Giornate lavorative di più di 15 ore, per sei giorni alla settimana, con una paga mensile compresa tra 500 e 700 euro al mese. Queste le condizioni di sfruttamento in cui versavano 41 “dipendenti” di un’azienda che chiedeva loro di distribuire volantini in bicicletta e controllava tramite GPS i loro spostamenti. Caratteristiche che richiamano il caporalato, per modi e violazioni dei diritti dei lavoratori, rilevate dalla Guardia di Finanza di Bolzano tra Veneto e Trentino Alto Adige. E non si tratta di un caso isolato: esiste, infatti, una forma di caporalato nel Nord Italia. Un fenomeno forse meno mediaticamente evidente rispetto a quanto accade nella baraccopoli di Rosarno, ma non meno pericoloso.
Caporalato nel Nord Italia: quanto è diffuso?
Come evidenzia in maniera chiara anche il V Rapporto Agromafie, gli illeciti e la criminalità in ambito alimentare non sono un’esclusiva del Meridione. Al contrario si registra in questi anni una costante espansione nelle regioni del Centro Nord, lontano dai riflettori.
Analizzando la vulnerabilità geografica a fenomeni di agromafie, i ricercatori di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare sottolineano che, in riferimento al 2016, è il percorso idrografico del Po, l’area più a rischio. In particolare, le province di Piacenza, Mantova, Ferrara, Rovigo, nonché Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna spostandosi sull’Adriatico.
Nell’Italia Centrale, invece, la regione più esposta a infiltrazioni criminose è l’Abruzzo, ma occhi aperti anche sul Lazio e in particolare sulla provincia di Latina, dove decine di braccianti Sikh sono sfruttati nei campi. Una situazione denunciata da associazioni e media, ma anche dal documentario “The Harvest”.
Sono 80, in tutta Italia, i distretti agricoli dove sono state rilevati dalle forze dell’ordine casi di sfruttamento e caporalato, territori equamente distribuiti tra Nord e Sud del Paese. Non sono immuni nemmeno Regioni di frontiera come il Trentino Alto Adige dove, proprio come ha spiegato a Il Giornale del Cibo Antonello Mangano, curatore del progetto “Filiere”, non mancano episodi di sfruttamento.
[elementor-template id='142071']Perché anche al Nord?
Le ragioni, se di ragioni si può parlare, che vengono individuate dai ricercatori che indagano il perché si diffondano fenomeni di sfruttamento dei lavoratori, non sono le stesse in tutto il Paese. Da un lato, soprattutto al Meridione, un ruolo determinante è quello della grande distribuzione che richiede prezzi sempre più bassi, “incentivando” i produttori a rifarsi sul costo del lavoro. In altri casi, in Toscana così come in Piemonte o in Trentino, la causa è da cercare nella disponibilità di un bacino di manodopera a basso costo, pronta a disposizione.
Da Est a Ovest: i casi
Sono stati rilevati casi di sfruttamento in agricoltura, ma anche in altri ambiti. Come accennavamo, ad esempio, drammatiche erano le condizioni a cui erano costretti a vivere 41 lavoratori, impiegati nel volantinaggio “porta a porta” nelle provincie di Trento e Bolzano. Secondo quanto rilevato dalla Guardia di Finanza di Bolzano, venivano controllati tramite GPS durante l’intero turno di lavoro, minacciati di licenziamento e percosse, e privati di documenti cruciali come carta di identità o permesso di soggiorno affinché non potessero uscire da questa condizione di subordinazione.
Nemmeno il Veneto è immune, come denuncia la Flai Cgil di Padova. Sono molti i lavoratori, infatti, che si rivolgono ai loro sportelli per raccontare le loro storie, meno sono quelli che effettivamente scelgono di sporgere denuncia formale. Secondo Francesca Crivellaro, segretaria generale, ciò accade perché la posta in gioco per i lavoratori, molto spesso stranieri, è troppo alta: avere un’occupazione è condizione imprescindibile per mantenere il permesso di soggiorno, per cui una denuncia potrebbe causare un effetto domino troppo grave.
Nel mese di gennaio, invece, la Guardia di Finanza di Spilimbergo ha individuato e smantellato un complesso sistema di sfruttamento e caporalato che coinvolgeva più di 1000 lavoratori, occupati in 37 aziende dislocate tra le provincie di Venezia, Brescia, Padova, Treviso, Vicenza, Bergamo, Modena, Pavia e Milano. Sono stati sequestrati beni per 4 milioni di euro, ed è stato rilevata l’emissione di fatture per operazioni inesistenti pari ad un valore di circa 21 milioni di euro.
Lo scorso mese di giugno, invece, i Carabinieri del Comando provinciale di Alessandria hanno sgominato una banda di caporali che sfruttava 52 lavoratori, di cui 43 senza contratto alcuno per lavorare nei vigneti. La paga era di 5 euro l’ora, nessuna garanzia, nessun diritto, guanti, stivali e forbici erano a carico dei “dipendenti”.
Iniziative contro il caporalato
La situazione non è nuova ad istituzioni e autorità che, a ritmi diversi, si stanno attrezzando contro il fenomeno. L’8 giugno 2016, per esempio, il Consiglio regionale piemontese ha approvato la legge “Disposizioni per la sistemazione temporanea dei salariati agricoli stagionali nelle aziende agricole piemontesi”. L’obiettivo è quello di prevenire la diffusione del caporalato, promuovendo iniziative a sostegno del lavoro stagionale, come finanziamenti per la realizzazione di soluzioni abitative degne.
Due anni dopo, nel giugno 2018, invece in Trentino si è dato avvio alla costituzione di una cabina di regia a livello di provincia autonoma per monitorare e contrastare la diffusione del caporalato sul territorio. L’ente, che sarà attivo dall’autunno ed è previsto dalla nuova legge contro il caporalato, coinvolgerà anche i sindacati Cgil, Cisl e Uil assieme alla Confederazione Italia Agricoltori, Confagricoltura e Coldiretti. Il fine è quello, da un lato, di favorire il collocamento dei lavoratori e, dall’altro, di monitorare e denunciare illegalità diffuse sul territorio, in collaborazione con le forze dell’ordine.
Non solo le Regioni del Sud Italia, dunque, ma anche quelle del Nord sono ormai attive nel contrasto di un fenomeno che, talvolta, si credeva lontano.
Voi sapevate che il caporalato è diffuso anche in queste aree?