Nell’ambito del biologico, il settore della carne bovina è tra i più complessi, con un bacino di vendita ancora limitato che sconta anche difficoltà nella commercializzazione e nella valorizzazione dei prodotti. Una recente analisi dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) evidenzia queste e altre criticità, ma anche notevoli potenzialità di espansione, non ancora sfruttate a pieno dalla filiera. Ma qual è la situazione del settore della carne bovina biologica e di quali interventi necessita per concretizzare un salto in avanti atteso da tempo? Approfondendo i contenuti dell’analisi Ismea, comprenderemo meglio la realtà dei produttori e le dinamiche a monte della vendita, che è solo l’ultimo miglio di un lungo percorso di lavoro.
Carne bovina bio: organizzazione e caratteristiche del settore
Lo studio Ismea ha affrontato due modelli distinti, con peculiarità e organizzazioni diverse, eccoli presentati in sintesi.
- La filiera non integrata, o lunga, è composta da allevamenti a ciclo chiuso che vendono capi vivi a imprese di macellazione e lavorazione, si tratta quindi di entità distinte.
- La filiera integrata, costituita da allevamenti che gestiscono anche la lavorazione e la commercializzazione della carne. In questa seconda casistica, la vendita avviene in modo diretto, o comunque con canali di prossimità. Per ragioni legislative, sanitarie ed economiche, la macellazione viene spesso effettuata all’esterno dell’allevamento, ricorrendo a macellatori in conto terzi. La fase di sezionamento e preparazione dei tagli, invece, è in genere più variabile e può essere gestita internamente o esternamente, in base alle situazioni soggettive delle aziende.
In Italia solo lo 0,8% della carne bovina complessivamente consumata è biologica, per un totale di 8.000 tonnellate di prodotto all’anno e un valore di circa 160 milioni di euro, stimato in base ai prezzi al consumo. Dall’ultima Analisi della catena del valore della filiera della carne bovina bio di Ismea, pubblicata nel gennaio 2023, dietro a questi dati di base emerge una contrazione generale dei consumi che già era evidente da anni e per diverse ragioni. La congiuntura economica, come la crescente attenzione per salute e ambiente, infatti, hanno portato a limitare le carni rosse, e il report sottolinea che una parte considerevole di chi acquista cibo bio è vegetariana o vegana, e quindi rinuncia anche alla carne bovina biologica.
Tuttavia, la domanda dà segnali di crescita, nonostante le varie difficoltà di questo specifico settore, che sconta anche carenze a livello organizzativo, che causano problemi nella commercializzazione dei prodotti certificati e, di conseguenza, marginalità di guadagno limitate, come sottolinea l’analisi Ismea. Per migliorare questi aspetti, il report raccomanda maggiore collaborazione tra gli operatori della filiera, per efficientare le fasi di macellazione e lavorazione, ma anche uno sviluppo della comunicazione e del marketing per promuovere la carne bovina biologica.
I dati degli allevamenti e i motivi della scelta bio
La ricerca riporta numeri, costi e i ricavi lungo tutta la filiera, con dati e informazioni ottenuti grazie a interviste ad aziende biologiche rappresentative rispetto all’intero settore. In base ai dati Ismea, in Italia in totale sono circa 400.000 i bovini da latte e da carne allevati secondo i principi della zootecnia biologica, il 7% di tutti i capi sul territorio nazionale. Quelli da carne o a destinazione mista sono circa 160.000. Da notare che nel settore della carne bovina bio prevalgono le piccole aziende a conduzione familiare, con 21-22 capi in media, ma sono presenti anche allevamenti molto più grandi, come quelli estensivi al pascolo.
L’analisi sottolinea che la dimensione intermedia può essere più complicata da gestire in modo efficiente, perché non permette di poter rifornire la grande distribuzione, e al contempo risulta difficile vendere tutta la produzione in modalità diretta, come in genere fanno le piccole aziende.
Da parte delle imprese, la scelta del biologico può essere motivata da diverse ragioni:
- etica, per la volontà di produrre in modo più rispettoso del benessere animale e dell’ambiente;
- vantaggi economici, per ricevere i contributi destinati a questo tipo di produzioni;
- scelte imprenditoriali, quando si punta al bio per raggiungere la clientela che lo richiede, anche nell’intento di aumentare il margine di guadagno rispetto alle quantità prodotte.
Costi di produzione e margini ristretti scoraggiano i produttori
Tuttavia, come precisa l’analisi, per molti produttori la differenza di prezzo tra biologico e convenzionale è considerata insufficiente rispetto alle maggiori spese da sostenere. In merito a questo, si stima che una sensibilizzazione ancora limitata dei consumatori sul valore del bio incida negativamente, una percezione che sarebbe cresciuta nei primi sei mesi del 2022.
In sintesi, quindi, il biologico sconta ancora alcuni significativi ostacoli, non di rado determinanti nella rinuncia dei produttori a intraprendere la conversione, per diverse motivazioni:
- l’idea di fare un salto nel buio, dovendo affrontare maggiori complessità e costi superiori, senza la certezza di poter vendere la propria carne a prezzi più alti;
- la concorrenza dall’estero, in particolare da Austria e Polonia, che mette sul mercato carne bovina biologica a prezzi più bassi, soprattutto destinata alla grande distribuzione;
- ulteriori rincari che pesano sulla produzione, dovuti ai notevoli aumenti su cereali, foraggi ed energia, con prezzi di vendita sostanzialmente stabili o incrementati di poco.
Carne bovina biologica: valore del mercato e problemi nella commercializzazione da superare
Al netto delle difficoltà descritte, la domanda di manzo bio cresce leggermente in termini di quantità, dato non trascurabile in un contesto di contrazione dei consumi di carne bovina. L’aumento di richiesta è spinto da una maggiore sensibilità dei consumatori rispetto a salute ed etica produttiva, anche se come accennato spesso sono proprio vegetariani e vegani ad avere a cuore questi aspetti quando si parla di alimentazione.
Il rapporto Ismea pone l’accento sul fatto che la carne bovina bio spesso ha una presenza sugli scaffali non sufficientemente valorizzata, e non tutti i punti vendita specializzati nel biologico la trattano. Talvolta, succede anche che i prodotti da capi biologici siano venduti come convenzionali, quindi perdendo il valore aggiunto che dovrebbe distinguerli. In particolare, se le destinazioni sono la ristorazione o la grande distribuzione organizzata, capita che non si riescano a utilizzare tutte le parti del capo come bio, pertanto le restanti possono essere vendute come carne convenzionale. Questo, secondo Ismea, è da attribuire a mancanze organizzative nella filiera, ovviamente a danno delle aziende produttrici, ma anche dei distributori, delle rivendite e dei consumatori interessati al biologico.
Sono molte, inoltre, le grandi imprese di macellazione che non hanno linee biologiche, o che quando le hanno gestiscono quantitativi minimi se confrontati all’intero volume di attività. Secondo le stime, le aziende di macellazione italiane che macellano bovini biologici sono 60-70, comprese quelle che macellano in conto proprio sia quelle che lo fanno in conto terzi.
Come emerge dal rapporto Ismea, quindi, il settore della carne bovina biologica italiana richiede interventi sia di carattere organizzativo, sia di tipo commerciale e comunicativo. Le stime presentate lasciano prevedere un’ulteriore crescita nella domanda, che dovrà sostenere un settore caratterizzato da una gestione complessa e da una concorrenza sul prezzo da parte di produzioni estere.
Immagine in evidenza di: trambler58/shutterstock.com