotti curati dalla Food Standards Agency (FSA).
Dopo l’avvio di vari progetti nell’ottica della biologia ingegneristica, anche la carne coltivata sarà al centro di questo ambizioso piano. Per favorire questo percorso, la FSA ha recentemente revisionato il suo Novel Foods Regulatory Framework (quadro normativo sui nuovi alimenti) e sta valutando come una riforma legislativa e dei processi possa eliminare gli ostacoli all’innovazione nel settore della coltivazione cellulare.
Come sottolineato da Andrew Griffith, Ministro per la Scienza, la Ricerca e l’Innovazione del Regno Unito, la ricerca sulla biologia ingegneristica sta accelerando anche in molti altri Paesi – tra i quali Stati Uniti, Cina, Francia, Germania, Giappone, Singapore, Israele e Danimarca – che riconoscendo il ruolo strategico di questo settore hanno deciso di investire risorse.
La Francia segue l’esempio dell’Italia?
Nelle scorse settimane il governo italiano ha dato evidenza al fatto che il governo francese si stesse indirizzando verso un divieto alla carne coltivata simile a quello introdotto nel nostro Paese. Venendo ai fatti, nel mese di dicembre un gruppo di parlamentari del partito Les Républicains – esterno al governo – ha presentato all’Assemblea nazionale una proposta di legge per vietare la carne coltivata. Il Ministro dell’Agricoltura Marc Fesneau, inoltre, si è detto critico verso la carne coltivata, senza però affermare che il governo francese fosse pronto a vietarne produzione e vendita.
In sostanza, il disegno di legge francese ad oggi è solo una proposta di legge, tra le tante che vengono presentate in ogni parlamento nazionale. Il partito Les Républicains, peraltro, aveva anche realizzato un rapporto sugli alimenti a base cellulare secondo il quale il divieto italiano non sarebbe un modello ottimale, proprio per l’incompatibilità che si verrebbe a creare all’interno del mercato unico europeo. In caso di via libera europeo alla carne coltivata, infatti, nel rapporto si precisa che un eventuale divieto metterebbe la Francia in una condizione di dipendenza tecnologica nei confronti di aziende estere, una situazione opposta rispetto al concetto di sovranità alimentare introdotto in Europa proprio dalla Repubblica francese. Infine, prima di considerare la regolamentazione commerciale, si sottolinea la necessità di implementare la ricerca, soprattutto considerando i vantaggi per l’ambiente e il potenziale economico.
Il Ministro dell’Agricoltura ha poi dichiarato la sua intenzione di esprimere una linea di indirizzo sulla carne coltivata e di ipotizzare un quadro normativo di riferimento, un’iniziativa che, almeno per il momento, non è progredita rispetto a questi passaggi introduttivi. In Francia, quindi, pare affermarsi la volontà di avviare un dibattito più strutturato sul tema basato sulle evidenze scientifiche, passaggio non avvenuto invece in Italia, dove si è deciso di agire con un divieto in base a un principio di precauzione. L’iniziativa privata, inoltre, in Francia ha già avuto un avvio non trascurabile: è infatti francese la prima azienda europea di carne da coltura cellulare a sottoporre il suo prodotto a Singapore – dove dal 2020 sono autorizzate la produzione e la vendita di carne coltivata di pollo – tramite l’ente nazionale per la sicurezza alimentare.
In un contesto di crescente interesse per le fonti proteiche alternative, dettato dalle emergenze ambientali e di approvvigionamento globale, le scelte che i decisori politici sono chiamati a compiere potranno dunque avere un impatto significativo sui cambiamenti in corso.
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